Musica

Gli anni ’70 – ’80. Il tempo dei Queen (terza parte)

a cura di Sandro Russo, dalla presentazione di Alessandro Alfieri al Teatro Manzoni del 18 gennaio 2023

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I Queen devono molto a David Bowie. Erano molte le affinità tra loro e fu emblematica del feeling la collaborazione sul pezzo Under pressure (1), un successo di entrambi. Ma l’impatto mediatico e i numeri di presenze che i Queen registravano ai loro concerti in America Latina, in Usa e in Asia erano incomparabili con quelli di David Bowie, troppo “intellettuale” ed ermetico (per il gusto americano soprattutto). Bowie è molto legato all’interesse per il paranormale e al mito dell’Alieno (2); il film “L’uomo che cadde sulla terra” ne è l’epitome. I Queen sono più ironici, meno inquietanti rispetto a Bowie. Godono della loro musica e del fatto di fare uno spettacolo che dia piacere, che sia perfetto in ogni sua parte. Non propongono al pubblico la condivisione del loro modello di vita come altri gruppi (anche nell’area del punk), facevano. Sono meno presuntuosi di molti altri sulla possibilità di sconvolgere il mondo, ma proprio per questo l’hanno cambiato.

Doveroso un accenno ai collaboratori dei Queen sulla scena e per l’allestimento degli spettacoli. Si è già accennato a Bruce Growers, autore del video ‘seminale’ di Bohemian Rapsody e di altri video dei Queen con i quali come regista era entrato in naturale empatia, soprattutto per l’idea di considerare i videoclip non come operazioni commerciali (di traino alla canzone o all’album), ma espressione artistica (l’art pour l’art, cui si accennava prima).
I rutilanti costumi di scena di Freddie Mercury erano opera di Zandra Rodhes (3).

Un terzo collaboratore importante del gruppo fu il fotografo di scena Mick Rock (morto nel 2021 a 72 anni), personaggio centrale di quegli anni, fotografo e amico dei principali gruppo sulla scena rock nella Londra di quegli anni (dei Queen in particolare). Ebbe a dire delle sue foto a Freddie Mercury che lui non fotografava l’anima, bensì l’aura, la speciale energia elettromagnetica che Freddie sprigionava quando era in scena.

La seconda parola chiave che utilizzeremo è Fantasmagoria. Propriamente con il termine si intende quella realizzazione artistica che occulta il suo stesso processo di realizzazione. Per fare esempi ‘alti’, di fantasmagoria fu accusato Richard Wagner da Theodor Adorno (egli stesso musicista e compositore), per il suo ideale dell’opera totale e perfetta. Un altro filosofo, francese stavolta, Alain Badiou 4), trova stretti legami tra la musica di Wagner e quella di David Bowie. A maggior ragione queste affinità esistono con la musica dei Queen (ma a onor del vero Badiou scrive solo di David Bowie).

Radio Ga Ga / Metropolis è un brano (e un video) notevole del repertorio dei Queen, primo singolo estratto dall’album The Works nel 1984. Il singolo si rivelò un successo mondiale per la band, raggiungendo il primo posto in classifica in 19 paesi diversi. Il videoclip utilizza degli spezzoni presi dal film ‘capolavoro’ dell’espressionismo tedesco Metropolis (1927) del regista Fritz Lang (5); lo stesso video verrà candidato per la miglior direzione artistica durante la prima edizione degli MTV Video Music Awards.

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Si è accennato ad Adorno per la sua critica a Wagner. È un altro aspetto della sua avversione nei confronti della cultura di massa. La fantasmagoria di Wagner è anche quella dei Queen (più ancora di David Bowie). Essa occulta la vita in funzione dello spettacolo. Per il capitalismo/consumismo il prodotto deve ‘sfavillare’. Ma la “rivoluzione” dei Queen, di produrre uno spettacolo senza incrinature non fa altro che inserirsi nello spesso processo produttivo che in apparenza prende di mira, di fatto essendo riassorbito nel mainstream.
A partire dagli anni ’60 Adorno opera una parziale revisione della sua critica nei confronti di Wagner, esportabile anche alla musica dei Queen. Riconosce piena validità all’autonomia dell’arte. Queste considerazioni valgono anche per gli epigoni italiani del fenomeno Queen nei suoi aspetti mass-mediologici (si possono fare i nome di Zenato Zero e Raffaella Carrà): l’idea del mito della bellezza assoluta, scrigno fatato non sfiorato dalle storture del mondo.
Tocchiamo qui il tema dell’Amore – la terza parola chiave insieme a Identità e a Fantasmagoria – a proposito degli ultimi due pezzi proposti a conclusione di questa presentazione. Due canzoni senza tempo che per quanto scritte prima della malattia di Freddie Mercury,  sembrano essere senza tempo, anticipare e interpretare l’epilogo della vicenda umana del frontman.

Somebody to love del 1976 è una richiesta disperata di amore. Nella magnificenza della bella apparenza, quasi una preghiera. Nell’amore richiesto al proprio pubblico la fastasmagoria diventa spettacolo.
Da YouTube: Taken from A Day At The Races, 1976 and Forever, 2014. Queen- Somebody To Love (promo video, 1976)

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La vita, la malattia, la morte. La grandezza non di aver raccontato il mondo degli anni ’70 e ’80, ma di averlo, per la loro parte plasmato, nei suoi aspetti di edonismo, teatralizzazione sfrenata, parossismo visivo fino al barocchismo.

