Turismo

Progressi (2). O sostenibilità o morte

di Francesco De Luca

per la prima parte (leggi qui)

 

Il titolo è categorico, non ammette sconti. Da parte mia sono convinto sia della necessità di adottare il criterio della  ‘sostenibilità’  in ogni ambio umano: ambientale e sociale; sia della tragicità della conclusione, ove mai fossimo sordi al suo impegno. Riconosco però che le argomentazioni che potrei addurre sono di stampo convenzionale, non essendo io un esperto del settore. Posso soltanto ripetere le ragioni degli ambientalisti avveduti. Per cui giudico da me che apparirei banale. E poiché vedo tale rischio penso di poter suscitare interesse alla tesi della sostenibilità se ne indico le implicazioni nella realtà fattuale della nostra isola.

Orbene, la prima preoccupazione che mi balza è quella inerente alla natura dell’affermazione del titolo. Dire: o sostenibilità o morte non è propagandare una ideologia. Qui non si parla di slogans, buoni per convincere, qui si tratta di partire da una situazione di fatto accertata, e vederne le conseguenze ultime. Superando le nostalgie, le simpatie, il formalismo e il perbenismo. Faccio un esempio. E’ evidente oggi, alla luce della situazione attuale, che nel porto di Ponza non è più possibile fare i bagni. Così come è evidente che certe calette a cui si accedeva 30-40 anni fa (la mia generazione) attraverso sentierini abbozzati fra dirupi, non sono più raggiungibili via terra. Chiaia di luna… quante cartoline e foto circolano e la ritraggono colorata di gente a mare e sulla spiaggia… ebbene non è possibile più goderla a quella maniera. Non lo sarà mai più, nonostante i miracoli dell’ingegneria e della tecnologia. Perché? Perché insieme al fatto che la realtà fisica è mutata, anche la sensibilità sociale è mutata e, con essa, le norme d’accesso alla spiaggia, di stazionamento, di fruizione.

Il fenomeno turistico, da possibilità di svago qual era, è diventato un  ‘affare’  di enorme portata economica. Ne è scaturita tutta una serie di conseguenze che investe i mezzi di trasporto, il soggiorno, le modalità di svago. Si è andata affinando la richiesta e si è ridefinita l’offerta. Nel tempo, l’aspirazione alla vacanza estiva si è estesa dalla classe sociale agiata alla classe media e a quella bassa. Così come intere popolazioni hanno sentito il bisogno di muoversi, di visitare paesi diversi. Lo stesso ‘turismo’ è diventato un termine vago, tanto da comprendere quello nautico, quello sportivo, quello d’arte, quello etnologico, naturalistico, enologico, gastronomico… e così via. E a Ponza? A Ponza il turismo deriva dall’insularità. In più… è una piccola isola… con le caratteristiche dell’esiguità territoriale (piccola comunità, rapporti espansi e ristretti, bellezze naturali proprie) con, correlate, le sue carenze: poca viabilità, scarsità di stimoli culturali, limitatezza delle bellezze naturali, esiguità dei servizi. Con un rapporto costo-beneficio condizionato da fattori aleatori: il tempo meteo, ad esempio. Oppure la simpatia dell’ospite isolano.

Questi aspetti propri dell’ offerta turistica ponzese stanno affiorando adesso ma fino a poco tempo fa il turismo a Ponza era visto come possibilità inesauribile. Indefinita e, pertanto, aperta ad ogni apporto. Venga chi vuole, e trovi da sé il suo spasso. Senza una caratterizzazione precisa e dunque senza una programmazione, e perciò senza restrizioni. Il Centro storico stravolto da discoteche all’aperto, ristoranti situati in grotte insalubri, bar senza servizi igienici, calette affollate di giorno e di notte, viabilità cittadina intasata e caotica, attracchi selvaggi. Sull’altro piatto della bilancia: coste meravigliose, calette ospitali, faraglioni, spiaggette, mare diamantino.

Oggi entrano in gioco altri fattori. Anzitutto, la fine della pandemia permetterà agli Italiani di sciamare per il mondo, il che riproporrà la concorrenza con le coste mediterranee: quella illirica, quella greca, quella africana.

