Storia

Il famoso ‘Scontro di Civiltà’, un punto di vista da storico

segnalato dalla Redazione

Abbiamo molto apprezzato questo articolo-intervista di Silvia Ronchey a Judith Herrin, storica inglese, in Italia in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Ravenna, città protagonista del suo più recente saggio. Uno sguardo da storica ‘dissidente’ rispetto alle contrastanti tesi di Samuel P. Huntington dello ‘Scontro di civiltà’ (1996) e di F. Fukuyama della ‘Fine della Storia’ (1992) (1). Una visione, questa della storica inglese, per niente ostica, né troppo teorica, anzi temperata di sano pragmatismo inglese coniugato al femminile. Una lettura fortemente consigliata, di stimolo ad approfondimenti ulteriori.

L’AUTUNNO DELLE AUTOCRAZIE
“Roma non cadde, divenne multietnica”
di Silvia Ronchey

I barbari e la cultura classica, il falso scontro di civiltà, il potere delle donne dalla Persia all’Iran, Putin e il tradimento di Bisanzio. Dialogo con la grande storica Judith Herrin

L’incontro: Odoacre depone Romolo Augustolo (2)

«Decadenza e caduta dell’Occidente?
Non direi». Da qualche anno lo sguardo austero di Judith Herrin si è fatto più ironico. Si allarga scintillando da Bisanzio alla storia globale e dal passato al presente ora che da Oxford è venuta a festeggiare il suo ottantesimo compleanno a Ravenna, di cui le è stata data la cittadinanza onoraria in occasione dell’uscita del rivoluzionario libro (Ravenna, capitale dell’impero, crogiolo d’Europa, Rizzoli) nel quale si occupa di un’epoca cruciale: quella della caduta dell’impero romano d’Occidente. Oggi potremmo considerarci di fronte a una nuova “decadenza e caduta”, o a un “tramonto” dell’Occidente.
Ma Herrin non è d’accordo: «Sono parole sbagliate, una preoccupazione del signor Edward Gibbon che da molto tempo aspetta di essere placata. Vi fu forse una flessione graduale dei livelli di vita, ma l’ideale di cultura sopravvisse. Che i cosiddetti barbari abbiano introdotto una nuova civiltà è un’idea altrettanto errata, in cui si radica anche l’odierno concetto di “scontro di civiltà”. Non vi fu scontro. I barbari conoscevano bene le tradizioni romane e le fecero proprie, perpetuandole sotto nuovi governanti, che imparavano il latino e leggevano Cicerone».

Quindi lei non vede grandi differenze tra pars Occidentis e pars Orientis, dove dal IV secolo Costantino insedia la sua capitale sull’istmo tra Europa e Asia e continua per altri undici secoli a perpetuare l’impero romano. In entrambi i casi secondo lei assistiamo a una continuazione della civiltà antica in cui si accentua l’elemento di multietnicità, estremizzato da “movimenti di popoli” che ci ricordano i grandi flussi migratori ai quali assistiamo oggi, in circostanze diverse ma in maniera forse altrettanto eclatante.
«Tanto è vero che perfino la classe dominante della piccola Ravenna era composta da una pluralità di etnie – siriani, in particolare – che usavano però il greco come lingua principale. La storia di Ravenna è un andirivieni di genti, su e giù per il mondo mediterraneo e più ad est, lungo le Vie della Seta, tra il mondo romano e la Cina, fin dal IV e V secolo. È pericoloso immaginare che la multietnicità del mondo contemporaneo sia una cosa completamente nuova. Dobbiamo capire che viviamo, allora come ora, in uno spazio globale, e che da sempre sappiamo percorrere grandi distanze.
Alcuni dei migranti in fuga dalle tirannie o dalla povertà viaggiano in condizioni disperate ritenendo di poter trovare da noi migliori livelli di vita.
Molti entrano in Europa per approdare al nostro regressivo Regno Unito e non riesco a capire perché, visto che al momento la Brexit ci ha inferto un colpo terribile. Abbandonare l’Unione Europea è stata una scelta insensata, ulteriormente aggravata dalle politiche del nostro attuale governo».

