Usi e Costumi

L’ammo scurato ‘i poppa

di Francesco De Luca

 

E’ una espressione gergale. Il riferimento preciso alla ‘poppa’  suggerisce che ha radici nel parlato dei pescatori o meglio, di chi ha dimestichezza col mare.

Come è avvenuto nei tempi passati e come avviene in tutte le lingue vive – e il dialetto o è una lingua viva o è un cimelio – l’espressione si è allargata anche a definire situazioni della vita comune, sia pure lontane dalle dinamiche della vita consumata sul mare.

La traduzione letterale è: l’abbiamo reso oscuro e dunque non visibile, anche guardando da poppa. L’abbiamo superato tanto da non vederlo più.

In mare l’espressione può essere generata dalla velocità dei natanti. In una ideale gara il più veloce distanzia chi lo tallona tanto da non vederlo più.
La stessa cosa può accadere anche se si incappa nel vento benevolo tanto da distanziare ogni barca vicina.

Nel parlare comune l’espressione può manifestare la soddisfazione o il rimpianto di essersi allontanati tanto da una situazione, da divenire essa ormai lontana, non più abbordabile.

Nella vita quotidiana, dominata da fattori caduchi ancorché dinamici, sono tante le situazioni che potrebbero trovare attinenza col fatto che il loro effetto è ormai inefficace, giacché l’attualità si è portata su altri binari e altre destinazioni. Alludo al tempo, ad esempio. Corre, e con esso si trasformano le prospettive che, a loro volta, modificano le aspettative, che a loro volta si infrangono sulla realtà quale si è andata evolvendo.

Una serrata indagine psico-esistenziale aprirebbe una voragine di situazioni personali, familiari, sociali, storiche tali da dover usare l’espressione  l’ammo scurato ‘i poppa. Perché la vita è come il mare. In perenne moto. Raggiunto un traguardo (nu petagno, un attracco), la corrente trascina, l’attenzione scema, ci si attarda su quisquilie e … ciò che aveva rappresentato una meta, non è più visibile ad occhio. Le onde giocano con la luce ed esse con gli occhi. Insomma  ‘u petagno l’ammo scurato  ‘i poppa.

Spero non accada con i fondamenti del nostro vivere civile. Evito di situare la vita di tutti noi nella ‘politica’. Non che essa non ci incorpori. Lo evito perché la politica evoca, oggi, nell’attuale nostra esperienza quotidiana, la lotta, la divisione, la partigianeria, la menzogna. Preferisco parlare del nostro vivere civile. Ovvero del tessuto di norme, tradizioni, storia e valori che ci uniscono, che ci fanno vivere insieme senza armi.

Ebbene tutto quello di cui abbiamo bisogno per orientarci in una sana vita civile sta scritto nella Costituzione. Che noi abbiamo elaborato e che ci vede attenti a renderla feconda.
I suoi dettami vanno interpretati, certo, ma non ignorati. E lì trova il giusto posto ogni cosa: per l’imprenditore che mira al suo fatturato e per il lavoratore che attende il salario; per l’imbonitore religioso che si prefigge l’obbedienza dei fedeli e per chi rifugge da ogni obbedienza teocratica per seguire i dettami della sua umanità.

Ripudiata, allontanata, lottata è ogni forma di violenza. Sia essa verbale, dei manganelli, delle posizioni finto-umanitarie, delle norme che ledono la giustizia sociale e i diritti.

N’a scurammo  ‘i poppa !  (non lasciamola indietro tanto da non vederla più). La nostra Costituzione ci ha resi liberi, perché partecipi, accoglienti, comprensivi, attivi, consapevoli, giusti, responsabili.

P.S. Perché ho preso a pretesto l’espressione gergale dialettale per parlare del bisogno morale di tenere la nostra Costituzione come stella polare del nostro vivere civile? L’ho fatto perché i nostri antenati traevano le massime cui attenersi dal loro vivere quotidiano. Non scimmiottavano (non l’avrebbero potuto) le espressioni in inglese, e non cercavano in altre culture i principi regolatori dell’esistenza. Essi vi si adattavano così come essa si palesava loro. Ripudiando di apparire ‘forti’  coi deboli e ‘deboli’ coi forti.

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