La chiusa con quest’ultimo pezzo – sul sito, del 2014, leggi qui -, per un’altra (complementare) lettura. Ma lo riproponiamo anche qui in video.
Nato come colonna sonora del film Highlander, Who Wants to Live Forever è stata composta da Brian May, il chitarrista dei Queen, insieme a Freddie Mercury ed è la sesta traccia del loro album A Kind of Magic registrato dal vivo al concerto dei Queen a Budapest, del 1986.

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Freddie Mercury muore nel novembre 1991. Non è la fine dei Queen ma, di nuovo, la fine di un’epoca. Gli anni ’90 saranno tutta un’altra cosa…

Se ne riparlerà sempre al Teatro Manzoni il prossimo 15 febbraio.

 

Note (a cura di Sandro Russo)

(1) – Under Pressure è una canzone dei Queen con David Bowie. La canzone fu pubblicata nel 1981 e poi inserita nell’album Hot Space del 1982. Fu la prima collaborazione della band con un altro grande artista. Il pezzo ebbe una storia complessa; la sua versione finale emerse in una jam session che la band fece con Bowie nello studio di Montreux; per questo come autori del brano furono accreditati tutti e cinque i musicisti (fonte: Wikipedia).
Sul sito la canzone è presente in un duetto tra David Bowie e Annie Lennox come tributo a Freddie Mercury (altra storica reunion, stadio di Wembley, aprile 1992) – ascolta qui.

(2) –  L’uomo che cadde sulla Terra (The Man Who Fell to Earth) è un film del 1976 diretto da Nicolas Roeg. Pellicola di fantascienza il cui soggetto è tratto dall’omonimo romanzo di Walter Tevis. Il ruolo di protagonista è ricoperto da David Bowie (al suo esordio nella recitazione), già noto per l’immagine androgina (si esibiva in concerto nelle sembianze di un alieno umanoide, Ziggy Stardust). Il questo caso si pone l’interrogativo “Chi ha scelto chi”. Il regista la rockstar per il suo film, o Bowie il soggetto e il film?

(3) – Il futuro Freddie Mercury (nato Farrokh Bulsara), era stato prima di tutto eccellente nel disegno, tanto che si diplomò in grafica nel 1963 all’Ealing College of Art di Londra, la città dove approdò dalla natia Zanzibar e che allora era probabilmente il più importante laboratorio creativo del pianeta.
Farrokh abitava con la sua ragazza, Mary Austin, che aveva conosciuto nella boutique Biba e passava il tempo disegnando bozzetti di abiti, cappottini e pantaloni. La moda lo appassionava, tanto che nel 1969 con Roger Taylor (futuro batterista dei Queen) prese in gestione un banco al mercato di Kensington.
Lo stesso anno, sempre a Londra, la stilista quasi trentenne Zandra Rhodes apriva la sua casa-studio-atelier a Paddington, dove si divertiva a creare abiti assolutamente eccessivi, teatrali, coloratissimi, un po’ hippie un po’ barocchi. Fondamentale fu l’incontro tra loro. Gli abiti di Zandra erano esattamente quello che Freddie Mercury stava cercava.
Zandra e Freddie diventarono presto un tutt’uno creativo, con la stilista che interpretava i desideri del frontman e li traduceva in favolosi costumi che accompagnarono i primi passi del nuovo gruppo.

(4) – Alain Badiou (1937) Cinq leçons sur le cas Wagner (2010), trad. a cura di Fabio Francescato, Cinque lezioni sul caso Wagner, Trieste;: Asterios, 2011.

(5) – Metropolis – film del 1927, regia di Fritz Lang; soggetto di Thea von Harbou; sceneggiatura di Fritz Lang e Thea von Harbou. Metropolis era il film preferito di Hitler. Pare che questa predilezione del führer abbia spinto il potente ministro Joseph Goebbels, ministro della Propaganda del Terzo Reich a proporre a Lang la direzione del Centro di Produzione Cinematografica Tedesca. Quando Lang gli rappresentò di non essere esattamente un puro ariano, la risposta del Ministro fu emblematica: “Lei non ha capito che siamo noi a decidere chi è ebreo e chi no!?”. Una richiesta da parte di Goebbels non era di quelle che si possono; malgrado ciò Lang, pur dicendosi onoratissimo della proposta, gli chiese una notte per pensarci. L’agiografia narra che uscito dal colloquio con Goebbels, Lang si fece accompagnare direttamente all’aeroporto, dove acquistò un biglietto per Parigi, senza passare per casa. Con questo cambiando completamente da sua vita e il suo destino; e anche chiudendo del tutto con la moglie, quella Thea von Harbou, fino ad allora anche sua collaboratrice sul lavoro, fervente nazista, che ebbe incarichi di rilievo nel prosieguo. “In realtà il regista avrebbe lasciato definitivamente Berlino quattro mesi dopo il preteso colloquio con Goebbels, il 31 luglio 1933” (fonte Wikipedia). Successivamente da Parigi Fritz Lang si trasferì negli Stati Uniti dove continuò con successo il suo lavoro di regista.


[Gli anni ’70 – ’80. Il tempo dei Queen (terza parte) – Fine]

Per la prima parte, leggi qui
Per la seconda parte, leggi qui

 

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