Personaggi ed Eventi

I Beatles come non li avete mai sentiti raccontare (2)

elaborazione di Sandro Russo di una presentazione di Alessandro Alfieri al Teatro Manzoni, di mercoledì 14 dicembre 2022


Per la prima parte, leggi qui

Genio
L’alchimia che produsse il “fenomeno Beatles”, così unico e irripetibile, fu il risultato di una identità plurale. Si trovarono insieme personalità musicali che per un certo tempo si fusero e pulsarono all’unisono: l’originalità inventiva fortemente ritmica di John Lennon con la dimensione melodica e romantica di Paul Mc Cartney. Furono loro due il centro di aggregazione da cui irradiarono influssi positivi verso gli altri, il che permise soprattutto a George Harrison di venir fuori con sue creazioni originali, specie nel secondo periodo della attività della band (1). E anche Ringo Starr, pur non essendo un grandissimo batterista, fece la sua parte. Da non dimenticare anche l’influsso del producer George Martin (a volte indicato come “il quinto Beatle”) per la spinta propulsiva (ma anche creativa) al successo del gruppo.
Molto si è detto e scritto delle differenze tra John e Paul evidenti all’analisi critica delle attribuzioni dei diversi brani, sebbene fin dall’inizio tutti fossero co-firmati “Lennon – Mc Cartney”. Per quanto… con i Beatles si possano sempre avere delle sorprese: trovare per esempio che un brano delicato e intimista come Julia (in White Album del 1968) è stato composto di John Lennon e Back in the USRR – (incluso nello stesso album), “energetico” e fortemente ritmato – da Paul, addirittura composto (pare) durante il “ritiro spirituale” del gruppo nell’ashram in India che avrebbe dovuto ispirare tutt’altri pensieri (2).

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Comunque l’interazione positiva tra John Lennon e Paul Mc Cartney si è affermata nonostante le differenze anche caratteriali e di impegno sociale e politico – molto maggiore per John, che letteralmente è rimasto vittima degli anni ’70 (è stato ucciso da un folle nel 1980, a quarant’anni – ndr) – rispetto a Paul di cui si è festeggiato poco tempo fa l’80esimo compleanno (due vite che sono durate esattamente una la metà dell’altra… fanno venire pensieri! – Ndr).

Abbiamo già ascoltato Yesterday, una delle più famose canzoni di tutti i tempi (3). Ebbene in molte sue interviste Paul ha sostenuto di aver avuto “in sogno” il motivo della canzone, di averla canticchiata al mattino ai suoi compagni e di essersi stupito quando gli hanno detto che non era un pezzo che esisteva già. Per tornare all’idea di “genio”. Si è parlato di ‘melodie archetipe’ per quelle che emergono spontaneamente dall’inconscio e il tramite per esse è appunto una creatura sensibile, l’artista, non necessariamente acculturato – si ricorda che i Beatles all’inizio della loro carriera conoscevano poco o niente di musica. Si tratterebbe di una intuizione immediata, un manifestarsi della natura attraverso l’artista, nel senso in cui si espresse Anton Webern (1883-1945) compositore musicale della scuola di Vienna, uno dei primi allievi e seguaci di Arnold Schönberg: “quanto più ci si addentra nella sperimentazione musicale, tanto più si ha la sensazione di essere di fronte non ad un lavoro dell’uomo ma della natura stessa”.

Rivoluzione
È opinione comune che non ci sarebbero stati la controcultura americana, il movimento hippie, lo stesso Woodstock (inteso come Festival e culmine di un’epoca dei movimenti giovanili) senza i Beatles.
La scelta della Band di abbandonare le scene anticipa di gran lunga la teorizzazione della Società post lavoro da parte di Mark Fisher (1968 – 2017). Avendo accumulato una quantità inimmaginabile di ricchezza nei loro pochi anni di attività, i Beatles decisero di dedicarsi ad esprimere puramente la loro creatività in modo disinteressato; peraltro, per i risultati che ne vennero, continuando a fare ancora altri soldi. Scelta che non seppe fare Elvis Presley, pressato come abbiamo visto dal colonnello Parker.
Con lo stacco dall’impegno sempre più pressante dei concerti dal vivo, cominciarono a sperimentare, e l’abbandono delle vie già battute portò – trattandosi appunto di geni musicali e poetici – a risultati eccezionali.

