Musica

Una canzone per la domenica (234). Ian Anderson e i Jethro Tull

di Sandro Russo

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Alla tradizionale cena della vigilia del Natale, quest’anno il regalo di mio fratello è stato un’accoppiata di biglietti per i concerti dei Jethro Tull e degli Yes, in nome di un’antica comune passione per i gruppi Prog (Progressive Music, ne abbiamo scritto di recente: leggi qui in nota 2).
È stato così che ci siamo ritrovati la sera del 12 febbraio all’Auditorium Parco della Musica per risentire dopo tanto tempo il mitico Ian Anderson, anima, leader e frontman dei Jethro Tull. Una tra le bande più longeve della storia del rock: 1967-2023, va per i 56 anni, con sessanta milioni di album venduti nel mondo!
Straordinari, lui e il gruppo con cui ha attraversato gli anni della nostra vita, pur con successive sostituzioni e innesti.

Un libro recentissimo (sett. 2022), di Giuseppe Scaravilli, dedicato a Ian Anderson e ai Jethro Tull

Ian Scott Anderson, scozzese di nascita (1947), cresciuto nella capitale Edimburgo, nel 1959 si spostò poi con la famiglia a Blackpool, in Inghilterra.
Come egli stesso ha narrato in svariate interviste e nell’introduzione al video Nothing Is Easy: Live at the Isle of Wight (1), da giovane e volenteroso musicista autodidatta, dopo aver sentito suonare Eric Clapton in un concerto, decise di non dedicarsi ad un solo strumento ma a più d’uno, in quanto si disse che non sarebbe mai stato all’altezza del chitarrista inglese, così scambiò la sua chitarra elettrica Fender con un flauto traverso (e un microfono) e dopo alcune settimane di esercizio scoprì che poteva suonare abbastanza bene sia in stile rock che blues.
Infatti, oltre che cantante solista, Anderson è un poli-strumentista eccezionale. Negli album dei Jethro Tull Anderson ha suonato occasionalmente una varietà di altri strumenti, tra cui armonica a bocca, chitarra elettrica, basso, sassofono, tastiere, percussioni, organo Hammond, trombone e violino.

Anderson è autore dei testi e delle musiche della maggior parte dei brani dei Jethro Tull. Un brano particolarmente noto dei Jethro Tull, Bourée, libere ed estrose variazioni da un tema di J.S. Bach, è considerato paradigmatico della sua tecnica. Diciamo che Ian Anderson ha introdotto (sdoganato) il flauto traverso tra gli strumenti della musica prog rock. Niente di simile si era mai sentito prima di lui.

Da YouTube una versione della Bourée, alla AVO Session 2008, Basel:

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La carriera di Anderson è sempre stata caratterizzata da un’immagine fortemente distintiva sulla scena, che è stata spesso in contrasto con una diffusa cultura della musica rock. Mentre abitualmente ha tratto ispirazione dal folklore inglese, in tempi diversi da elementi stilistici del giullare medievale, menestrello elisabettiano, signorotto di campagna inglese o proprietario terriero scozzese, altre volte è apparso come un astronauta, motociclista, pirata o vagabondo. Il suo personaggio ha spesso comportato un elevato grado di auto-parodia (ibidem dal web: fonte principale Wikipedia).
Quanto al nome del gruppo Jethro Tull, (non) tutti sanno che è ispirato a Jethro Tull (1674 – 1741), agronomo e inventore inglese, pioniere della moderna agricoltura e inventore, nel 1701, della prima seminatrice meccanica; ma in gran parte fu dovuto al caso. Pare che all’inizio della carriera la loro musica non fosse un granché e il gruppo stentava a ottenere ingaggi. Per poter essere chiamati per nuove serate, dovevano ogni volta fingere di essere un gruppo diverso e quindi ogni settimana cambiavano nome alla band: tali denominazioni erano di solito suggerite dal loro agente, ma sembra che talvolta suonassero senza neanche sapere come si sarebbero dovuti chiamare. La prima volta che un loro concerto fu apprezzato da chi gestiva un locale (nella fattispecie da John Gee del Marquee Club di Londra) e che furono re-invitati a suonare, la band dovette tenere il nome della settimana precedente: “Jethro Tull“.

Dati l’enorme numero di album prodotti da Ian Anderson con i Jethro Tull, pur con diverse formazioni ma con un sound sempre riconoscibile, mi limito a scrivere di uno in particolare; con un altro standard di qualità, musica e testi e diversi livelli di lettura/ascolto, come molte, se non tutte, le realizzazioni della band.
L’album colpì il pubblico grazie alla celebre copertina raffigurante un barbone, molto somigliante al leader del gruppo. L’immagine impressiona soprattutto per la crudezza dell’espressione e dello sguardo del volto di Aqualung, cui fa da contraltare un manifesto che reclamizza eleganti e dispendiose vacanze natalizie in una località sciistica delle Highlands. Il titolo dell’album deriva dal rantolo roco del barbone simile – secondo Anderson – al rumore di un respiratore subacqueo (l’Aqua-lung ne è un modello particolare), infatti nel testo paragona la respirazione malsana del vagabondo – come un rantolo, a “deep sea diver sounds”, riferendosi al vero e proprio dispositivo aqua-lung. Così nel testo il barbone sconosciuto viene ribattezzato Aqualung (Aqualung, my friend…).