Ma pensa che dell’Europa com’è oggi valga la pena far parte?
«Quali che siano i problemi interni all’Europa, è per me ancora un ideale che fonda, promuove e fiancheggia un avanzamento della conoscenza in ogni campo ammirato da tutto il mondo. Ma oggi l’Europa è schiacciata tra l’immensa America e l’immensa Cina, con l’Asia in mezzo, ed è una configurazione completamente nuova. L’altra pressione tremenda è quella della metà meridionale del mondo, tanto più povera della metà settentrionale, e noi che apparteniamo a quest’ultima dobbiamo fare di più per redistribuire la ricchezza sproporzionata che abbiamo accumulato, se non vogliamo una costante migrazione di popoli dall’emisfero sud all’emisfero nord. Un quadro cui va aggiunto quello che stiamo facendo al pianeta, il cambiamento climatico che ha esasperato tutto, perché non siamo noi a patirlo in prima linea ma, di nuovo, loro. Questi sono i problemi reali, che richiederebbero una cooperazione internazionale tra l’Europa e i suoi colossali partner. Che non c’è, ma spetta alla cultura europea influenzare le grandi potenze per fermare la catastrofe».

Parlando di catastrofi, pensa che possa essere reale la minaccia nucleare della Russia, la Terza Roma che si considera erede della Seconda Roma, Bisanzio, e da secoli professa un’escatologia politica apocalittica in cui la fine del proprio impero viene a coincidere con la fine del mondo?
«Penso di sì. E però credo pure che la tradizione che Putin dichiara  di rappresentare non sia solo quella dell’impero bizantino, ma anche l’adattamento sovietico del suo modello imperiale. Che era basato su un supporto democratico interamente fittizio, esclusivamente nominale, e in ognuna delle repubbliche che fanno oggi parte di quell’impero lo sviluppo di ciò che potremmo chiamare libero voto è stato decisamente esiguo. Credo inoltre che il rovesciamento di Putin dovrà avvenire dall’interno, e temo che molto probabilmente verrà dai militari, quando realizzeranno che non possono vincere tutto quanto la Russia si era ripromessa invadendo l’Ucraina».

Ma ammettendo che il regime di Putin venga effettivamente rovesciato, non trova storicamente improbabile che possa sostituirglisi una democrazia? La Russia non l’ha mai sperimentata, men che meno durante il periodo sovietico. Ha però alle spalle quello che potremmo chiamare l’esperimento bizantino.
Crede che Bisanzio, cui tanta parte della cultura russa si ispira, fosse in origine uno stato non dico democratico in senso moderno, ma almeno egualitario, un sistema giusto? o dobbiamo considerarlo solo un precedente dell’autocrazia di cui il temibile Putin è l’incarnazione più recente?
«L’oriente greco, così profondamente connesso all’antica cultura ellenica, aveva una percezione più ampia di cosa è giusto e una maggiore comprensione  filosofica, forse, dei livelli di autorità da esercitarsi in ogni società. Credo che la  macchina amministrativa bizantina, sviluppata sul modello romano e aggiornata nei secoli, debba essere stata molto efficiente: incassava le tasse, pagava la difesa, faceva circolare l’oro, teneva alto il tenore di vita, almeno fino all’XI secolo, facendo poi il possibile per ripristinarlo. A Bisanzio esisteva tutta una serie di livelli di mediazione tra il potere centrale e le realtà locali. Nelle aree rurali si respirava un senso di libertà sotto la legge: esiste una legge ed è ciò che stabilisce che una persona non può essere uccisa senza ragione, che c’è una penale da pagare se si lascia il proprio cane attaccare una pecora, che lo stato di diritto si estende alle donne, per cui se a una muore il marito e non le viene restituita la dote può andare in tribunale e rivendicarla, e c’è tutela per i minori – c’è insomma una combinazione di leggi efficiente, che funziona.
Ora, molte cose di Bisanzio sono passate nella Rus’ medievale, ma ritengo che la nozione di un sistema legale accessibile sia scomparsa, insieme all’idea stessa dei diritti dell’individuo, ignorata o lasciata decadere a vantaggio della burocrazia centralistica della vera autocrazia, che non è quella di Bisanzio ma del sistema imperiale russo nei suoi ultimi anni, e del sistema sovietico».

