Ambiente e Natura

Rischio frane da alluvioni nelle isole campane e ponziane (1)

di Alessandro Romano

Prendendo spunto dall’articolo di Vincenzo Bonifacio (leggi qui), vorrei dare un mio piccolo contributo sulla questione “frane da alluvioni” che, soprattutto negli ultimi tempi, sta suscitando viva apprensione sia per il probabile ripetersi nelle zone già colpite e sia per il timore che le stesse condizioni devastanti possano verificarsi anche in altre località considerate a rischio.

Certamente, come tutti affermano, molto importanti sono le caratteristiche e la morfologia del territorio, come altrettanto importante ed elemento scatenante è l’impatto antropico su zone estremamente fragili, con superfici marcatamente oblique e particolarmente esposte agli agenti atmosferici. Ma occorre ben definire quali sono, tra le tante, le azioni dell’uomo che provocano tali disastri.

So bene di sollevare un vespaio per quanto sto per affermare, ma in certi eventi, soprattutto per evitarne altri, occorre necessariamente individuare tutte le cause di quanto accaduto e non limitarsi ad avanzare ipotesi, spesso approssimate, parziali e senza costrutto scientifico, solo per farsi la guerra politica. Pertanto, al di là di ogni polemica, è certo che il territorio isolano va rispettato, ma sotto tutti i punti di vista ad iniziare dalla sua struttura vegetale, cosa di cui non si è assolutamente parlato per quanto accaduto ad Ischia. Infatti si è puntato il dito e l’attenzione solo ed esclusivamente sull’abusivismo edilizio, anche se effettivamente realizzato su un territorio instabile. Tuttavia, nella realtà, non è proprio così: l’abusivismo non è la sola causa del disastro di Ischia e non è nemmeno la principale.

Prima della loro colonizzazione, queste isole erano ricoperte da una fittissima ed impenetrabile macchia mediterranea costituita dalle molteplici specie erbose, arbustive e arboree di cui un  esempio può essere le nostra Zannone. Disboscate le colline, si è passato a trasformare radicalmente il territorio edificando le “catene”, i terrazzamenti con muri a secco in grado di accogliere i vigneti e le coltivazioni intensive di ortaggi e legumi. La fitta rete di terrazzamenti, edificata con rigorosi criteri di adeguamento al deflusso naturale delle acque, è stata calibrata sulle pendenze e la tenuta della base rocciosa o sedimentaria, ed era in costante attento controllo da parte dei contadini e degli esperti muratori addetti alla manutenzione delle “parracine” e dei rispettivi canali di deflusso.
Il sistema di Ischia, come quello del nostro arcipelago, ha funzionato ed in maggior parte sta ancora funzionando da secoli.

Frana a Frontone

Ma cosa esattamente sta minando la stabilità delle colline in questi ultimi tempi? La crisi del territorio isolano inizia con il progressivo abbandono dei coltivi collinari, ad iniziare dalle zone impervie, meno produttive e più esposte ai venti. L’arco di tempo che va dall’abbandono delle coltivazioni ad una successiva condizione di rimboschimento, è senza dubbio il momento più delicato e critico che può arrivare a compromettere seriamente la tenuta stessa del terrazzamento. Infatti, la mancata manutenzione del rudimentale ma efficace sistema di deflusso delle acque e la cessazione della sistematica cura dei muri a secco, causa i crolli, anche se parziali, delle “parracine”, con conseguenti dilavamenti a valle di terra e sassi, e l’ostruzione, spesso seria, delle canalizzazioni principali.
La regola vorrebbe che, cessato lo sfruttamento agricolo e, quindi, la sistematica ed accurata manutenzione dei muri a secco, vengano ripristinate le condizioni strutturali del suolo: non arrivare a togliere le parracine, ma almeno ripristinare la vegetazione originale.
Ad Ischia, appena dopo l’abbandono dei coltivi collinari, in molte zone si è provveduto a piantare una fitta rete di arbusti ed alberi, ma non delle specie endemiche. Probabilmente per ottenere una crescita più veloce e meno costosa rispetto alle specie locali, boschi di acacie, di pini domestici, frassini, platani, pioppi e castagni sono stati piantati al posto di ginestre, lecci, fillirea, erica arborea, euforbia, lentisco, alloro, mirto, rosmarino, cappero, palma nana, ginepro, olivo selvatico e caprifoglio mediterraneo. Questo improprio intervento di rimboschimento (vero e proprio inquinamento biologico), esteticamente molto gradevole ed uniforme che ha contributo ad alimentare la fama di “isola verde”, e la crescita verticale di queste specie ad alto fusto, prive di un apparato radicale idoneo alla inclinazione della base rocciosa ed al sottosuolo, ha pericolosamente appesantito e sbilanciato il già instabile territorio collinare di Ischia. Infatti, per la presenza di questi veri e propri “boschi di pianura” su un terreno fortemente obliquo, senza apportare alcuna funzione di trattenimento della terra e delle masse pietrose, anzi spaccando ed allargando ulteriormente con le loro radici le crepe della base sedimentaria, è bastato un nubifragio più sostenuto per scatenare quell’effetto domino verso valle, travolgendo non solo le case abusive, ma anche le strutture regolari ed “antiche”, arrivando fino a pochi passi dal porto. Senza scendere nei dettagli dei rimedi per un’isola bellissima, ma dal punto di vista arboreo-montano tutta da rifare, passo a parlare delle nostre isole.

