di Alessandro Alfieri, nella trascrizione di Sandro Russo
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Siamo negli anni ’70 con agli album Aladdin sane e Diamond dogs.
Il 13 aprile 1973 esce Aladdin Sane, il suo sesto album in studio. Un disco leggendario, forse più per la copertina e l’aura creata attorno al suo personaggio che per la musica contenuta nei 40 minuti e 47 secondi che lo compongono. È ricco di suoni perfetti, puliti, potenti e allo stesso tempo dolcemente graffianti, ma è senza alcun dubbio la foto che ritrae Bowie sulla copertina a renderlo tanto iconico quanto indispensabile nella collezione di dischi di ogni ragazzo cresciuto all’inizio degli anni ’70.
Il titolo si basa su un gioco di parole, “A Lad Insane”, letteralmente “un ragazzo pazzo“. Una frase che voleva richiamare lo stato d’animo e mentale di Bowie in quel preciso momento storico, oltre che un riferimento/omaggio al fratello Terry, a cui era stata diagnosticata una grave forma di schizofrenia (morirà suicida nel 1985).
La copertina con un fulmine cremisi e blu che divide in due il volto di Bowie e cattura perfettamente la dualità interna della sua mente in quel periodo, scattata dal grande fotografo Brian Duffy.
Oltre alla copertina, così immediatamente legata al personaggio di Ziggy Stardust, l’album rappresentò un passo in avanti, nell’esplorazione verso il nuovo – una costante in Bowie -, portando inevitabilmente alla “morte” del suo alter ego. L’album sarebbe diventato il suo disco di maggior successo commerciale all’epoca, ma fu la metamorfosi della sua personalità artistica, presente in ogni traccia del disco, a renderlo tanto importante quanto necessario.
Nonostante il successo commerciale e culturale del disco, il tour segnò per sempre la vita di David Bowie che iniziò la sua dipendenza dalle sostanze stupefacenti. Fu la dipendenza dalla cocaina che lo portò a “uccidere” Ziggy Stardust e a far nasce il suo nuovo alter-ego, il “The Thin White Duke” (il Duca Bianco).
Il disco successivo ha ancora una copertina che fa scandalo con in primo piano la metà del tronco e il volto di Bowie su un corpo di cane. È Diamond Dogs del 1974.
L’opera è considerata un concept album, anche se l’ispirazione è duplice, fornita da due testi importanti, Ragazzi Selvaggi di William S. Burroughs – altro scrittore maledetto: narra di una banda di adolescenti omosessuali e tossicodipendenti che semina distruzione e caos – e 1984 di George Orwell, famoso racconto distopico in cui si dipinge una oppressiva società futura guidata dall’onnipotente Big Brother (sul sito, leggi qui).
Inserto musicale da YouTube, Fame, dal nono album in studio Bowie ‘Young Americans’ pubblicato nel 1975, fa cui furono estratti i singoli Young Americans and appunto Fame (Fama). Dal punto di vista musicale documenta la scoperta da parte di Bowie del gener funkie, di derivazione americana (1).
A fine 1974, Bowie si trovava a New York dove incontrò John Lennon sul finire del suo ‘lost weekend’, il periodo di eccessi passato lontano da Yoko Ono. I due si chiusero per un giorno intero agli Electric Lady Studios nel gennaio del 1975 ed è lì che nacque Fame.
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Un aspetto controverso della biografia di Bowie sono le accuse di simpatia per il nazismo, derivate da diverse dichiarazioni, foto, atteggiamenti riconducibili al periodo intorno 1975 rilascia alcune dichiarazioni di simpatia verso il nazismo, che saranno poi rettificate e (molto parzialmente) giustificate con la sua dipendenza dalle droghe di quel periodo. Il clamore è amplificato da una fotografia in cui sembra fare il saluto romano a una folla di fans che lo attende alla Victoria Station di Londra (foto contestata anch’essa).
In politica Bowie è stato molte cose, ma questo aspetto in particolare va ascritto alla sua attrazione per il lato puramente teatrale ed esoterico del nazismo – per le manifestazioni esterne del nazismo, come collezionista di memorabilia, ma fu anche lettore di Mein Kampf e ammiratore di Albert Speer (1905-1981), architetto di punta del periodo nazista. D’altra parte l’interesse per l’iconografia nazista è stato condiviso da diversi artisti (la serie di foto col Sieg Heil! di Anselm Kiefer del 1969 (foto qui sotto); anche Stanley Kubrick, sicuramente antimilitarista, ne era rimasto impressionato (nota).
E’ il periodo più buio della vita di Bowie, tra dipendenza da droghe, problemi mentali, addirittura provò attrazione per la magia nera a per le sedute sataniche.
Riesce ad uscirne con un trasferimento a Berlino ovest, alla fine del 1976.