Il disco fu definito un concept album in quanto nelle canzoni si ritrovano legati da un filo comune i temi della vita, della critica alla società e di Dio (Aqualung, Cross-Eyed Mary, My God, Hymn 43, Locomotive Breath).

L’album mostra in copertina un dipinto dell’artista Burton Silverman. È un acquerello raffigurante un uomo barbuto dai capelli lunghi in abiti trasandati. Il senzatetto presente nella famosa cover richiama le fattezze di Ian Anderson, anche se Silverman sostenne che fosse un autoritratto. Il retro di copertina vede in basso Aqualung seduto su un marciapiede, in compagnia di un cane; lo sfondo in alto è indefinito e diventa scuro per ospitare un testo che dialoga con il concept album.

AqualungThe legendary group Jethro Tull with their big success Aqualung from the album Aqualung released in 1971… a very old and great one.

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Titoli degli album ascoltati e riascoltati e anni di uscita: Stand-up (1969); Benefit (1970); Aqualung (1971); Living in the past (1972); Thick as a brick (1972); A passion play (1973); Too old to rock and roll too young to die (1976); Songs from the wood (1977)

Potrei parlare a lungo della musica dei Jethro Tull, perché nella “divisione” degli album fatta – pacificamente – con mio fratello Renzo, quelli del gruppo sono toccati a me. Ma vorrei limitarmi al concerto dell’altra sera, riportando le impressioni scambiate all’uscita, dopo due ore di concerto (50 + 50 min. oltre a un quarto d’ora d’intervallo).
Si commentava con mio fratello e Gigi, un amico che era venuto in moto con Renzo, che era stato comunque un bel concerto, ben tirato, molto professionale… Certo, l’età c’è! Ormai Ian Anderson ha 76 anni… Chi glielo fa fare, a continuare con i concerti? Forse una passione divorante? Che l’ha sostenuto nella gran parte della sua vita? Renzo ricordava che era stato anche imprenditore: alla fine degli anni ’80 aveva rilevato un allevamento di salmoni che dava lavoro a 400 persone, in un’area economicamente depressa, Strathaird, Isola di Skye, Scozia. Attività ceduta nel 2001.
Rimane, Ian Anderson, un grande performer, quello che si dice ‘un animale da palcoscenico’. Continua a fare le sue corsette da un estremo all’altro del palco e a mantenere la posizione della gru, una sua caratteristica, su una gamba sola, con il piedino sollevato che oscilla su e giù… ma l’estensione della voce si è sensibilmente ridotta.

Ian Anderson al Marquee nel 1970

Si diceva ancora: Ma chi li va a vedere questi concerti? Certo i nostalgici, quelli che vogliono rivivere la musica che hanno amato così come se la ricordano. La sala grande dell’Auditorium (Santa Cecilia) era piena, in effetti, ma la gran parte del pubblico era “in età”. Ma un po’ stringe il cuore il confronto tra il prima e il dopo. Tanto più che in alcune esibizione durante la serata, sullo schermo dietro ai musicisti – due con i capelli bianchi, il tastierista e il basso; il batterista con la coppola e Ian calvo, con gli occhiali e la panza. Solo il chitarrista era giovane – venivano proiettate delle scene di vecchie esibizioni, dove Ian Anderson era ancora un folletto che tutti ricordiamo, con i capelli lunghi circonfusi di luce. Quale scenografo auto-lesionista gliel’ha consigliato? Oppure è stata una sua provocazione e un incitamento alla resistenza? Ci sono ancora e lotto e corro insieme a voi!?

Due immagini di Ian Anderson late, e (sotto) sulla copertina del suo album più recente (gennaio 2022). Un nuovo album, RökFlöte, ispirato alla mitologia norrena (nordica o scandinava), è previsto in uscita per l’aprile del 2023

Il concerto si è concluso ai biiis con un altro brano storico, sempre dall’album Aqualung: Locomotive breath, dove il ‘respiro’ della locomotiva si riferisce agli sbuffi di vapore prodotti dai pistoni della macchina, responsabile della caratteristica atmosfera nebbiosa e dell’odore metallico delle stazioni ferroviarie del 19simo secolo.

 

Note

(1) – Nothing Is Easy: Live at the Isle of Wight 1970 (2004) è un film concerto del gruppo progressive rock inglese Jethro Tull che raccoglie brani dal vivo e interviste tratti dal concerto tenuto dalla band nel 1970 e diretto da Murray Lerner.

1 Comment

1 Comment

  1. Cristina Vanarelli

    21 Febbraio 2023 at 22:04

    Ciao Sandro e Ponzaracconta
    Io ero al Brancaccio quando i Jethro Tull vennero a suonare a Roma. Non ricordo l’anno esatto ma ricordo una folla immensa. All’ingresso del teatro si erano ammassate un numero enorme di persone da non poter entrare e tantomeno uscire. Ricordo l’inizio del concerto: Ian Anderson seduto su una sedia. Intorno a lui buio. Il primo brano credo fosse Aqualung o My God! Inizia a suonare la chitarra prima adagio e poi in crescendo, fin quando al momento giusto si alza, dà un calcio alla sedia che vola via, si accendono le luci sul gruppo e la musica esplode nella sua totale espressione.
    Ricordo Ian Anderson passeggiare su e giù per il palco suonando il flauto, è vestito con uno strano frac! E’ a metà tra un menestrello e un clochard. Pubblico ovviamente in visibilio! Concerto Indimenticabile.
    A presto! Cristina

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