Ricorrenze

Giornata della Memoria. Come contribuiscono il cinema e la letteratura

proposto da Sandro Russo

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Faccio la mia parte, prendendo qua e là, con le mie modalità di riferimento (tra giornali, cinema e letteratura, perfino una graphic novel) – per dimostrare che la mia consapevolezza dell’olocausto  – in realtà di tutta la generazione nata dopo i fatti che ha subito la censura sugli eventi (più o meno inconsciamente) sancita nei 10-20 anni successivi – deriva da quel che si è letto e visto al cinema.
Non è mai gradevole tirare fuori queste storie, ma bisogna farlo.
La spettacolarizzazione della tragedia è un rischio che nel cinema si conosce bene e si fa ogni sforzo per evitare [si parla del cinema ma si parla per estensione di tutte le arti, dalla letteratura (inclusa la poesia), alle arti visive].
Ricordiamo bene alcune stroncature famose, da Kapò di Gillo Pontecorvo (1960) a La vita è bella di Benigni (1997).

E’ famosa l’affermazione di Theodor Adorno (1903 –1969) del 1949: “Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico”: secondo un primo significato, ciò indica che dopo Auschwitz è impossibile, o ingiusto, fare poesia. Il termine “barbarico”, però, potrebbe anche significare “irrazionale”: quanto è accaduto chiederebbe al poeta di “ ricollocarsi entro uno stato percettivo e cognitivo tutto straniero e anteriore rispetto a quello della cultura occidentale, fondata sui principi (…) della razionalizzazione”.

Primo Levi (1919 – 1987) si pone più semplicemente rispetto al problema: in una intervista del 1984 con Giulio Nascimbeni che gli riproponeva l’affermazione di Adorno, egli risponde: “La mia esperienza è stata opposta. Allora (nel 1945-46 n.d.r.) mi sembrò che la poesia fosse più idonea della prosa per esprimere quello che mi pesava dentro (…): In quegli anni, semmai, avrei riformulato le parole di Adorno: dopo Auschwitz non si può più fare poesia se non su Auschwitz”, “…o per lo meno tenendo conto di Auschwitz” perché è stato un evento irreversibile nella storia umana, aggiungerà in una conversazione con Lucia Borgia.
E in una intervista del settembre-ottobre 1986 su Qol Levi preciserà ulteriormente: “Io credo che si possa fare poesia dopo Auschwitz, ma non si possa fare poesia dimenticando Auschwitz. Una poesia oggi di tipo decadente, di tipo intimistico, di tipo sentimentale, non è che sia proibita, però suona stonata. Mi pare che la poesia oggi, in qualche modo dovrebbe essere impegnata. Impegnata anche se non in modo vistoso. In modo esplicito, ma siccome penso che ogni essere umano debba in qualche modo impegnarsi, così a maggior ragione chi scrive prosa o poesia dovrebbe riflettere nel suo scritto un suo impegno. Ma non è un precetto, è una preferenza” (da https://www.peacelink.it).

Queste le premesse per presentare un film (che andrò a vedere stasera): Hometown – la strada dei ricordi.

Roman Polanski e Ryszard Horowitz sono tornati in Polonia per condividere i ricordi più personali della loro infanzia e giovinezza. Camminando per le strade di Cracovia, ripercorrono il passato e ricordano i momenti difficili della loro vita, durante l’Olocausto, quando si incontrarono nel ghetto ebraico costruito dai nazisti. Raccontano una storia di sopravvivenza – come Horowitz divenne uno dei bambini più giovani salvati da Oscar Schindler e come Polanski si nascose in un piccolo villaggio dopo essere fuggito dal ghetto, nella casa di una povera famiglia contadina. E anche se sono sempre stati diversi – la loro passione li ha tenuti insieme. Hanno saltato la scuola per andare al cinema, hanno sviluppato le loro prime fotografie e si sono innamorati dell’arte.
Nella triste realtà della Polonia comunista, contro il volere dei governi, hanno studiato i grandi artisti, hanno scoperto la bellezza del jazz e hanno iniziato a pensare di lasciare il paese.
Da quando Polanski ha lasciato Cracovia per girare film e Horowitz è fuggito a New York per perseguire la sua carriera nel campo della fotografia, non hanno mai avuto la possibilità di rivedersi in Polonia. Ora, dopo molti anni, tornano a vedere tutti i luoghi che li hanno resi quelli che sono oggi.
Qui di seguito da YouTube il trailer del film, scritto e diretto da Mateusz Kudla & Anna Kokoszka-Romer: Hometown – La strada dei ricordi:

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YouTube player

In queste due pagine da la Repubblica del 22 gennaio scorso ne parlano in un’intervista di Arianna Finos  (il secondo articolo è riportato anche in chiaro – v. sotto).
In formato .pdf: La Repubblica pp 32-33. Polanski-Horowitz. Terezin

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Il film di Gabriele Guidi sul campo di concentramento dove venivano rinchiusi gli intellettuali ebrei
Alessio Boni e la tragica illusione di Terezin “Così i nazisti eliminarono pittori e musicisti”
di ari. fi.

