di Enzo Di Giovanni
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Hijab significa nascondere, rendere invisibile. Per definizione oggi sta ad indicare il velo islamico, cioè quel particolare capo di abbigliamento che prevede di coprire capelli e parte del volto delle donne musulmane, nelle diverse accezioni previste nel variegato mondo arabo che si spingono fino al niqab ( che prevede di lasciar scoperti solo gli occhi), ed al tristemente famigerato burqa, cioè la copertura integrale del corpo femminile.
Ma non è un accessorio che nasce con l’Islam, è antecedente ad esso. E nemmeno connota necessariamente una subalternità femminile rispetto all’uomo, essendo storicamente, in certi contesti, simbolo di appartenenza ad un rango elevato.
Di più: ufficialmente non si può nemmeno parlare di sottomissione della donna all’uomo, perché l’Islam prevede che ci si debba sottomettere solo a Dio, e l’utilizzo di un simbolo estetico che sancisca una superiorità di genere concettualmente sarebbe blasfema.
L’uccisione di Masha Amini, doppiamente “colpevole” in quanto donna e curda, mette a nudo l’ipocrisia di un regime che per non ammettere il proprio peccato originale è costretto a rendere invisibili le proprie vittime, che semplicemente non esistono. La religione è un pretesto da cialtroni per imporre il dominio di un uomo impotente, anacronostico, incapace di rapportarsi con l’altro, nemmeno quando l’altro è il proprio specchio, donna, omosessuale, comunista o ebreo che sia.
Solo che lo fa da più di quarant’anni, ed allora la colpa diventa condivisa con l’Occidente, il “nemico” che quando si tratta di fare affari dimentica, rende a sua volta invisibili le proprie istanze sociali ed etiche.
Chi ricorda Khomeini, omaggiato e coccolato come un rivoluzionario internazionalista nella Francia di fine anni 70?
E chi ricorda l’intervista di Oriana Fallaci all’Imam dopo la “rivoluzione”?
L’urlo di Khomeni: l’Islam è tutto, la democrazia no!
A rileggerla dopo tanti anni, sapendo che nulla è cambiato mette i brividi…
Da rileggere anche l’intervista di Scalfari a Berlinguer, che arricchisce il pezzo di Vigorelli sul tradimento della sinistra.
Certo, che rifarsi a scritti di quarant’anni fa, seppur scritti da maestri del giornalismo, rende il senso della profonda depressione dei nostri tempi.
Depressione nel senso puramente fisico: è un tempo fermo, in cui la questione morale è rimasta disattesa.
Khomeini che scappa terrorizzato davanti ad un chador, la degenerazione in senso clientelare della politica rappresentativa con “rappresentanti” di destra e di sinistra a spartirsi mazzette nel famoso mondo di mezzo in cui le idee e gli slanci sfumano davanti ai profitti: sarebbe da ridere – il Re è nudo! – se non fosse tragico. Caro Vigorelli, ma davvero vogliamo ancora parlare di “destra” e di “sinistra”? Per favorire chi?
Piuttosto preoccupiamoci di togliere invisibilità ai valori, quelli sì eterni, seppur sviliti da trame e personaggi impresentabili.
E’ stato detto che la contestazione al regime iraniano non è una rivoluzione politica.
Vero. Il simbolismo potente dei diritti delle minoranze etniche, delle donne, dei lavoratori, non ha bisogno di sigle.
Il video di “El pueblo unido jamas serà vencido” proposto da Mimma e Sandro, nella versione cantata dalle studentesse di Teheran parla un linguaggio universale, eterno, che per quanto si cerca di svilire non può scomparire. Come “Bella ciao” cantata in tutto il mondo.
E’ una “sinistra” fragile, senza rappresentanti, con eroi giovani e belli come Masha Amini, vittime fragili, impotenti, e perciò invincibili.
Perché l’aspirazione a vivere una vita dignitosa travalica frontiere e poteri costituiti.
Il passo da questi temi a Federer è lungo, me ne rendo conto.
