Poesia

Porca miseria

di Francesco De Luca

 

L’inverno, porca miseria, rattrappisce il corpo e la mente. A Ponza, poi, ha pure nevicato! Non mette allegria, la neve, come nei paesini trentini che col biancore si esaltano. No, a Ponza la presenza della neve deprime, perché il motore dell’allegria è il mare e il suo accattivante invito.

Allora, per contrastare il disagio psicologico, presento un gioco. Spero utile.

Inizio: cosa evoca la figura del  “viaggiatore?” Beh, il viaggiatore, in senso ampio, è l’uomo. Tutti noi siamo viaggiatori in questo mondo che non abbiamo scelto. E che ci affascina perché apre la sua trama di fisicità e di vita alla nostra comprensione, così come alla nostra dissennata opera. Tutti noi viaggiamo la nostra esistenza.

E cosa sarà mai: “il giardino dei cuori persi”? Tento una risposta sensata: la coscienza degli affetti, degli amori, delle inclinazioni. Giacciono essi in un  ‘giardino’  perché sono i fiori del nostro cosciente sentire. Ma, ahimè, il giardino fiorito dentro di noi può andare perduto. La vita, o la malasorte, o il malessere lo possono allontanare dal nostro animo tanto da poterlo perdere.

Ancora: in cosa si possono concretizzare  “le malinconiche acque (che) si dirigono verso il mare ondoso?” Ci provo: nella vita che fluisce. La fase in cui si trova non è quella entusiasta della fanciullezza, e nemmeno quella frizzante della giovinezza, né quella ponderata dell’età matura, bensì quella venata dalla malinconia. Perché il grosso e il bello è finito, e rimane la parte terminale.

E “gli anni inutili?” Forse non sono i nostri, forse nessun uomo trascorre  ‘anni inutili’. Ma, se si è perduto ciò che dava brillore alla vita? Allora? Forse l’inutilità appare come la conclusione logica. No… non è la conclusione cui arriva la mente razionale. Può arrivarvi la sublimazione poetica. Perché è con una poesia che sto giocando. Questa:

V

Per una volta, viaggiatore, sii imprudente,
allunga la tua strada.
Al risveglio, sii come il giorno prigioniero
di una notte di nebbia. 

Non evitare il giardino dei cuori persi,
va’ in fondo, al termine del cattivo cammino,
dove l’erba è un tappeto di fiori rossi in abbandono,
dove malinconiche acque si dirigono verso il mare
ondoso.

A lungo, senza riposo, hai vegliato,
sul peso di anni inutili.
Che sia infine tutto dissolto !
Ti resta la gioia disperata d’aver perso tutto.

E’ di Rabindranath Tagore ( Bengala – 1869 – 1941 ). La V/a della raccolta ‘Petali sulle ceneri ‘– Poesie d’amore – Ugo Guanda Editore – pag. 22.

E’ il canto disperato di un uomo che ha perduto l’amore, e davanti a sé non vede che la dissoluzione di tutto.
Eppure quel  ‘giardino’ è ancora dentro di lui, e i  ‘fiori rossi’  possono tornare ad abbellirlo. Perché la dissoluzione non la comanda lui. E la gioia, per quanto  ‘disperata’, ha una sua attrattiva, un suo palpito, un suo anelito.

L’inverno, porca miseria, non è la dimensione permanente delle condizioni meteo, tanto meno di quelle psichiche.

La neve a Ponza? E’ durata un’ ora!

A parte lo scherzo proposto per distogliere dal freddo incombente, la poesia di Tagore offre decisamente un sollievo all’animo ingrigito. Perché l’amore non lo vince nessuno.

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