Per il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, arrivano in sala film che raccontano l’Olocausto attraverso le storie di artisti.
Il bel documentario Hometown, con gli amici Polanski e Horowitz, ma anche un film italiano sul ghetto di Terezin, firmato da Gabriele Guidi (figlio di Johnny Dorelli e Gloria Guida).
Tra gli attori Alessio Boni: «Non conoscevo la storia delle Terme Terezin. Sapevo degli altri campi di concentramento, ci sono stato, Auschwitz, Dachau e tutti gli altri, dell’orrore, dei sei milioni di vittime. Ma dell’inganno di Terezin non sapevo nulla e questo mi ha stupito».

Terezin racconta la storia del campo a ottanta chilometri da Praga in cui venivano rinchiusi gli artisti, il cuore della cultura europea di quegli anni, attraverso le vicende di due musicisti innamorati, un clarinettista italiano (Mauro Conte) e una violinista (Dominika Moravkova). «Hitler, che si considerava un artista, ed era un pessimo pittore, aveva un occhio di riguardo per gli artisti. Così ha fatto costruire le Terme di Terezin a forma di stella e ci ha messo musicisti, cantanti, poeti, scultori ebrei: li riteneva “superiori” agli ebrei normali. E venivano “trattati” meglio. Non c’erano i lavori forzati, avevano più cibo. Ma la fine che facevano era la stessa, venivano trasportati e finivano in cenere come gli altri».

Terezin era un progetto di propaganda. «Ho visto i filmati del ’41 e ’42 dove tutti erano felici, dicevano che si stava bene, i bimbi giocavano a pallone, disegnavano. E ogni tanto facevano esibizioni per mostrare alla Croce Rossa come trattava “davvero” gli ebrei d’Europa. Era una doppia farsa». Boni nel film è Jacob Bernstein, che presiede il consiglio ebreo degli anziani, «deve gestire i rapporti con i nazisti, cercando di alleviare la mattanza. Un uomo tormentato, conscio della sua scomoda situazione, attento a ogni parola e atteggiamento ». Un personaggio inventato ma che è ispirato a tre personaggi esistiti, «nella realtà anche loro venivano mandati a morire, c’era un ricambio».

C’erano musica e arte a Terezin «una sorta di illusione tragica. Rispetto ad altri campi in cui sai che fine farai, lì covavi la speranza. Ma in 140 mila hanno fatto la fine degli altri. Amleto dice “potrei essere confinato in una noce ed essere il re dello spazio infinito, se mi lasci l’immaginazione”. Cervantes, nei cinque anni di carcere ha iniziato a scrivere, per non impazzire, il Don Chisciotte.

A Terezin l’arte faceva sopravvivere queste persone. Ma alla fine c’era un amaro forse ancora più potente». Il film è stato girato nei veri luoghi. «Lavorare con tutti loro, attori e tecnici ungheresi, cechi, vedere la loro dedizione è stato appassionante. Ho letto che se non li avessero ammazzati, questi 140 mila artisti avrebbero potuto cambiare le sorti della cultura europea».

L’immagine più forte dell’esperienza che è stata questo film, per Boni, è «quando questi bambini si sono messi a cantare il brano più amato da chi vive a Praga, il più importante in assoluto: Brundibar di Hans Krása. Questi bambini lo cantano tutti gli anni, generazione dopo generazione. Vederli da spettatore così coinvolti ed emozionati mentre eseguivano il brano dal vivo è stata un’esperienza straziante. Non potevo non pensare a quei bambini che cantavano allora e poi sarebbero finiti, come tutti i bambini ebrei, nei campi di concentramento».
Terezin esce in sala il 26 gennaio. Memoria sul grande schermo: «Mi pare che di questa storia non se ne parli abbastanza. Bisogna sapere tutto, perché non si ripeta. E il cinema aiuta».

[ari. fi. – Da la Repubblica del 22 gennaio 2022]

I risvolti in seconda e terza di copertina (sotto)

La post-fazione dell’Autore

Tra i libri più famosi sull’Olocausto Il diario di Anna Frank. Il libro, oltre ad essere stato tradotto in tutte le lingue e a continua ad essere letto, malgrado il tempo che è passato (pubblicato ad Amsterdam nel 1947, ad opera del padre Otto Frank, sopravvissuto allo sterminio della sua famiglia. Ha ispirato film, rappresentazioni teatrali, per ultima anche una graphic novel, di cui ho presentato qualche immagine (in questi giorni in edicola).

