proposto da Sandro Russo
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Ricevo da un’amica, ripreso dalla pagina Facebook di Adriano Sofri: “Conversazione con Adriano Sofri”, post del 15 luglio 2023.
Vecchi: segnati dal tempo, siamo noi i segnatempo. Siamo la “memoria d’uomo”
di Adriano Sofri
C’è un lungometraggio di Anne de Carbuccia, 96 minuti, “Earth Protectors”, custodi della terra. Io l’ho guardato su Prime video – con un noleggio strampalato di 1,90 euro: lo regalino piuttosto, per un calcolo di costi immediati e ricavi differiti.
Le immagini sono magnifiche, ma questo ormai succede. Sono prove a carico. La parte che mi ha spaventato è girata nell’Himalaya, e mostra l’abbandono di antichi villaggi da parte dei loro abitanti.
I duemila ghiacciai della catena, quelli dai quali scendono i grandi fiumi dell’Asia, che dissetano più di un miliardo e mezzo di umani, retrocedono rapidamente, lasciando a secco comunità la cui quota nel consumo globale di energia è pressoché nulla: lo sterco delle mucche che bruciano per riscaldarsi.
Sotto i nostri occhi queste persone e gli altri animali fanno i bagagli e si incamminano giù dai loro sentieri erti. Ora siamo rifugiati climatici, hanno imparato a dire. Non sanno credere che altrove nel mondo, specialmente nel mondo che l’energia la dilapida, ci sia chi non ci crede. Come se fosse un’opzione, crederci o no. Se non ci credi, muori di fame e di sete.
L’autrice del film è nata in Corsica – come Napoleone, Pasquale Paoli, e soprattutto la Colomba di Mérimée – è una donna d’acqua, è diventata apneista alla scuola di Cousteau, poi alpinista e selvatica non so come. Attraversa il mondo per conoscere e fotografare i luoghi più belli dunque più minacciati.
Li fotografa insieme a segni del suo passaggio, come quelli delle nature morte – vite silenziose: una clessidra, un teschio, radici, scarti di giada e pangolini assonnati, coralli, una ghirlanda… Scrigni del tempo, li chiama. L’ho vista una volta, bella, giovane – non avevo con lei niente in comune. Tranne una cosa: l’antropocene (1).
Lei ci crede, crede che viviamo un tempo in cui gli umani decidono del destino di tutte le specie. Be’, anch’io, da un bel po’. E mi rivolgo ora ai vecchi come me, o più, o quasi.
Su me i cambiamenti si sono inscritti come altrettante rughe, mutilazioni, cicatrici. Non diffido della scienza, al contrario: sono io stesso un diagramma del mutamento climatico. Ogni vecchio lo è, basta che si passi la mano addosso, basta che socchiuda gli occhi e si faccia frugare dall’aria – annusi e perquisisca l’aria. Vecchi, amiche e amici! Noi siamo come quelle statuine kitsch che diventano blu quando è asciutto – fa bello! – e diventano rosa quando è umido.
Segnati dal tempo, siamo noi dei segnatempo. Fidiamo in quello che vediamo e sentiamo, quello che ricordiamo. Ogni volta che un antico contadino di Faenza dice a un telegiornale, “Una pioggia così non s’è mai vista, a memoria d’uomo!”, quello è uno di noi. Noi, la memoria d’uomo.
Le inondazioni della Romagna forse non sono direttamente connesse con la crisi del clima. Può darsi. Sono connesse con la crisi dell’uomo. Abbiamo appena assistito a un’esemplificazione tremenda dell’idea dell’antropocene – non è un’idea vanitosa, è un’idea disperata – che non avevamo saputo immaginare, perché, almeno nei nostri climi già civilmente e meteorologicamente temperati, ci eravamo disabituati alle guerre: l’inondazione della steppa dalla diga di Kakhovka in giù, la foce del Dnipro, gli orti e le sabbie di Kherson, la piana e il Mar Nero fino a Odessa, e i raccolti spacciati, i veleni, il colera.
