Giovani

Giovani e social, a Ponza

di Martina Carannante

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Leggere un pezzo così attuale su Ponzaracconta mi ha fatto riflettere perché anche in una piccola realtà come la nostra il fenomeno degli adolescenti soli e sempre più legati ai social è molto presente.
Già dalle scuole elementari questo dato è evidente e nell’età adolescenziale è ancor più marcato; sebbene a Ponza queste fasce d’età siano numericamente in contrazione per gli effetti della denatalità, nondimeno vi si registra una percentuale molto alta di insicurezza e solitudine che possono portare all’istaurarsi di una depressione, anche da molto giovani.

Io, che l’età adolescenziale (purtroppo) l’ho superata da parecchio tempo, non riesco a mettermi nei panni degli adolescenti di oggi, anche perché quando avevo quell’età non c’erano tik-tok, whatsapp, snapchat… nessuno dei social che ci sono oggi.
Gli stessi cellulari non erano molto utilizzati, anche perché ogni messaggino costava almeno 20 cent e – parlo per la mia esperienza – bisognava aspettare la Christmas card per avere i cento messaggi gratis e poter chiacchierare virtualmente con l’amico/a lontano o il fidanzatino/a estivo. Socializzavamo come si era sempre fatto, “in presenza”… con il metodo classico insomma! Scendevamo in piazzetta a Sant’Antonio, si chiacchierava e soprattutto quando si tornava a casa non si vedeva l’ultima serie di Netflix, ma quello che offrivano i vari canali con l’antenna analogica. Già con l’avvento di Facebook (diffuso in Italia a partire dal maggio 2008) le cose cambiano: si amplia la comunicazione, si accorciano le distanze (geografiche), ma si comincia anche ad allontanarsi dalla vita reale.

Adesso, come si legge anche nei vari articoli di riferimento – leggi qui, ma è esperienza di tutti -, non c’è vita esterna o lontana dai social, per i ragazzini, ma neanche per i giovani (e per progressivo contagio) tra gli adulti.

Considerazioni sociologiche a parte, i cosiddetti “social” – propriamente “canali sociali”, social network in inglese, réseaux sociaux in francese), sono oggi una grande fonte di guadagno. Con i ‘profili business’ girano veramente molti soldi; tantissimi adolescenti con i tik-tok guadagnano molto più dei genitori che magari hanno fatto anche tanti sacrifici per avere lo stipendio che portano a casa a fine mese; non è una frase tanto per dire, ma è realmente così.
C’è anche chi fa l’influencer per passione o perché gli/le piace semplicemente comunicare, raccontare la sua vita o le sue esperienze, ma la stragrande maggioranza (fino al 90%, secondo me) lo fa proprio come lavoro.

Per spiegare meglio questi meccanismi, posso raccontare una mia esperienza in proposito. A inizio dell’estate scorsa arriva a bordo della nostra barca una bella ragazza, avrà avuto 20-21 anni, con delle amiche. Fanno foto, video, scatti con i ragazzi che lavorano a bordo… si divertono insomma. I miei soci non badano più di tanto alla cosa, anzi sono contenti sperando che magari avrebbero postato qualche foto sul “profilo social” della barca per allargare la clientela e farsi conoscere. Qualche settimana dopo arriva un gruppo di ragazze che volevano per forza fare la gita in barca con noi, posto disponibile c’era e salgono a bordo, chiacchierando con il marinaio di bordo e rispondendo alle classiche domande di rito: – Come ci avete conosciuto? Perché Ponza ecc… – una di loro risponde che hanno visto il tik tok di… e dicono il nome della ragazza che aveva fatto la gita con la nostra barca la settimana prima. Di lì hanno appreso dei posti visitati, delle attività del giorno, del cibo ecc..
– Ci ha convinto… il tik-tok, e abbiamo deciso che dovevamo fare anche noi questa esperienza.
Il marinaio a bordo, un ragazzo giovane, rimane un po’ sorpreso ed una volta a terra mi racconta questa storia; io curiosa vado a cercare questo ormai famoso tik-tok della ragazza e devo dire che era stata davvero brava: non l’aveva fatto su nostra commissione, tanto che non ne sapevamo niente, ma in modo del tutto spontaneo, e davvero ci aveva fatta tanta pubblicità e fatto conoscere. Poi durante l’estate è stato tutto un rimbalzare di frasi come tante sono state le frasi come: – Vi abbiamo visto su tik-tok… Su instagram…

Ecco questa è la parte positiva/propositiva dei social e del loro uso, ma c’è anche il negativo: la non comunicazione o il chiudersi semplicemente in quella bolla, in quel metaverso nascosto ed oscuro.

Tra gli articoli riportati sul sito si parla degli hikikomori giapponesiNon mi sembrava una parola nuova, ma non capivo il significato; poi ascoltando la radio ho capito. È il titolo di una canzone dei Pinguini Tattici Nucleari, uscita proprio in questi giorni e che passa tanto sia in radio che su Spotify
La propongo qui… magari aggiunge un altro tassello al quadro!