Parlando di diritti delle donne, possiamo notare che in questo che è stato chiamato l’autunno delle autocrazie non solo il potere di Putin e non solo quello di Erdogan, ma anche quello di Khamenei è stato messo in questione, e proprio, in questo caso, da un’insurrezione femminile repressa nel sangue. Cosa ne pensa, da storica del potere femminile?
«Credo che in Iran la forza femminile sia molto antica, risalga ai tempi dell’antica Persia, e che il fatto che più di metà della popolazione iraniana sia composta da donne renderà impossibile ai mullah respingere quella forza. Almeno, lo spero. E sono veramente colpita dallo slogan “donne, vita, libertà”, che chiama, in nome della donna, alla rivendicazione di diritti fondamentali e coinvolge una vasta area di inosservanza, disobbedienza, insofferenza al controllo repressivo cui il regime di Khamenei sembra non voler rinunciare, ma che mi sembra abbia poco futuro».

Che le donne costituiscano più di metà della popolazione è vero in molti altri paesi del mondo. E a cambiare l’esito delle elezioni di medio termine negli Usa, con uno scarto percentuale piccolo ma determinante, è stato un diritto femminile minacciato, quello all’aborto. La voce femminile non potrebbe essere determinante anche per i problemi della storia attuale di cui abbiamo parlato finora?
«Non abbiamo parlato  della Cina. Che ha un problema. La politica del figlio unico ha creato una maggioranza maschile, il che è grave non solo per le donne, che non sono rappresentate – nel Comitato centrale cinese è difficile intravedere un viso femminile tra centinaia di membri – ma anche per i giovani maschi, unici figli dei loro genitori, che ora cercano in moglie donne cinesi della loro età, e, sorpresa, non le trovano, perché quelle poche sono state spedite neonate nelle campagne e lì sono rimaste prive di istruzione. La politica del figlio unico si rivelerà un disastro per la continuazione della società cinese quale il Partito la vorrebbe».

[Di Silvia Ronchey, da la Repubblica di ieri, 3 gennaio 2023]


Note
(a cura della Redazione)

(1) – Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale è un libro del 1996 (esponente la teoria omonima) dello scienziato politico statunitense Samuel P. Huntington. In sintesi nel suo saggio Huntington sostiene che la principale fonte di conflitti nel mondo post-Guerra fredda diverranno le identità culturali e religiose. La teoria era stata originariamente formulata in un articolo del 1993 su Foreign Affairs dal titolo The Clash of Civilizations?, in risposta al libro The End of History and the Last Man, dato alle stampe nel 1992 dal suo allievo Francis Fukuyama, in cui si sostiene che la diffusione delle democrazie liberali, del capitalismo e lo stile di vita occidentale in tutto il mondo potrebbe indicare la conclusione dello sviluppo socio-culturale dell’umanità e divenire pertanto la forma definitiva di governo nel mondo [Da Wikipedia, ibidem].

(2) – Il 31 ottobre 475 d.C. Romolo Augusto (461-511, conosciuto anche come Romolo Augustolo) diventò imperatore romano all’età di 14 anni succedendo a Giulio Nepote e regnò fino al 4 settembre 476.
Romolo Augusto è considerato dagli storici come l’ultimo imperatore romano d’Occidente; infatti l’anno dopo la sua proclamazione a imperatore, venne deposto dal barbaro Odoacre e così ebbe fine la storia della pars occidentalis.
Su Romolo Augustolo, dopo la deposizione, le fonti sono discordanti e non si sa molto sulla sua vita. Morirà nel 511 d.C.
Odoacre, re degli Eruli, precedentemente generale degli Sciri, proclamato dalle truppe “re delle genti germaniche in Italia” occupò la capitale Ravenna e relegò l’ex imperatore in un castello a Napoli dove sorge l’attuale Castel dell’Ovo. Tutta l’Italia era in mano ai barbari.
Odoacre, comunque, decise di non autoproclamarsi Imperatore romano per non contrariare l’Imperatore d’Oriente Zenone cui mandò invece le insegne imperiali.

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