Racconti

L’angolo di Lianella/49. La mia esperienza della malasanità

di Amelia Ciarnella

In genere si pensa che la Sanità italiana sia formata da medici che, oltre ad avere una laurea in medicina e una vasta cultura generale, abbiano anche una vocazione, come quella che hanno i preti per la religione cattolica e siano dei medici umani, buoni e coscienziosi con i pazienti: specialmente in ospedale. Ma bisogna essere molto fortunati ad incontrarli, poiché sono davvero in pochi e se a breve qualcosa non cambierà, l’Italia rimarrà senza medici, poiché buona parte dei giovani la laurea la prende in Italia, ma la professione la svolge all’estero dove pagano bene.

Nei tempi attuali è impossibile ignorare ciò che succede dentro gli ospedali strapieni di gente stesa sui lettini nei corridoi in attesa di essere visitata. Questo succede perché molti, per ogni piccolo problema che si potrebbe curare a casa, specie se l’individuo ha una certa età e non è più autonomo, viene trasferito in ospedale dove, come si sa, i medici scarseggiano. Inoltre bisognerebbe sempre tenere presente che il medico non è un padreterno che guarisce all’istante qualunque cosa, né un robot fatto di ferro, ma una persona come tante altre che, dopo aver visitato tanti pazienti e lavorato più del dovuto, si sentirà stanco, stressato e potrà non sentirsi bene sbagliando anche qualche diagnosi.

Inoltre finché il medico si stranisce a causa del troppo lavoro è umano e normale, però se ne possono incontrare alcuni molto presuntuosi che si ritengono infallibili e a volte “sparano” diagnosi con la massima sicurezza anche quando non hanno capito niente.

Ricordo che una volta insieme a mio marito andammo in ospedale dove conosceva alcuni medici fra i quali due oculisti, poiché da diversi giorni avevo un occhio che lacrimava e mi dava fastidio. Ma non si vedeva assolutamente niente.

Il primo oculista voleva farmi un raschiamento all’occhio. Il secondo voleva togliermi il canaletto lacrimale. Mio marito non mi fece toccare né dall’uno né dall’altro. Il giorno successivo mi fece visitare da un terzo oculista che, con molta sincerità, disse che non era possibile fare alcuna diagnosi poiché non si vedeva nulla, ma se mi avesse portato nell’ospedale dove lui lavorava, mi avrebbe guardato con un apparecchio specifico.

Ci recammo quindi nel suddetto ospedale dove quel bravo medico mi visitò attentamente, dicendomi che quella pagliuzza di uccello infilatasi nel mio occhio, mi avrebbe fatto venire il tracoma e avrei perso l’occhio, poiché le pagliuzze di uccelli non si sciolgono mai. Così dopo una breve cura, per fortuna, tutto tornò a posto.

E ancora negli ospedali italiani ci lavorano medici di diverse nazionalità, ma la maggior parte, ovviamente, sono italiani. Però sono persone come tante altre, con la sola differenza che hanno una laurea in medicina, ma come tutti, ognuno ha il suo carattere, i propri difetti, le sue fissazioni e le sue “aspirazioni particolari”. Come quel vice primario dell’ospedale di Saronno che voleva rendere la morte “dignitosa!” e insieme alla sua amante-infermiera eliminarono in tre anni una dozzina di pazienti dentro lo stesso ospedale dove entrambi lavoravano. Poi scoperti, lui finì all’ergastolo e lei ebbe trent’anni di carcere.

In quel periodo, anche in un’altra importante clinica del Nord ne succedevano tante. Il proprietario della struttura ordinava ai chirurghi della sua clinica di togliere gli organi ai pazienti senza nessuna necessità. Quando un paziente si presentava in quella clinica con un dolore interno, il professore di turno, d’accordo col proprietario, dal quale avrà avuto dei bei soldoni! gli toglieva magari un rene, oppure un altro organo che lui riteneva adatto, attribuendo la causa di quel dolore all’organo tolto. E dallo stesso momento il povero paziente diventava invalido a vita!

