Canzoni

Una canzone per la domenica (229). La Buona Novella

proposto da Sandro Russo

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Non era questa la canzone per la domenica prevista per oggi primo dell’anno.
È cambiata negli ultimi giorni, imposta dagli eventi; in seguito allo spettacolo cui ho assistito venerdì scorso, 30 dicembre (e di cui ho riferito sul sito): Valentina e Miriàm, la madre di Gesù
Ripercorrendo la vicenda di Miriàm di Nazareth, di Ioseph il falegname e del Bambino che doveva nascere attraverso le parole di Erri De Luca e la voce e i tamburi di Valentina Ferraiuolo.
Una costruzione se non storica, di intensa poesia e di gran fascino. Senza tempo e di ogni tempo.

La Natività di Gesù o Natività del Signore è contenuta nei vangeli secondo Matteo e secondo Luca oltre che nel Protovangelo di Giacomo.
Attraverso i secoli è stata (ri)raccontata migliaia di volte. Mi soffermo sulle ultime. È stata proposta da Fabrizio De André nel 1969-70, nel pieno della contestazione studentesca del ’68; da Erri De Luca, affascinato dai suoi studi sull’ebraismo nel 2007 e da quest’ultimo lavoro viene la parte non musicale dello spettacolo di Valentina Ferraiuolo dell’altra sera.

La versione di De André (dai Vangeli apocrifi) è quella che ha segnato più profondamente il mio immaginario. Fabrizio era un cantante-autore, non un teologo né un Maestro della Chiesa, eppure quando penso alla vita di Cristo lo faccio secondo quella visione.

Qui, da Youtube le sue parole e il primo brano, L’infanzia di Maria allo storico concerto del Teatro Brancaccio del 1998.

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Il ritorno di Giuseppe

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La canzone per la domenica oggi può finire qui.
Solo per chi ha tempo e volontà di approfondire, propongo la versione completa del lavoro di De André (Full Album 35’ 40”)

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Qui sotto l’indice e i testi relativi. L’ideale è seguire le parole durante l’ascolto.

1 – Laudate Dominum (Testo e Musica di Fabrizio De André)…… . . . . . . . . . .. 0’21”
2 – L’infanzia di Maria (Testo e Musica di Fabrizio De André)……………….. . . .. 5’01”
3 – Il ritorno di Giuseppe (Testo e Musica di Fabrizio De André)……. . . . . . . . . 4’07”
4 – Il sogno di Maria (Testo e Musica di Fabrizio De André)………………… . . . . 4’07”
5 – Ave Maria (Testo e Musica di Fabrizio De André)…. . . . . . . . . . . . . . . . …. 1’53”
6 – Maria nella bottega di un falegname (Testo e Musica di Fabrizio De André). 3’14”
7 – Via della Croce (Testo e Musica di Fabrizio De André)……………….. . . . . … 4’33”
8 – Tre madri (Testo e Musica di Fabrizio De André)….. . . . . . . . . . . … . . . . . . 2’55”
9 – Il testamento di Tito (Testo e Musica di Fabrizio De André)…………………. .  5’51”
10 – Laudate hominem (Testo e Musica di Fabrizio De André) . . . . . . . . . . . . . 3’29”

Laudate Dominum 

Laudate dominum
Laudate dominum
Laudate dominum

 L’infanzia di Maria

Forse fu all’ora terza, forse alla nona
Cucito qualche giglio sul vestitino alla buona
Forse fu per bisogno o peggio per buon esempio
Presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio
Presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio

Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete
A consolare il pianto, a calmarti la sete

Dicono fosse un angelo a raccontarti le ore
A misurarti il tempo fra cibo e Signore
A misurarti il tempo fra cibo e Signore

Scioglie la neve al sole, ritorna l’acqua al mare
Il vento e la stagione ritornano a giocare
Ma non per te bambina, che nel tempio resti china
Ma non per te bambina, che nel tempio resti china

E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio
Avevi dodici anni e nessuna colpa addosso
Ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio
La tua verginità che si tingeva di rosso
La tua verginità che si tingeva di rosso

E si vuol dar marito a chi non lo voleva
Si batte la campagna, si fruga la via
Popolo senza moglie, uomini d’ogni leva
Del corpo d’una vergine si fa lotteria
Del corpo d’una vergine si fa lotteria

Sciogli i capelli e guarda già vengono…

Guardala, guardala, scioglie i capelli
Sono più lunghi dei nostri mantelli
Guarda la pelle, viene la nebbia
Risplende il sole come la neve
Guarda le mani, guardale il viso
Sembra venuta dal paradiso
Guarda le forme, la proporzione
Sembra venuta per tentazione
Guardala, guardala, scioglie i capelli
Sono più lunghi dei nostri mantelli
Guarda le mani, guardale il viso
Sembra venuta dal Paradiso
Guardale gli occhi, guarda i capelli
Guarda le mani, guardale il collo
Guarda la carne, guarda il suo viso
Guarda i capelli del Paradiso
Guarda la carne, guardale il collo
Sembra venuta dal suo sorriso
Guardale gli occhi, guarda la neve
Guarda la carne del Paradiso!