N.B. – Del film di animazione abbiamo già scritto sul sito (sett. 2022): Un film speciale su Anna Frank

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Aggiornamento del 27 genn. h. 17 (cfr. commento di Sandro Russo)

 

 

 

5 Comments

5 Comments

  1. Sandro Russo

    27 Gennaio 2023 at 06:32

    Ho visto ieri sera il film sui due “ragazzacci” che tornano a casa insiene – a Cracovia – cinquant’anni dopo: Hometown, con Roman Polanski e Ryszard Horowitz che si erano conosciuti bambini ai tempi della guerra e del ghetto (per breve tempo Polanski, quasi senza famiglia, era stato affiliato dalla madre di Horowitz).
    Poi la guerra, l’espatrio per Roman, una parentesi di Auschwitz per Ryszard. Ancora dopo, lontano dal loro paese hanno avuto vite non comuni in campo artistico.

    Ho appaiato queste informazioni con quelle dell’altro articolo, sul campo di sterminio di Tezenis. E la frase: “se non li avessero ammazzati, questi 140 mila artisti avrebbero potuto cambiare le sorti della cultura europea”. I numeri sono impressionanti.
    Se “la morte di un solo uomo sminuisce l’umanità” (John Donne), per una perdita del genere non esistono aggettivi.

  2. Sandro Russo

    27 Gennaio 2023 at 16:19

    Tea Ranno ci ha comunicato che oggi stava a Rai Uno insieme a Emanuele Di Porto, il personaggio (reale e vivente, ha 91 anni), del suo libro più recente “Un tram per la vita”. In attesa di recuperare il link da Raiplay, riporto un link a YouTube con un’intervista a Spreaker.com (solo audio)

    https://youtu.be/VhR4cMCW91k

    È il 16 ottobre 1943, nel ghetto di Roma un bambino di dodici anni vede la madre caricata su un camion dei tedeschi, la raggiunge, l’abbraccia, ma lei riesce a spingerlo via. Emanuele, questo il nome del bambino, si nasconde su un tram e inizia un viaggio che lo porterà, fermata dopo fermata, fino al capolinea. Racconta al bigliettaio di essere ebreo e chiede di essere protetto perché i tedeschi lo stanno cercando. L’autista del tram e poi altri dopo di lui aiuteranno Emanuele a restare vivo e al sicuro per tre giorni fino a quando non riuscirà a trovare suo padre. La penna di Tea Ranno racconta la storia commovente di uno degli ultimi testimoni sopravvissuti al rastrellamento nazista di Roma: Emanuele Di Porto

    Tea Ranno, nata in provincia di Siracusa, è un’acclamata autrice per adulti (tra gli altri L’amurusanza, Terramarina e Gioia mia). Si è aggiudicata il Premio Chianti nel 2008 e il Premio letterario Città di Erice nel 2021. Per Il Battello a Vapore ha pubblicato anche Bellissima nella collana “Luna”.

    Tea Ranno. “Un tram per la vita” [Il battello a vapore Edizioni Piemme]

    Ritaglio immagine con Emanuele Di Porto e riferimenti nell’articolo di base

  3. vincenzo

    28 Gennaio 2023 at 10:57

    Il Grande Reset o delle 120 giornate di Sodoma

    In questo articolo lo studioso Enzo Pennetta ci dice che il liberismo è un’applicazione del Darwinismo in economia e nelle società.
    Sopravvive il più adatto, il più forte e il resto della popolazione deve soffrire anzi deve essere selezionata.
    “Basandosi sulla competizione darwiniana il liberismo è biologia applicata, ma secondo le parole di Rudolf Hesse che era il numero due del Terzo Reich, è proprio la ‘biologia applicata’ ad essere alla base del pensiero nazionalsocialista, si tratta di una biologia che prende ispirazione dal pensiero del sociologo Thomas Robert Malthus che tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’ ‘800 identificò l’origine dei mali sociali, e in particolare della povertà, nella sovrappopolazione a sua volta causata dall’assistenza fornita ai poveri, cioè a persone che in natura non sarebbero sopravvissute, un pensiero che era condiviso in determinati ambienti culturali dell’epoca e del quale troviamo testimonianza negli scritti del Marchese De Sade quando nel suo La Philosophie dans le Boudoir del 1795 affermava:
    <>

    https://www.enzopennetta.it/2022/07/il-grande-reset-o-delle-120-giornate-di-sodoma/

  4. silverio lamonica1

    28 Gennaio 2023 at 15:01

    A corredo di quanto ha giustamente osservato Vincenzo: si nasceva e purtroppo, si continua a nascere “sotto la buona o la cattiva stella”

  5. La Redazione

    29 Gennaio 2023 at 18:54

    Riceviamo da Tea Ranno una recensione di oggi da ilsole24ore
    Memoria, “un tram per la vita” tra mille treni per la morte.
    Scritto da Simona Rossitto il 29 Gennaio 2023 – AlleyBooks

    https://alleyoop.ilsole24ore.com/2023/01/29/memoria-tram-vita-mille-treni-morte/

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