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Testo

Sai che ho sognato le tue mani sopra la mia testa?
Spegnevi un grande incendio, come un canadair fa sopra la foresta
Tu che c’hai gli occhi di papà ma vedi il mondo come mamma
Puoi dirmi come fai a vincere la noia senza perdere la calma?
Mia anima in pena, che pena mi fai

E ti arrabbiavi se salivo
Con le scarpe sul divano
Chissà dove hai camminato
Stai a vedere che mi ammalo
Siamo come hikikomori
Che si amano a distanza
E si cercano di notte
Tra le crepe della stanza

Io provo a corrompere il karma andando a letto presto
Sorrido alle cassiere che poi immancabilmente mi danno meno resto
Tu che ringrazi mille volte il cameriere per il pane
Insegnami a sorridere alla vita pure quando sono solo come un cane
Mia anima in pena, che pena mi fai

E ti arrabbiavi se salivo
Con le scarpe sul divano
Chissà dove hai camminato
Stai a vedere che mi ammalo
Siamo come hikikomori
Che si amano a distanza
E si cercano di notte
Tra le crepe della stanza
Siamo come hikikomori

E ballo con la tua mancanza
Su una canzone dei Pink Floyd
E forse pecco di arroganza
Ma spero che Barbero parlerà di noi
I camion militari in centro
Che passan sulla nostra strada
Quella del primo appuntamento
E dell’ultima litigata

E ti arrabbiavi se salivo
Con le scarpe sul divano
Chissà dove hai camminato
Stai a vedere che mi ammalo
Siamo come hikikomori
Che si amano a distanza
E si cercano di notte
Tra le crepe della stanza

Siamo come hikikomori
(Che si amano a distanza)

2 Comments

2 Comments

  1. Sandro Russo

    14 Gennaio 2023 at 19:39

    Provare ad analizzare i comportamenti dei giovani da parte di settantenni (ovviamente parlo per me, non per Martina) può sembrare una battaglia persa in partenza. Ci si può aspettare una trafila di “Ai tempi miei…” e di: “T’arricuorde quanne..?”.
    Da quand’ero ragazzo ricordo ancora una massima aurea:
    “Una sana e consapevole libidine tiene lontani i giovani dallo sport e dall’Azione Cattolica” (tanto diffusa da essere pure il titolo di una canzone di Zucchero Fornaciari, con qualche variazione).
    Poi ognuno operava aggiustamenti personalizzati: io per esempio suonavo la chitarra e giocavo a pallone (tutti suonavano la chitarra e giocavano a pallone “ai miei tempi”).

    Sapevo che a Ponza il disagio giovanile è diffuso e preoccupante, ma confidavo nella capacità delle comunità ristrette di attenuare le tensioni e (il più delle volte) risolverle al loro interno. Per dire della specificità (e dei vantaggi) dei piccoli centri, rispetto alla spersonalizzazione della grande città, ho qualche esperienza dei paesini dei Castelli dove i giovani non sono mai completamente persi, perché il tessuto sociale ancora tiene. Ne parlavo qualche tempo fa con un quasi coetaneo di Lanuvio: – Vedi, per quanto un giovane sia solitario o sbandato o depresso, è sempre il figlio, il nipote/pronipote di qualcuno che conosciamo. Qualche volta con qualcuno siamo rimasti a parlare e poi lo abbiamo riaccompagnato a casa; e un piatto caldo a casa nostra per lui c’è sempre.
    E ho memoria di giovani della Ponza che fu – posso fare dei nomi: Gennaro Di Fazio, Isidoro Feola, Silverio Schiano, Peppe Tricoli, Peppe Coppa, Silverio Pagano – che facevano gruppo e avevano dato pratica attuazione al principio vigente sull’isola di accogliere e abbracciare i più fragili.
    È capitato più volte anche a me di dare ospitalità a giovani di Ponza un po’ sbandati/confusi che mi portavano a casa di Roma – erano i tempi (1971 e anni successivi) che ero fresco laureato e stavo a via dei Monti di Pietralata – chi perché aveva avuto i pidocchi (…però adesso non ce li ha più, eh!), chi perché “…è meglio che sta lontano dall’isola per un po’”.
    Ricordo un’atmosfera di grande disponibilità e calore.
    Mi piacerebbe sentire queste storie di amicizia, adesso, ma non ce n’è in giro.
    E questa è un po’ la spiegazione del tormentone nostalgico: “Ai tempi miei…”

  2. Pino Moroni

    17 Gennaio 2023 at 18:50

    Molto interessato agli Hikikomori, che insieme alla Goblin mode (tagliarsi fuori dalla società, rimanere in casa ed essere anche impresentabili) considerata la moda dell’anno 2022 con voto pubblico, ci fa capire dove stiamo andando. Spesso evitare la vita sociale o viverla solo nei social porta alla desertificazione (non della natura ma umana). Posso testimoniare, senza paura di smentite, che il mio paese (Tarquinia – ndr) è ormai quasi sempre vuoto. Così come tanti altri. E non è solo un problema di giovani

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