Racconti

Come i ‘Malavoglia’

di Francesco De Luca

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Mercoledì mattino è il giorno destinato alle analisi mediche sul Poliambulatorio di Ponza. Stamane è toccato pure a me e, nell’attesa d’essere chiamato per il pagamento del ticket, ci si intrattiene.
Oggi il maestrale martella l’isola tanto che si temeva che non venissero effettuate le analisi che devono essere traghettate in continente per essere sviscerate nelle componenti  chimiche e rilevare i tassi presenti.
Invece no, assicurano che il traghetto è in viaggio. Chi lo afferma? E’ uno degli ormeggiatori del porto, anche lui in attesa.

Il presidio medico è efficiente. Da lì, in località Treventi, il panorama è mozzafiato e… poi Francesca ti chiama, perfeziona la richiesta, la dottoressa infine è sollecita e precisa.
L’attesa dovrebbe rappresentare il periodo di noia, e invece… c’è un mondo di relazioni che assalgono e riempiono il cuore. Di cosa? Vado con ordine.

C’è Andrea (l’acquaiuolo) che mostra un totano enorme catturato da un amico. Chiedo: – Ma anche prima si pescavano? 
– Come no! – risponde.
Si intromette nella conversazione Salvatore Feola, appassionato, anzi no, sfegatato pescatore di totani.
– Ma chi, il geometra?
– Esatto, proprio lui.
Con Andrea se la intendono perché la pesca è la loro malattia.
– Ma tu hai la barca a mare? – chiedo a Salvatore, con la curiosità che mi sollecita il fatto che in inverno il mare inclemente obbliga ad un’attenzione inesauribile altrimenti il mare rompe gli ormeggi e la distrugge.
– No – mi rassicura. In inverno va a pesca con amici. Gente di Cala Feola, con la barca ancorata nel cavo della cala. Relativamente al sicuro, se ben messa. Salvatore è in pensione e ogni volta che può cerca di soddisfare la sua passione.
– L’altro ieri siamo andati a Palmarola – narra – C’era un bel mare, eppure siamo passati nello stretto della ‘portella’, fra lo scoglio ‘Cappello’ e lo scoglio ‘Il fucile’, radente il faraglione di Mezzogiorno.
– Come è nata la tua passione per il mare?
– azzardo. E già perché Salvatore dopo le Medie ha proseguito gli studi in continente e, in seguito, ha svolto la sua professione come geometra, districandosi fra i desideri dei suoi compaesani volti ad ampliare vani, sempre nell’abusivismo, fra le ordinanze comunali tese a fermare i lavori, fra le cause dei paesani in lite perenne per confini e sconfinamenti.

Niente… la mia idea di Salvatore non è quella veritiera. Lui ha la pesca nel sangue. Tutta la sua famiglia ha vissuto traendo dal mare la sussistenza. Suo nonno, zi’ Tore Romano, capitano eroico, ha lasciato ricordi nella memoria collettiva dei Fornesi. Eppoi, anche un altro Feola ha lasciato tracce indelebili nella sua coscienza infantile. Di chi parlo ? Parlo di Z’Atore, ovvero Salvatore Romano. Un altro, con lo stesso nome del nonno. Padrone, costui, di un gozzo, con un motore bolinder a testata calda, insigne pescatore di castaurielle, ’i rutunne, ’i calamare. Maestro insuperato i sciavechiello, la sciabica: rete a strascico con i due capi che progressivamente si chiudono, intrappolando nella sacca il pescato.
Salvatore bambino si univa all’equipaggio e ha assistito a pescate ricordevoli.
Per il fatto d’essere amico e coetaneo dei figli di Z’Atore, frequentava quella barca a piacimento. E ne parla con entusiasmo. Sarà pure che la nostra età (la mia e la sua) indulge sui ricordi ma è indubbio che Z’Atore ha presso i Fornesi di Cala Feola un posto scolpito nel cuore. – – E’ come padron Ntoni dei Malavoglia – si lascia andare Salvatore.
– Durante la guerra – sono parole che a Salvatore vengono dai genitori – dalla pesca di Z’Atore mangiava tutta Cala Feola.
Nel dopoguerra i figli emigrarono in America, con enorme fortuna. Z’Atore rimase a Ponza e Salvatore gli è stato compagno di pesca, insieme a Livio (Romano).
Ancora ricorda quando, sulla testata del bolinder, in sosta a Palmarola, mettevano a cuocere i rotondi, prima di effettuare una seconda calata, e poi ritirarsi.

L’infermiera chiama Salvatore per il prelievo del sangue. Riconosco e saluto una signora. E’ la figlia di Michele Rispoli, e mi dice che il padre è a Formia per cure che non possono essere effettuate a Ponza. La prego di mandargli i saluti che esplicito anche qui. Fra i naturali demeriti di noi mortali Michele ha l’indubbio merito di dire a voce alta quello che pensa, dando risalto alla sincerità, spesso celata.

– Come è bello stare qui – confessa una signora, nell’atto di andar via.
– No, no – rispondo – ci sarà pure una bella veduta ma è meglio nelle nostre case. Qui, veniamoci soltanto a curare.

 

Immagine centrale. Da La terra trema, film di Visconti del 1948, liberamente tratto da I Malavoglia di Verga, ambientato ad Aci Trezza, nei luoghi stessi del romanzo: ogni fotogramma una foto da antologia (ndr).

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