Ci eravamo fatti uno scenario tragico delle nostre responsabilità divise in due: la guerra e la sua distruzione (la guerra è il più coerente negazionismo del mutamento climatico, non a caso è la passione del benzinaio del Cremlino) per un verso, la consumazione pacifica delle risorse, fino all’aria che respiriamo, per il verso opposto. Basta minare la diga sul grande fiume, e i due versi, guerra e pace, si fondono. Il prossimo esperimento è già piazzato sulle terrazze della centrale nucleare di Energodar, e già il tanto parlarne vale una nuvola radioattiva.
Anne De Carbuccia si muove agilmente nei luoghi più impervi, dev’essere così che riesce ad arrivare a tu per tu con una tigre dai denti a sciabola e ritrarla. E’ una creatura armoniosa – anche la tigre. C’è una sua mostra nel Cortile del Rettorato, a Torino, fino al 30 agosto.
Il film è un suo bilancio più o meno decennale. Mostra luoghi del pianeta in cui giovani donne e uomini si adoperano creativamente, solidarmente, e spesso, per necessità, audacemente, a salvare il proprio ambiente o almeno a curarne la malattia (Sul magnifico Bajkal, per esempio, la più grande riserva d’acqua dolce. Tra gli Shipibo dell’Amazzonia peruviana. Grazie ai quattro fratellini della foresta colombiana abbiamo riscoperto che cos’è una sapienza indigena).
Lo Manthang, Upper Mustang, dunque. Un regno isolato nel nord dell’Himalaya. “Giocavamo nei fiumi e andavamo a cavallo. Il primo visitatore arrivò nel 1992. Ci ha lasciato le sue Polaroid”. Dzendong, Samdzong, villaggi disertati, lasciandosi indietro le maschere degli dei protettori, i mantra scolpiti, le ruote della preghiera. Popolazioni sentinelle, sul fronte. Strana guerra, cominciata sguarnendo il fronte, smobilitando le sentinelle
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Le immagini e i testi successivi, relativi al film, sono stati ripresi (a cura della redazione da IMDB – Internet Movie Data Base)
Summary (from IMDB – Internet Movie Data Base)
As a leading environmental artist, Anne de Carbuccia has for the last decade artistically portrayed and documented human-caused threats to the planet, including drought, plastic oceans, species extinction and endangered cultures. Her feature-length documentary, Earth Protectors, addresses our need to adapt as a species to the Anthropocene: the new era in which the impact of humans overwhelms natural cycles with fires, floods, pollution, super typhoons and a deadly virus that has paralyzed the world. On her expeditions around the world creating her art installations, Anne meets a new generation of women and men who are working to save our planet, and is inspired by their commitment and their achievements. Her narrative recounts the stories and the diversity of these young protagonists whom she calls “Earth Protectors”. She weaves together the stories of the Earth Protectors like a patchwork, with impactful images and interviews. Earth Protectors gives hope and inspires us all to act. While filming this documentary, Anne and her crew (along with the rest of the world) are confronted with the coronavirus pandemic. The crisis brings focus to the film’s message and highlights the importance of both our connection to our planet and of trust in science.
Note
(1) – Di “Antropocene” hanno scritto Marco Belpoliti e Serenella Iovino. Abbiamo presentato l’articolo relativo sul sito, in questo modo: “Tre fuoriclasse da non perdere per nessun motivo: Marco Belpoliti che recensisce un libro di Serenella Iovino su Italo Calvino. Tema: gli animali nell’era geologica dominata dall’uomo”
(2) – Ibidem. Notare, in molte delle immagini (non in tutte) la ricorrenza della clessidra e del teschio, presenti anche nella locandina del film; una sorta di logo, o immagine portante, sintetica del senso dell’opera
Guido Del Gizzo
16 Luglio 2023 at 19:29
Bello l’articolo di Sofri.
Potremmo parlare a lungo del personaggio – oggetto di uno dei processi più ignobili della storia – al netto di tutti i discorsi possibili e condivisi sulla funzione della pena, il recupero etc etc…
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Nota a cura della Redazione
Adriano Sofri (Trieste, 1º agosto 1942) è uno scrittore, opinionista e attivista italiano, ex leader di Lotta Continua, condannato a ventidue anni di carcere – dopo un lungo iter giudiziario – quale mandante, assieme a Giorgio Pietrostefani, dell’omicidio del commissario di polizia Luigi Calabresi, avvenuto nel 1972.
Come esecutori materiali furono condannati invece i militanti di Lotta Continua Leonardo Marino e Ovidio Bompressi.