Qui da YouTube: Eleanor Rigby in una versione con il testo inglese e la traduzione italiana in sovra-impressione (i testi nelle canzoni della seconda fase dei Beatles non sono mai banali; spesso dei capolavori di poesia). C’è Paul alla chitarra che canta accompagnato da un ottetto d’archi. Esecuzione impensabile, prima dei Beatles.

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Da YouTube: Strawberry Fields Forever
Attribuita al solito alla coppia Lennon-McCartney ma scritta in realtà dal solo Lennon, era pronta  per essere inserito nell’album Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band; fu invece inclusa in Magical Mystery Tour (1967). Esprime il tema della nostalgia per l’infanzia di Lennon a Liverpool – Strawberry Field infatti era il nome di un orfanotrofio a Liverpool dietro al quale era solito andare a giocare con gli amici da bambino; comunque con forti connotazioni surreali e psichedeliche tipiche del periodo.

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Let me take you down
– Lascia che ti accompagni
‘Cause I’m going to Strawberry Fields – Perché sto andando ai campi di fragole
Nothing is real – Niente è reale
And nothing to get hungabout – E niente per cui stare in attesa
Strawberry Fields forever – Campi di fragole all’infinito

Living is easy with eyes closed – Vivere ad occhi chiusi è facile
Misunderstanding all you see – Fraintendendo tutto ciò che vedi
It’s getting hard to be someone – Diventa difficile essere qualcuno
But it all works out – Ma tutto si risolverà
It doesn’t matter much to me – Non mi interessa molto

Always, no sometimes, think it’s me – Sempre, non qualche volta, penso che sono io
But you know I know when it’s a dream – Ma tu sai che io so quando è un sogno
I think a “no”, I mean a “yes” – Penso un no, intendo un sì
But it’s all wrong – Ma è tutto sbagliato
That is I think I disagree – Cioè penso di non essere d’accordo

In questi brani – ed altri di questo periodo – la struttura musicale, la popular music (il pop) si contaminano con la musica classica e la scrittura poetica è sofisticata. Ma ormai non si tratta più di un lavoro di gruppo quanto di exploit (multipli!) di singoli, per quanto geni, ciascuno per suo conto.

Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band è l’ottavo album dei Beatles, pubblicato nel 1967 – Abbey Road è il loro undicesimo album (dodicesimo considerando anche l’album Magical Mystery Tour, in origine pubblicato come LP solo negli USA), pubblicato nel settembre 1969.

A day in the life

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[I Beatles come non li avete mai sentiti raccontare (2) – Continua]
Nella prossima puntata (a brevissimo) la terza parte, con il finale, il Festival di Woodstock dove i Beatles non c’erano, però…) e, in sintesi e per citazioni, qualcosa della sterminata filmografia sui Beatles

Avvertenza
La presentazione di Alessandro Alfieri del 14 dicembre scorso è annessa come video da YouTube alla prima parte di questa trascrizione (il link è in alto a dx, all’inizio di questo articolo).

 

Note (a cura di Sandro Russo)

1) – George Harrison (1943 -2001): in minor luce rispetto alle superstar John Lennon e Paul Mc Cartney non fu loro da meno con venticinque canzoni realizzate durante il suo sodalizio con i Beatles (poi continuò l’attivita musicale da solista). Le sue creazioni originali e più conosciute con i Beatles sono: While My Guitar Gently Weeps, Something e Here Comes the Sun. Del suo matrimonio con Pattie Boyd si è scritto sul sito (più precisamente del nuovo legame di Pattie con Eric Clapton; leggi qui di Wonderful tonight).

2) – Sempre nel 1968 Donovan il cantautore inglese, deciso anch’egli a seguire la dottrina dello yogi Maharishi Mahesh, raggiunse i Beatles in India; della comitiva ‘in pellegrinaggio’ facevano parte anche il cantante dei Beach Boys Mike Love e l’attrice Mia Farrow. Per Donovan, sul sito: leggi qui.

(3) – Fa il paio – come canzone più famosa al mondo – con Imagine di John Lennon, pubblicata come singolo nell’ottobre 1971). Sul sito, leggi qui e qui.

 

[I Beatles come non li avete mai sentiti raccontare (2) -> Continua qui]

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