La trilogia di Berlino è costituita da tre album consecutivi pubblicati dal cantautore britannico David Bowie alla fine degli anni settanta: Low (1977), “Heroes” (1977) – sul sito ascolta il brano nella colonna sonora del film JoJo Rabbit] 2019, regia di Taika Waititi: sui titoli di coda parte Helden, versione tedesca di Heroes, di David Bowie e Brian Eno (la versione scelta ha il testo inglese e la traduzione italiana in sovraimpressione – ndr)] e Lodger (1979).
David Bowie performing Heroes, live in Berlin. In this iconic live recording, David Bowie delivers a mesmerizing performance of “Heroes” during his 2002 concert tour, aptly named “The David Bowie Heathen Tour”.
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Gli album furono tutti incisi da Bowie nel periodo berlinese che vide l’artista sperimentare con elementi di musica elettronica, krautrock, ambient e world music in collaborazione con il produttore statunitense Tony Visconti e il musicista inglese Brian Eno. Nello stesso periodo strinse un sodalizio con Iggy Pop, con cui trovò una particolare sintonia, per quanto dal punto di vista stilistico non potessero essere più diversi (qui sono una foto dei due artisti sul palco). Altro mostro di trasformismo, Iggy Pop, che iniziò le sue provocazioni in epoca pre-punk (negli anni ’60, quando c’erano ancora i Beatles, ha attraversato la storia del rock e le ultime notizie lo danno testimonial di Gucci (!)
Il nodo cruciale di questo suo aspetto è l’album Scary Monsters (1980), alla fine di un decennio segnato da una serie di album memorabili, dal glam rock alle sperimentazioni berlinesi – storicamente, la fine delle utopie e l’inizio del cosiddetto riflusso.
Nel brano “Ashes to ashes” Bowie riprende il personaggio che l’aveva portato al successo, il Maggiore Tom, astronauta che in “Space oddity” (1969) celebrava l’allunaggio ma al contempo si perdeva stranamente a galleggiare nello spazio. Seguendo una parabola analoga agli ideali bruciati di quel periodo, nel 1980 Major Tom ricompare travolto dalle droghe pesanti, schiavo dei mostri che lo perseguitano nello spazio.
Ma anche la realtà in cui Major Tom desidera tornare non promette nulla di buono. In Scary Monsters si manifesta uno dei punti più alti della critica socio-politica nei testi di Bowie, che assume toni quasi profetici (Pietro De Andrea. “Bowie, il politico” in: https://iris.unito.it/handle/2318/1560250)
I want an axe to break the ice, I want to come down right now Ashes to ashes, funk to funky.
We know Major Tom’s a junkie strung out in heaven’s high hitting an all-time low
(Voglio un’ascia per rompere il ghiaccio, voglio venir giù subito. Cenere alla cenere, funk al funky.
Lo sappiamo che Major Tom è un tossico sperso nell’alto dei cieli caduto in una depressione storica).
Da YouTube: Ashes to Ashes. Il protagonista del brano che aveva accompagnato i primi passi dell’Umanità sulla Luna viene celebrato e salutato da Bowie, che gli dedica un’orazione funeraria (Ashes to ashes, dust to dust, cenere alla cenere, polvere alla polvere) prima di farlo sparire definitivamente nello spazio infinito.
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I dischi immediatamente successivi a Scary Monsters, sono segnati da un disimpegno che per la prima volta fanno diventare Bowie un fenomeno commerciale mainstream, che molti fan ancora rifiutano. E ci si riferisce innanzi tutto a Let’s Dance (1983).
Il grande successo dell’album sorprese Bowie. Nel 1997, egli disse: «All’epoca, Let’s Dance non era mainstream. Era virtualmente una nuova specie di ibrido, usando chitarre blues-rock in contrasto al formato dance. Non c’era niente che suonasse veramente simile ai tempi. Quindi sembrò commerciale solo in apparenza perché vendette così tante copie (…). Ma il successo di quel disco mi costrinse veramente, in qualche modo, a continuare a flirtare con “la bestia”. Fu una mia decisione, certo, ma sentii, dopo qualche anno, che mi ero bloccato artisticamente»
Resta da dire che l’influenza di Bowie su tutta la musica degli anni ’80 fu fondamentale. Questo periodo fu segnato più da David Bowie, singolo artista, che da tutto il movimento punk. Fu un elemento germinale (e avevano trovato in lui una confluenza) sia per la corrente New Wawe (con le sue tonalità decadenti, oscure, lugubri), che quella New romantic, lche curava molto la forma estetica, spettacolare della performance.
Chiudiamo con l’ultimo cambiamento, anche testimoniato in musica da Bowie, che è quello cruciale nella vita di tutti gli esseri umani: la morte. Come ultimo omaggio dell’artista ai suoi fan, l’album Black star uscito due giorni prima della sua morte (New York, 10 gennaio 2016).Da cui il brano Lazarus: già presente sul sito: leggi e ascolta qui.