Questo succedeva sempre e soltanto per soldi e i chirurghi si prestavano a fare queste atrocità pur sapendo che qualora fossero stati scoperti la loro carriera si sarebbe conclusa là. Forse i soldi a determinate persone offuscheranno completamente il cervello. Chissà!

E’ un mondo strano e forse lo è sempre stato. Solo che anticamente la massa della gente era quasi tutta analfabeta e se gli imbroglioni e i ladri facevano le stesse cose di oggi, nessuno sapeva nulla, poiché non esistevano né radio, né televisione, né tanto meno giornalisti. Perciò tutto rimaneva nascosto.

Succedeva anche che certi proprietari di strutture private avidi e avari, ma extra-miliardari, pur di risparmiare al massimo, assumevano e assumono pochissimo personale. Ci sono molti infermieri bravissimi senza lavoro che a volte sono proprio loro a salvare la vita delle persone ricoverate, poiché stando più vicini ai malati ci parlano spesso durante il giorno e sono più informati sulla loro salute. Mentre il medico, che passa di tanto in tanto ne sa meno dell’infermiere, anche se lo stesso lo informa sui malati.

Quando era lo Stato a pagare, i direttori degli ospedali, al fine di guadagnarci di più, prolungavano al massimo i ricoveri ospedalieri. Perciò le persone disoneste trovavano, trovano e troveranno sempre il sistema per imbrogliare e truffare. Ricordo che mia madre, in quegli anni, fu ricoverata per una frattura all’anca e la operarono dopo otto giorni, rimanendo ricoverata ben ventisette giorni. Adesso che lo Stato non paga più, per lo stesso intervento, dopo forse una settimana, ti mandano a casa.

Perciò la malasanità non sparirà mai e chi ha la disgrazia di sperimentarla dentro l’ospedale specie d’estate, la conoscerà meglio di ogni altro.

Mio marito conobbe la vera malasanità nel 1998 dentro un importante ospedale di Roma dove entrò ridendo e scherzando con me e ne uscì dopo nemmeno un mese chiuso in una cassa da morto.

Il suddetto ospedale passava e forse passa ancora, per un super-ospedale.  Ma è soltanto un ospedale-scuola dove di “Super” ci sono soltanto i primari. Tutti gli altri medici arrivano in quell’ospedale con poca o nessuna esperienza pratica. Cosa normalissima poiché la teoria si studia all’Università e la pratica si fa in ospedale anche sui malati. Non é una novità né un’offesa per nessuno. A volte sono più attenti i principianti che non i medici esperti, i quali a volte fanno le cose troppo in fretta e, come si dice, presto e bene non stanno mai insieme perché si può sbagliare. In ospedale è tutto complicato e difficile: sia per chi cura che per chi deve essere curato. Perciò si deve andare in ospedale solo per assoluta necessità.

Mio marito, medico di 72 anni, fu operato da un bravissimo chirurgo, ma per farlo “ricucire”, lo passò all’apprendista di turno che gli era accanto. Ma quello non mise tutti i punti in modo esatto. Uno dei quali si aprì, ci fu un versamento che gli bucò lo stomaco.
Fu trasferito in rianimazione dove c’era un’aria condizionata così fredda che mio marito, costretto a rimanere a torso nudo, non sopportava. Chiese una coperta che però non arrivava. Arrivò soltanto quando chiese di voler parlare col responsabile. Ma già gli avevano fatto venire la polmonite. Dopo di che lo sedarono. Avevano capito di avere a che fare con un tipo che non sopportava il lavoro fatto male. Da quel momento lo tennero quasi sempre sedato per una quindicina di giorni, con poche pause.