Ma è la dannazione dell’epicrisi, che costringe a questi voli: che spesso però, non sono pindarici – è il bello dell’epicrisi!
Se pensiamo che persino Federer – ed anche Nadal, che non ha ancora appeso la racchetta al chiodo – possono diventare vittime dell’oblio, viene da deprimersi…
Mi sembra di aver letto da qualche parte che la memoria si nutre di atti, e la corruzione di dimenticanze.
Sono tanti i pezzi questa settimana sul dissesto idrogeologico, come è ovvio. Non solo per i noti e tristi fatti di Ischia, ma anche perché è una questione che ci opprime da decenni a Ponza.
Mi avevano colpito, nel day after dell’alluvione di Ischia, i toni facili e giustizialisti di gran parte della stampa nazionale e dei commentatori o influencer che dir si voglia, ormai le due figure tendono a sovrapporsi.
“I sindaci in galera! Soprattutto al sud, dove, si sa, la corruzione impera.
E la colpa è tutta degli speculatori abusivi!”
Premesso che il termine ‘speculatore’ associato alle vittime di tragedie come questa suona tristemente goffo, fuori misura, quello che strideva era una narrazione piatta, da benpensanti speculatori – questi sì! – ideologici. Lo speculatore edilizio viene da associarlo al ‘palazzinaro’, che costruisce per interesse economico, ma che poi va a vivere in dimore più che sicure.
I morti delle alluvioni sono di solito persone non particolarmente abbienti, vittime due volte: dell’incuria del territorio, e dell’impossibilità di poter scegliere dove abitare. Chi punta il dito invece spesso lo fa per coprire, nascondere precise responsabilità di chi dovrebbe vigilare sul territorio.
I pezzi di questa settimana mi sembra invece vadano in una direzione più giusta.
Rischio frane da alluvioni nelle isole campane e ponziane (1) fa il punto su quello che dovrebbe essere il primo intervento sul territorio: la conoscenza dello stesso e conseguente programmazione delle azioni da porre in atto per la sua conservazione. Detta così sembrerebbe un facile teorema.
Eppure, nella miriade di voci giudicanti, avete mai sentito di interventi per mitigare il rischio attraverso il ripristino dei canali di scolo delle acque meteoriche?
Sapevate che ad Ischia, ed altrove, il rimboschimento, laddove realizzato, è con specie arboree aliene, o comunque non idonee a trattenere terreno, ed evitare dilavamento?
Cosa si fa per evitare quella perdita di saperi secolari, di usi del territorio eco-compatibili, come propone Riflessioni sulla frana di Ischia e le piccole Isole?
Quanti politici ed amministratori hanno la percezione e le intuizioni di un senatore a vita, e perciò lontano dalle dinamiche poste dalla questione morale, come Renzo Piano con i suoi rammendi del territorio?
Franco De Luca, da profano, analizza quella parte dell’isola che ben conosce, ’U cannalone, ’u lavo e i percorsi dell’acqua piovana a Ponza.
Quando fu redatto il PAI di Ponza, dagli esperti, furono semplicemente tracciate delle linee a tavolino, perché denari da investire per l’assetto del territorio non ce ne sono.
Leggasi: non è nell’agenda della Politica.
Che ben vengano allora la tenacia e la denuncia di Giuseppe Mazzella di Rurillo, il nostro riferimento a Ischia, che ci saluta e ci omaggia della sua amicizia in un intervento su Youtube.
Segnaliamo il bel libro “Breve atlante dei fari in capo al mondo” recensito da Michele Mari su Repubblica.
A noi piacciono i fari, isole nelle isole. Questi, in particolare, sono sperduti, terre alla fine del mondo, con una prosa accattivante e continue citazioni letterarie.
Segnalo anche un concorso indetto dalla Comunità dell’Arcipelago delle Isole Ponziane, in cui si chiede un contributo di idee a proposito del nostro territorio.
Auguri al parroco di Le Forna, padre Francesco Nadi Hanna, che compie gli anni.
E, per finire, un ricordo di Franco Schiano attraverso alcuni suoi versi, messi in musica da Tonino Esposito.
Buona domenica