E fosti tu Giuseppe, un reduce del passato
Falegname per forza, padre per professione
A vederti assegnata da un destino sgarbato
Una figlia di più senza alcuna ragione
Una bimba su cui non avevi intenzione

E mentre te ne vai stanco d’essere stanco
La bambina per mano, la tristezza di fianco
Pensi: “Quei sacerdoti la diedero in sposa
A dita troppo secche per chiudersi su una rosa
A un cuore troppo vecchio che ormai si riposa”

La la la…

Secondo l’ordine ricevuto, Giuseppe portò la bambina nella propria casa
E subito se ne partì per dei lavori che lo attendevano fuori dalla Giudea
Rimase lontano quattro anni

Il ritorno di Giuseppe

Stelle già dal tramonto,
si contendono il cielo a frotte,
luci meticolose
nell’insegnarti la notte.

Un asino dai passi uguali,
compagno del tuo ritorno,
scandisce la distanza

lungo il morire del giorno.

Ai tuoi occhi, il deserto,
una distesa di segatura,
minuscoli frammenti
della fatica della natura.

Gli uomini della sabbia
hanno profili d’assassini,
rinchiusi nei silenzi
d’una prigione senza confini.

Odore di Gerusalemme,
la tua mano accarezza il disegno
d’una bambola magra,

intagliata nel legno.

“La vestirai, Maria,
ritornerai a quei giochi
lasciati quando i tuoi anni
erano così pochi.”

E lei volò fra le tue braccia
come una rondine,
e le sue dita come lacrime,
dal tuo ciglio alla gola,
suggerivano al viso,
una volta ignorato,
la tenerezza d’un sorriso,
un affetto quasi implorato.

E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d’una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

E a te, che cercavi il motivo
d’un inganno inespresso dal volto,
lei propose l’inquieto ricordo
fra i resti d’un sogno raccolto.

Il Sogno Di Maria

“Nel grembo umido, scuro del tempio
L’ombra era fredda, gonfia d’incenso
L’angelo scese come ogni sera
Ad insegnarmi una nuova preghiera
Poi d’improvviso mi sciolse le mani
E le mie braccia divennero ali
Quando mi chiese: ‘Conosci l’estate?’
Io per un giorno, per un momento

Corsi a vedere il colore del vento

Volammo davvero sopra le case
Oltre i cancelli, gli orti, le strade
Poi scivolammo tra valli fiorite
Dove all’ulivo si abbraccia la vite
Scendemmo là dove il giorno si perde
A cercarsi da solo, nascosto tra il verde
E lui parlò come quando si prega
Ed alla fine d’ogni preghiera
Contava una vertebra della mia schiena

Le ombre lunghe dei sacerdoti
Costrinsero il sogno in un cerchio di voci
Con le ali di prima pensai di scappare

Ma il braccio era nudo e non seppe volare
Poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
E i volti severi divennero pietra
Le loro braccia profili di rami
Nei gesti immobili d’un altra vita
Foglie le mani, spine le dita

Voci di strada, rumori di gente
Mi rubarono al sogno per ridarmi al presente
Sbiadì l’immagine, stinse il colore
Ma l’eco lontana di brevi parole
Ripeteva d’un angelo la strana preghiera
Dove forse era sogno, ma sonno non era
‘Lo chiameranno figlio di Dio’
Parole confuse nella mia mente
Svanite in un sogno, ma impresse nel ventre”

E la parola ormai sfinita
Si sciolse in pianto
Ma la paura dalle labbra
Si raccolse negli occhi
Semichiusi nel gesto
D’una quiete apparente
Che si consuma nell’attesa
D’uno sguardo indulgente

E tu piano posasti le dita
All’orlo della sua fronte
I vecchi quando accarezzano
Hanno il timore di far troppo forte

Ave Maria

E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto

nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

Maria nella bottega d’un falegname

Maria:
“Falegname col martello
perché fai den den?
Con la pialla su quel legno
perché fai fren fren?
Costruisci le stampelle
per chi in guerra andò?
Dalla Nubia sulle mani

a casa ritornò?”

Il falegname:
“Mio martello non colpisce,
pialla mia non taglia
per foggiare gambe nuove
a chi le offrì in battaglia,
ma tre croci, due per chi
disertò per rubare,
la più grande per chi guerra
insegnò a disertare”.

La gente:
“Alle tempie addormentate
di questa città

pulsa il cuore di un martello,
quando smetterà?
Falegname, su quel legno,
quanti corpi ormai,
quanto ancora con la pialla
lo assottiglierai?”

Maria:
“Alle piaghe, alle ferite
che sul legno fai,
falegname su quei tagli
manca il sangue, ormai,
perché spieghino da soli,
con le loro voci,
quali volti sbiancheranno
sopra le tue croci”.

Il falegname:
“Questi ceppi che han portato
perché il mio sudore
li trasformi nell’immagine
di tre dolori,
vedran lacrime di Dimaco
e di Tito al ciglio
il più grande che tu guardi
abbraccerà tuo figlio”.

