Botanica

Collezionisti di piante. Il vivaio clandestino

di Sandro Russo

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La profonda, inconfutabile verità di questa vignetta mi ha spinto a scriverne, dal momento che mi ci sono riconosciuto pienamente.
Perché la passione – perversione? – del botanico dilettante la ritrovo in me e tra molti miei amici, con diverse sfumature.

Quelli che hanno solo un davanzale di finestra o un piccolo balcone, ma non si arrendono all’impellenza di raccattare in giro di tutto, per il puro piacere di veder crescere e fiorire… Ma anche quelli che hanno un piccolo spazio davanti casa, presto sopraffatto da cento e più ospiti piante, cui certo non si può negare asilo.

Quelli che hanno la compulsione a piantare ogni seme che capita loro tra le mani, dall’albicocca, alla pesca: Le nespole sono le peggiori, tanti semi pianti, tante piantine vengono!

Quello che ci vedono un segno del destino, quando in alcuni limoni un po’ passati di maturazione trovano dei semi che hanno già cominciato a germogliare: E che faccio? Non li metto in terra?
Quelli che da ogni ricaccio sotto la pianta madre fanno un piccolo vaso a parte. Per farne cosa? Non lo so… Vedremo!
Quelli che hanno un coniuge o comunque un tutore che dice loro a brutto muso: Se qui entra un’altra pianta, esco io! (…l’ho ascoltato con le  mie orecchie!).

Infine, come variante della stessa devianza, i monomaniaci: quelli che “solo le piante grasse” o “solo le orchidee”… e via dicendo.
Ne scrive con cognizione di causa Maurizio Zarpellon, garden designer, fotografo e scrittore – un suo articolo è in file .pdf a fondo pagina – Ma siamo già ad altri livelli!

Qualcuno più fortunato ha abbondanza di terreno a disposizione. Potrebbe essere il caso mio, senonché… Mi trovo a spartire gli spazi qui al casale con una coppia di aiutanti-complici-amici (di nazionalità rumena) che frenano le mie intemperanze botaniche – sono la voce della ragione, a loro modo: sono consapevole di esagerare! – e strenuamente (ma con scarsi risultati) si oppongono ai miei sconfinamenti oltre gli spazi consentiti. Che sarebbero quel poco che riesco a ritagliare alle attività (secondo loro) produttive: il frutteto, l’orto, i riquadri (ben delimitati) per le piante da fiore.
Mentre io tenderei ad allargarmi “ovunque” e in modo disordinato con nuove piante, in vasi di coccio o di plastica, cassette di radicamento talee, altri contenitori per semi, piantinaio a letto caldo o freddo: ’a pecia, o gliu puòst’ rispettivamente nel dialetto delle mie due radici ‘rustiche’, ponzese e di Cassino).

Nasce da questo mio insano ancorché indefesso attivismo la costituzione di un “vivaio clandestino” (denominazione creata dai detrattori!). Ho anche un “ferramenta clandestino”, se vogliamo dirla tutta, ma questa è un’altra storia!

Mentre per le piante la domanda ricorrente è: Altre piante? Ma che ci fai?
Bella domanda! Che però per questo tipo di maniaci non ha senso. Le piante vanno propagate e fatte crescere “a prescindere”; ancor di più se si sono ricevute come talee (i schiuoppe) da un amico o sono preziosissimi semi portati da paesi lontani.

Sovraffollamento? Non c’è problema! Tra maniaci ci si regalano volentieri piantine, tuberi, talee radicate di ogni tipo. Peraltro tra gli amici ho la fama di gran generoso, senza sapere del grado di coazione che a tali elargizioni mi spinge.