Ogni familiare poteva visitare il suo parente malato per mezz’ora, una sola volta al giorno che, per poter entrare, doveva indossare una “bardatura” davvero esagerata, mentre gli infermieri entravano, uscivano e andavano anche a prendere il caffè al bar fuori, attraversando buona parte del parco con le stesse pantofole e lo stesso camice che avevano nella camera di rianimazione. Tanto che una volta vi andò anche “striscia la notizia”, inviata forse, da qualche familiare proprio a causa di queste entrate e uscite senza togliersi né camice né “ciabatte” e nemmeno forse, lavarsi le mani.
In quella mezz’ora che permettevano ai familiari di entrare, io sentivo l’aria condizionata troppo fredda. Cosa certamente molto dannosa per i poveri malati sedati e a torso nudo. Però ottima e piacevole, per medici e infermieri. E ancora, trovavo spesso la flebo finita chissà da quanto tempo, ma nessuno aveva schiacciato il tasto di chiusura. Oppure la vaschetta dell’ossigeno priva di acqua e il malato dormiva sedato, ormai con la gola asciutta.
Questo si verificava certamente perché in agosto vanno tutti in ferie e in ospedale rimangono pochissimi infermieri e forse un solo medico per piano.
Intanto i giorni passavano e mio marito diventava sempre più fiacco e debole finché morì.

Ordinai l’autopsia pagandola e gli fu riscontrata oltre alla polmonite, una forte infezione da “candida” e l’espianto delle cornee: pur avendo mio marito, in piena facoltà di intendere e volere, firmato un foglio dove dichiarava di non sopportare medicinali in dosi massicce e di non voler donare le cornee.
Non tennero conto né dell’una, né dell’altra cosa.
Rimasi in causa sei anni. Poi i parenti mi convinsero a rinunciare poiché si doveva riesumare la salma sepolta nella tomba di famiglia, ma soprattutto perché in quell’ospedale ci sono i migliori avvocati del mondo e vincono sempre loro pur avendo torto marcio!

***

Appendice del 3 maggio 2023 (cfr. Commento di Sandro Russo)

Articolo di Massimo Recalcati su la Repubblica del 1° maggio 2023:

Il valore umano del lavoro. Di Massimo Recalcati.pdf

 

2 Comments

2 Comments

  1. Luisa Guarino

    1 Maggio 2023 at 15:07

    Resto senza parole di fronte a questa terribile esperienza di malasanità vissuta sulla propria pelle da Lianella, e che ha causato la perdita di suo marito. Via il tono leggero che usa spesso, Amelia fa con apparente distacco una cronaca dura e lucidissima di quanto è accaduto al marito, per giunta medico, e di conseguenza a lei e alla sua famiglia. Il dolore, a distanza di 25 anni, è ancora lì intatto, insieme alla rabbia immagino. Le sono vicina incondizionatamente, pensando anche a tutte le persone che purtroppo hanno vissuto e continuano a vivere esperienze analoghe.

  2. Sandro Russo

    3 Maggio 2023 at 22:58

    Mi sono trattenuto finora dall’apporre un commento all’articolo di Lianella sui medici, per le motivazioni che ha bene espresso Luisa nel suo Commento. Che qualcosa è andato per il verso sbagliato nel caso del marito e la degenza ospedaliera si è conclusa tragicamente. Quindi massima partecipazione umana per quanto le è accaduto.
    Ma detto questo, un caso personale non fa statistica e pur potendo capire l’avversione della signora per l’intera classe medica, non mi sento di condividerne i giudizi sommari, i luoghi comuni, le maldicenze da rotocalco (gli organi tolti senza necessità, gli imbrogli e le truffe… e altro che non sto a sottolineare).
    Sulla classe medica non tutti la pensano come Lianella e a fronte di errori che pure si fanno, molti potrebbero scrivere di qualche medico che ha salvato loro la vita; non per questo dalla loro esperienza si può generalizzare.
    Trovo le sue parole ingiuste e non serene (giustificate nel suo caso dall’esperienza vissuta), anche perché sono stato medico come attività principale della mia vita e conosco bene la tensione etica che guida il lavoro della maggior parte dei miei colleghi.

    Riporto in proposito un articolo uscito proprio lunedì scorso 1° maggio che si riferisce appunto al lavoro dei medici, a firma Massimo Recalcati, psicoanalista e saggista italiano che scrive anche, con cognizione di causa, su la Repubblica.
    Ecco il suo scritto (in formato .pdf nell’articolo di base).

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