Storia

I pescatori: la cattiva coscienza (1)

di Francesco De Luca

.

Propongo la lettura di pagine di storia ponzese affinché non cada l’oblio sul nostro passato.

Nella società ponzese i pescatori sono stati considerati fin dall’inizio dei marginali. La società coloniale ( 1734 – 1773 ) che Carlo III di Borbone impiantò sulle isole dell’arcipelago ponziano era imperniata sulla spartizione e sullo sfruttamento della terra. A questo servivano le braccia numerose delle famiglie dei coloni.

La pesca era praticata come attività collaterale, di ripiego, e dunque non importante nel complesso della società rurale. In seguito poté fungere da fonte primaria di reddito per chi non possedeva terra o non ne ereditò. Ma costoro, senza censo, erano gli ultimi della scala sociale.

La pesca cominciò a rendere quando, sollecitati dal mercato di Napoli e sull’esempio dei compaesani, Ischitani e Torresi, che pescavano stagionalmente nelle acque ponziane, ci si dedicò in prevalenza alla cattura delle aragoste e del corallo. Due prodotti che facevano prezzo già allora. A quel punto la società rurale si frantumò.

Siamo nella seconda metà dell’800. Dalla terra la gente va via ed espatria. A Ponza si instaurò una società marinaro-mercantile. Dall’isola i gozzi si irradiavano per il Mediterraneo alla ricerca di quei prodotti. Era una strada che portava in Sardegna, in Toscana, in Sicilia, in Tunisia a Gàlita, ed era lastricata da amari sacrifici. Il mercato veniva soddisfatto, e più soddisfatti erano non i pescatori, sia chiaro, bensì coloro che trafficavano col pescato: gli armatori. Le loro navi facevano la spola fra i gozzi e i porti dove vendere i pesci tanto richiesti. Dapprima con rischio alto, data la morìa del pesce durante il viaggio. Poi si scoprì che, praticando dei fori sotto la linea di galleggiamento dei velieri, le stive diventavano vasche-vivaio. E il commercio prosperò. Come per le aragoste così pure per i capitoni e le anguille.

A questo punto, siamo nel ‘900, la marineria provocò trasformazioni colossali nel corpo sociale.
A) Anzitutto si spostò il baricentro socio-economico dalla terra al mare. Tale spostamento fu operato dai pescatori. In seguito divenne appannaggio degli armatori.
B) Dal momento del suo sviluppo l’attività peschiera ha sempre rappresentato un futuro lavorativo sicuro, limitato e faticoso, ma sicuro. Il suo reddito, magari insoddisfacente, fece da base a quello complessivo familiare.

La contropartita sociale a tale intelligente opera fu nulla. L’unico intervento a favore della marineria furono i lavori di riadattamento del porto eseguiti dal sindaco Gaetano Vitiello (1901). Del tutto marginale l’iniziativa di usare il murenaio di Ponzio Pilato come vivaio per le aragoste. Fallì subito, perché il forte mare svelse la grata posta all’imbocco, lasciandole libere. Il tentativo, semmai, va ricordato per lo spirito associativo che l’animò. In definitiva non fu data, da parte della società isolana, una tangibile prova della maggiore considerazione meritata dai pescatori. Anzi, nemmeno un mutamento di giudizio. Rimasero al margine. E’ quanto si evidenzia nel conseguente sviluppo realizzatosi nel ‘900.

Negli anni intorno alla prima metà del secolo Ponza divenne sede di una flotta mercantile notevole. Era l’inevitabile epilogo di un processo iniziato con la vendita delle aragoste e adattato intelligentemente alle situazioni incontrate di porto in porto. Con l’espandersi dei commerci sorsero colonie ponzesi un po’ dovunque e tutte col piglio deciso dell’imprenditoria. C’era un fervore d’attivismo insolito. Cui non s’accodò la pesca, che continuò la sua opera tacita e laboriosa. Da essa s’era generata l’avanzata sociale verso il capitalismo commerciale. Talché alcuni fra i pescatori più pronti divennero armatori di velieri e commercianti. Per cui da uomini assoggettati al lavoro mutarono in uomini padroni di lavoro. La restante parte permanendo manovalanza.

La cesura fra le due parti si presentava tuttavia incolmabile. L’avanzata sociale non gratificò tutto il corpo lavorativo promotore. Ne accentuò le differenze, estraendone singoli che, da pescatori divenuti armatori, mutarono mentalità, compagnie, interessi socio-politico-economici.

Non vorrei dare l’impressione che, per posizione ideologica, distinguo marinaio da armatore. Lo so bene che il sistema è uno, e comprende diverse funzioni e competenze e rischi e guadagni. Pur rimanendo strutturalmente uno. Tuttavia sottolineo che nello Stato Liberale il riscatto dallo stato soggetto di pescatore era lento, difficile, raro, e che avveniva a danno della solidarietà lavorativa e quindi in modo individualistico ed elitario. I pescatori non lasciarono la marginalità.

Sottolineo questa costante del processo per affermare come la diseguale società statale del tempo era tale perché non teneva tutti i componenti sociali nella giusta considerazione. In seguito, nella società ponzese, questa marginalità è stata assunta come una legge. In armonia col senso di devozione istituzionale che essa, generata dalla munificenza dell’ Autorità, ha sempre nutrito, attendendo piuttosto che richiedendo, elemosinando la grazia piuttosto che gridando il diritto.

Comunque se si volesse avere un esempio tangibile di cosa abbia voluto significare tale marginalità si potrebbe notare come gli armatori delle ‘mburchielle (cosiddette i velieri con le stive-vivaio) sia stato possibile costruirsi una propria casa, e non alla maggioranza dei pescatori. Oppure ci si potrebbe attenere al sacrificio profuso nel destino dei pescatori ponzesi. Assoggettati, spesso più che al lavoro ingrato, alla tirannia di chi imprestava in paese i soldi per la campagna stagionale di pesca. Sia chiaro che non sto storicisticamente condannando quanto le cause oggettive determinarono. Ribadisco taluni fenomeni per avvertire in quale direzione bisogna convergere gli sforzi per rendere diverso il futuro.

Da Ponza: quale futuro? – Edizioni di Odisseo – 1984 pagg. 75-79

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top