Il vivaio clandestino ha un aspetto marroncino, triste e dimesso nel suo assetto invernale, con il terreno coperto dalle foglie dei kiwi

Vasi sparsi, il contenitore col terriccio pronto, per rinvasare, in fondo il tavolo da lavoro in totale caos

Un gruppo di piante resistente al freddo (si spera!); in fondo il trattorino per i piccoli lavori del campo di kiwi

Il contenitore del terriccio e una grande felce in fondo. sulla sinistra; sul tavolo si è imbucata nella foto la signora Micina

Contenitori di varia foggia e provenienza, utilizzati come semenzai

Serretta di fortuna – temporanea (viene montata a inizio inverno e smontata in primavera) -, per il ricovero invernale delle piante più delicate (chiusa e sotto aperta)

Articolo di Maurizio Zarpellon: Maurizio Zarpellon. Il cacciatore di piante. I nuovi collezionisti.pdf

Tornando dal ‘vivaio clandestino’ – un po’ spento in verità – dopo aver fatto le foto, sono strato attratto da questa macchia di colore lungo la rete, che utilizzo come chiusa e per buon augurio.

Tecoma capensis (Fam. Bignoniaceae). Fiorita ora

5 Comments

5 Comments

  1. Pino Moroni

    27 Dicembre 2022 at 00:53

    Caro Sandro, sull’articolo hai il mio più totale consenso. Amo le piante messe a dimora da mio nonno (olivi, viti selvatiche, fichi, cachi, pere e pioppi). Poi le altre selvatiche, che vivono per conto loro e mi chiedono di non tagliarle. Ma quelle che amo di più come H. sapiens raccoglitore, sono le erbe spontanee che raccolgo e cucino (frutto della scarsità di cibo del dopoguerra, vedi l’acquacotta).

  2. Patrizia Maccotta

    27 Dicembre 2022 at 10:58

    Il Collezionista di piante!
    Mi ha fatto molto sorridere (…perché si può sorridere poco, così così o sorridere molto, secondo me).

  3. Annalisa Gaudenzi

    27 Dicembre 2022 at 15:30

    Sandro carissimo! Anche io, anche io, nella schiera dei Vegetalofili! Grazie per questa dolce dissertazione, mi ritrovo molto. Aggiungo solo un elemento. Il silenzio della crescita. Noi siamo una specie invece che grazie ai (sonori) vagiti recuperiamo l’attenzione di chi ci cura. E lo induciamo ad occuparsi di noi. Le Piante no. Sono silenziose. Non meste: silenziose. Mandano segnali, sì sì, raccapricci di foglie o colori morituri, però devi buttarci l’occhio, altrimenti – fosse per loro – là resterebbero. Radicate.

  4. Sandro Russo

    27 Dicembre 2022 at 17:43

    Grazie a Pino, a Patrizia e Annalisa. Contavo sulla consonanza degli amici di comune sentire.
    Annalisa mette in evidenza il silenzio, come una delle caratteristiche che rendono diverse le piante da noi (e dagli dagli animali in genere). Tempo fa, anche sul sito, ne abbiamo ricordata un’altra: la differente dimensione temporale – e (forse) percezione del tempo – delle piante.
    È un argomento tanto importante da avergli dedicato quattro puntate: “Le piante e il tempo”: leggi qui la prima, poi si può procedere di link in link. Con un racconto, seminale e illuminante, che mi ha cambiato per sempre: Hunati, di Edmond Hamilton (1969).

  5. Biagio Vitiello

    28 Dicembre 2022 at 08:42

    La mia passione per le piante scaturisce sicuramente dai bellissimi periodi primaverili trascorsi a Ponza quando ero bambino.
    Inizialmente appassionato di caccia (che non è spesso consentita nelle isole), sono stato spinto all’interesse, osservazione e studio della flora delle nostre isole. Ne è conseguita anche una passione per la fotografia.
    Osservando che i tre “serbatoio genetici” di Ponza sono alquanto incompleti, mi è venuta l’idea di crearne uno nel mio terreno (oltre 40 anni fa, ormai). Ho raccolto in giro per le isole (anche Palmarola, Zannone e Gavi), tutto quello che non era presente al Belvedere (15.000 mq di terreno).
    Ho anche scritto, tempo fa, un piccolo libro sulla flora delle isole Ponziane e, ancora più interessante, un altro libricino sulle orchidee selvatiche presenti a Ponza (sul sito, leggi qui); in seguito feci una mostra fotografica, circa 30 anni fa, di cui conservo ancora le foto che forse esporrò di nuovo nella prossima estate, insieme a vedute aeree di Ponza dagli anni ’70.
    Raccogliere le piante è una passione che io ho – come tanti altri, del resto – che non va mai via.

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