La gente:
“Dalla strada alla montagna
sale il tuo den den
ogni valle di Giordania
impara il tuo fren fren;
qualche gruppo di dolore
muove il passo inquieto,
altri aspettan di far bere
a quelle seti aceto”.

Via Della Croce

Poterti smembrare coi denti e le mani
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani
di morire in croce puoi essere grato
a un brav’uomo di nome Pilato

Ben più della morte che oggi ti vuole
t’uccide il veleno di queste parole:
le voci dei padri di quei neonati

da Erode per te trucidati

Nel lugubre scherno degli abiti nuovi
misurano a gocce il dolore che provi
trent’anni hanno atteso col fegato in mano
i rantoli d’un ciarlatano

Si muovono curve le vedove in testa
per loro non è un pomeriggio di festa
si serran le vesti sugli occhi e sul cuore
ma filtra dai veli il dolore

Fedeli umiliate da un credo inumano
che le volle schiave già prima di Abramo
con riconoscenza ora soffron la pena

di chi perdonò a Maddalena

Di chi con un gesto soltanto fraterno
una nuova indulgenza insegnò al Padreterno
e guardano in alto, trafitti dal sole
gli spasimi d’un redentore

Confusi alla folla ti seguono muti
sgomenti al pensiero che tu li saluti
a redimere il mondo, gli serve pensare
il tuo sangue può certo bastare

La semineranno per mare e per terra
tra boschi e città la tua buona novella
ma questo domani con fede migliore
stasera è più forte il terrore

Nessuno di loro ti grida un addio
per esser scoperto cugino di Dio
gli apostoli han chiuso le gole alla voce
fratello che sanguini in croce

Han volti distesi, già inclini al perdono
ormai che han veduto il tuo sangue di uomo
fregiarti le membra di rivoli viola
incapace di nuocere ancora

Il potere vestito d’umana sembianza
ormai ti considera morto abbastanza
e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni
degli umili, degli straccioni

Ma gli occhi dei poveri piangono altrove
non sono venuti a esibire un dolore
che alla via della croce ha proibito l’ingresso
a chi ti ama come se stesso

Son pallidi al volto, scavati al torace
non hanno la faccia di chi si compiace
dei gesti che ormai ti propone il dolore
eppure hanno un posto d’onore

Non hanno negli occhi scintille di pena
non sono stupiti a vederti la schiena
piegata dal legno che a stento trascini
eppure ti stanno vicini

Perdonali se non ti lasciano solo
se sanno morir sulla croce anche loro
a piangerli sotto non han che le madri
in fondo son solo due ladri

Tre Madri

“Tito non sei figlio di Dio
Ma c’è chi muore nel dirti addio”

“Dimaco ignori chi fu tuo padre
Ma più di te muore tua madre

Con troppe lacrime piangi, Maria
Solo l’immagine di un’agonia

Sai che alla vita nel terzo giorno
Il figlio tuo farà ritorno
Lascia a noi piangere un po’ più forte
Chi non risorgerà più dalla morte”

“Piango di lui ciò che mi è tolto
Le braccia magre, la fronte, il volto
Ogni sua vita che vive ancora
Che vedo spegnersi ora per ora

Figlio nel sangue, figlio nel cuore
E chi ti chiama ‘nostro Signore’
Nella fatica del tuo sorriso
Cerca un ritaglio di Paradiso

Per me sei figlio, vita morente
Ti portò cieco questo mio ventre
Come nel grembo e adesso in croce
Ti chiama ‘amore’ questa mia voce

Non fossi stato figlio di Dio
T’avrei ancora per figlio mio”

Il Testamento Di Tito

“Non avrai altro Dio all’infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.

Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te

e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:

ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano.

Onora il padre, onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso

perché le chiedevi un boccone:

quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni

senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.

Il quinto dice non devi rubare
e forse io l’ho rispettato
vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:

ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami
così sarai uomo di fede:

Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:
ma non ho creato dolore.

Il settimo dice non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno.
Guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno:

guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino,
e scordano sempre il perdono:

ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:

nei letti degli altri già caldi d’amore
non ho provato dolore.
L’invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”.

Laudate Hominem

Laudate dominum
Laudate dominum

Il potere che cercava
il nostro umore
mentre uccideva
nel nome d’un dio
nel nome d’un dio

uccideva un uomo
nel nome di quel dio
si assolse

Poi, poi chiamò dio
poi chiamo dio
poi chiamò dio quell’uomo
e nel suo nome
nuovo nome
altri uomini
altri, altri uomini
uccise

Non voglio pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio

Laudate dominum
Laudate dominum

Ancora una volta
abbracciamo la fede
che insegna ad avere
ad avere il diritto
al perdono, perdono
sul male commesso
nel nome di un dio
che il male non volle
il male non volle
finché restò uomo
uomo

Non posso pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio

Qualcuno, qualcuno
tentò di imitarlo
se non ci riuscì fu scusato
anche lui perdonato
perché non s’imita
imita un dio
un dio va temuto e lodato
lodato

Laudate hominem

No, non devo pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio

 

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