Ci sono poi talune criticità croniche che si evidenziano con maggior crudezza perché il concetto stesso di turismo si è andato affinando. Non ci si accontenta più dell’ autentico, si richiede un equilibrio più stringente fra costo-svago-crescita culturale.

E tutto questo in una realtà fisico-umana che ospita 3500 residenti nel periodo invernale e 15.000 vacanzieri ad agosto. E’ un paese-sistema votato ad andare in tilt. Comunicazioni, ormeggi, stazionamenti, consumi, e derivati dai consumi: immondizia e usura del territorio. Non solo, ci vanno di mezzo i rapporti umani ovvero la vivibilità. E’ un discorso che non può essere né taciuto né negato, e che riguarda le relazioni fra i residenti; le relazioni fra i residenti e i lavoratori dipendenti stagionali; le relazioni fra i residenti e i vacanzieri. I residenti si sentono datori di lavoro e tendono a capitalizzare i proventi; i dipendenti stagionali tendono anch’essi a capitalizzare i proventi, sottoponendosi a ricatti indebiti; i vacanzieri tendono a mettere in relazione più stringente i costi con i benefici. E’ ineludibile il conflitto di interessi opposti… a danno della vivibilità. Chi o cosa può mettere controllo alla giusta tensione al guadagno di tutti i fattori in gioco? Chi o cosa può bilanciare tali fattori nel senso della previsione futura? Manca il criterio razionalizzante che può considerare le richieste delle parti e ad esse dare una conclusione favorevole: la sostenibilità. Essa prende in esame l’intero complesso: quello fisico, naturalistico, ecologico, culturale, economico, storico e sociale. Essa media e amministra, limita e incentiva. Essa è imposta dalla limitatezza del territorio isolano, dalla sua conformazione antropologica, dalla fragilità ecosistemica.   

Mi avvedo che dei due termini del titolo uno è stato sviscerato: la sostenibilità; l’altro, la morte, no. E allora… come può entrare nell’insieme del discorso… la morte? Vi entra perché, continuando a usufruire del turismo attuale il paese-sistema deflagherà. Perché si impoverirà delle dotazioni di cui gode oggi. Il capitale naturalistico, non protetto e non soggetto a cure, mostrerà appieno la sua fragilità. Il capitale umano ( culturale ) perderà i connotati dell’ originalità e diventerà omologato. Il futuro di una piccola isola come Ponza, priva di una visione di futuro sostenibile e avveduta, sarà quello di un parco-giochi. Un non-luogo, dove tutto è possibile e nulla si realizza, perché manca l’anima della tradizione a sostenerla, l’entusiasmo di un traguardo comune a sorreggerlo.

1 Comment

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  1. Biagio Vitiello

    22 Maggio 2023 at 13:24

    Buongiorno, ho letto l’articolo di Franco credendo di trovare qualcosa per me interessante, ma purtroppo non è stato così. Franco “batte sempre dove il (suo) dente duole” (il turismo)”, ma non dà soluzioni fattibili, e non so spiegarmi il perché.
    Noi ‘indigeni’ (residenti effettivi) abbiamo anche problemi più importanti, uno di questi è la Sanità; ci si dimentica spesso che per fare un esame diagnostico come una radiografia o una visita specialistica, dobbiamo andare urgentemente a Formia (con aggravio di spese e la possibilità di non rientrare a Ponza), non voglio dilungarmi su questo, ma un’altra cosa in merito devo dirla: l’amministrazione non ha ancora espresso un assessore o delegato alla Sanità. Una cosa sacrosanta che a noi ‘indigeni’ spetta è di avere gli stessi servizi dei cittadini continentali, perché paghiamo le tasse come loro.
    Concludo. Se le isole minori non avranno una legge ad hoc per la loro sostenibilità, saremo destinati a sparire. Allora mi chiedo: tra poco si vota per le europee; avremo un flusso continuo di portaborse che faranno solo gli interessi propri, ma chi votare se l’Europa non si è mai interessato della sostenibilità delle isole minori? Il cittadino stufo di questo schifo sicuramente non andrà a votare, e questo avviene sovente ed è dimenticato sempre dalla politica.

    P.S. – A chi deve fare esami diagnostici urgenti o visite specialistiche che non si possono fare a Ponza, almeno il biglietto dei mezzi Laziomar dovrebbe essere rimborsato.

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