Note
(1) – Funkie music – il funk o funky è un genere musicale nato negli Stati Uniti a metà degli anni sessanta da musicisti afroamericani. Si tratta di uno stile ritmato e ballabile che prende spunto dai generi soul, jazz e rhythm and blues. Questo genere riduce l’importanza della melodia e della progressione di accordi presenti nei generi vicini in favore di un marcato groove (una serie ritmica che si ripete ciclicamente) scandito dai ritmi del basso elettrico e la batteria (fonte Wikipedia).
(2) – Anselm Kiefer rappresenta, insieme a Georg Baselitz, uno dei grandi nomi della Neuen Wilden, il gruppo neoespressionista tedesco che si sviluppa in Germania durante gli anni Ottanta.
Il debutto di Kiefer nel mondo dell’arte avviene nel 1969 quando, appena ventiquattrenne, inizia a scattare una serie di autoritratti fotografici denominati Heroische Sinnbilder, che tradotto significa Simboli Eroici.
Il filo conduttore delle fotografie è la posizione dell’artista intento ad imitare il saluto nazista Sieg Heil, gesto che all’epoca ha sconvolto l’opinione pubblica. Dal 1945, l’anno di nascita dell’artista il paese aveva deciso di liberarsi di ogni riferimento al nazismo con un processo denominato ‘denazificazione’. L’intento di Kiefer non era quello di celebrare il nazismo, piuttosto quello di recuperare il gesto del Sieg Heil per dare uno slancio verso il rinnovamento e per eliminare la vergogna di un popolo che era stato sfruttato dal regime totalitario di Hitler. Il mezzo per apportare questo cambiamento sociale è l’arte, che diventa per l’artista il medium per comunicare anche argomenti che solitamente si preferirebbe insabbiare e nascondere (per eventuali approfondimenti: https://camerapertahome.wordpress.com/2020/06/11/le-occupazioni-fotografiche-di-anselm-kiefer/
(3) – Lo stesso Stanley Kubrick, noto per le sue posizioni antimilitariste e di totale sfiducia nel genere umano (il suo film più corrosivo sulla stupidità umane è Il dottor Stranamore, del 1964 [sul sito, leggi qui (sulla Stupidita e qui (sul film di Kubrick)].
Nel 1953 Stanley Kubrick debuttò con Paura e desiderio, genere guerresco che replicherà con Orizzonti di gloria (1957) e Full Metal Jacket (1987). Fu nei decenni successivi, tra gli anni sessanta e ottanta, che tentò di concentrarsi su una pellicola d’ambientazione nazista. Una fascinazione di lunga data.
Uno dei progetti che non videro mai la luce, un film su Joseph Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich e braccio destro di Hitler. Tra le idee su possibili progetti sul nazismo, da annoverare anche il biopic sulla vita di Dietrich Schultz-Koehn, ufficiale nazista che scrisse recensioni sulle scene musicali tedesche sotto lo pseudonimo Dr. Jazz. O il film scritto da Andrew Birkin tratto da Memorie del Terzo Reich. Infine The German Lieutenant, che sceneggiò lo stesso Kubrick nel 1959 in collaborazione con Richard Adams e Alan Ladd protagonista, per una pellicola che avrebbe visto due ufficiali tedeschi alle prese con una missione suicida durante gli ultimissimi giorni della seconda guerra mondiale [fonte: https://www.hollywoodreporter.it/film/film-stranieri/tutti-i-film-mai-realizzati-o-finiti-di-stanley-kubrick-da-il-signore-degli-anelli-con-i-beatles-a-napoleon/93198/]
[David Bowie di Alessandro Alfieri. (3) – Fine]
Leggi qui per la prima parte, con annesso video della presentazione di Alfieri, da Youtube
Leggi qui per la seconda parte
Sandro Russo
1 Aprile 2024 at 20:22
Ho completato con colpevole ritardo la trascrizione – in tre puntate! – della presentazione su David Bowie che Alessandro Alfieri ha fatto al teatro Manzoni il 23 gennaio, in circa un’ora e mezza (condensata su YouTube in un video di circa 54 min; senza gli inserti musicali, però, che ho aggiunto nella versione trascritta). La presentazione si può ascoltare nella prima delle tre puntate.
Trascrizione tardiva e faticosa (per mia cronica mancanza di tempo) ma una volta di più – e soffermandomi il tempo necessario per approfondire i diversi aspetti della trattazione – ho potuto apprezzare l’essenza dell’artista David Bowie, uno dei miei preferiti da sempre. Merito di Alessandro, che ha saputo mettere in evidenza le complesse radici culturali di Bowie, crocevia e rielaboratore dei temi portanti del Novecento, tra i più complessi – “germinale’ – dice Alessandro – della scena musicale dagli anni ’70 a oggi. Geniale e di un’originalità che non ci si stanca di ascoltare.