Palmarola, versante Cattedrale

Da molti decenni osserviamo la maggior parte delle colline di Ponza, Palmarola e Gavi in un evidente stato di abbandono dal punto di vista della produzione agricola e, di conseguenza, della manutenzione dei terrazzamenti e dei canali principali e secondari di deflusso. Tuttavia, a parte la delicata fase iniziale di passaggio tra l’abbandono della coltivazione e la crescita della vegetazione spontanea, intervallo di tempo che ha comportato la maggior parte dei crolli dei muri a secco, anche con effetto domino, come avvenne negli anni ’70 a Monte Schiavone lato Ponza, nelle nostre isole non avverrà mai un disastro come quello di Ischia.

Ginestre (vastaccètt’), da sopra Frontone verso il Porto

Vegetazione di ginestre (non fiorite) a Monte Pagliaro

Vastaccètt’, il tronco alla base

Vegetazione sopra il Core

Il merito principale va incredibilmente al nostro tanto maltrattato e bistrattato “vastaccette”, la magnifica e tenace Genista ephedroides (ora rinominata Genista thyrrena) di cui ad oggi sono ricoperti il 70% circa delle nostre colline e faraglioni. Il suo resistentissimo apparato radicale, si infila nelle fessure rocciose e, cosa importantissima, senza spaccarle si àncora alla montagna di tufo e di riolite esercitando un’eccezionale funzione di imbrigliamento di rocce, pietre e terriccio, bloccando di fatto il dilavamento dell’humus ed ogni smottamento verso valle. Per questa sua preziosa peculiarità, appare come una pianta fatta su misura per le esigenze di un’isola vulcanica delicatissima e fragile. Ecco perché questa singolarissima ginestra nostrana andrebbe maggiormente rispettata, tutelata e diffusa. La nostra fortuna (non sempre casuale), poco considerata e da molti ignorata, è stata di avere nell’isola alcuni serbatoi genetici di vastaccett, lentisco, erica arborea, euforbia e fillirea dai quali è ripartito il progressivo e relativamente veloce rimboschimento spontaneo delle parracine abbandonate, e ciò non solo alla cessazione delle coltivazioni, ma anche dopo i periodici incendi.

Monte Guardia visto dalla Linguana

Incendio a monte Guardia

Ecco perché le nostre colline sono in parte ancora integre, verdi e perché, nonostante la verticalità di alcuni territori come il Fieno, la Massaria di Monte Guardia, Monte Pagliaro, Monte Schiavone, Sottocampo, Calacaparra, le zone di Vardella, Cattedrale e Vricci a Palmarola mai potrà accadere quanto è successo ad Ischia. Ciononostante, la manutenzione del territorio si fa sempre più necessaria ed urgente se si vogliono evitare o comunque limitare i crolli delle falesie (leggi bordi dell’isola) come di recente è avvenuto a Punta Madonna, a Cala dell’Acqua e, qualche decennio fa, a Chiaia di Luna e nella montagna posta tra Santa Maria e Frontone.

Monte Guardia visto dalla Linguana

Alla base di quest’altro preoccupante problema del territorio isolano, c’è la mancata regimentazione delle acque piovane ed il disinteresse per le tante crepe di prossimità che preannunciano un crollo verso mare di consistenti masse costiere.

Un discorso ancora diverso e più complesso riguarda invece gli allagamenti delle zone abitate o poste in prossimità dei maggiori corsi di acqua piovana come il Lavo di Santa Maria, il canale di Chiaia di Luna, con i rispettivi affluenti, ed il “Cavone” di Sottocampo, problematiche che tratteremo successivamente.

Sottocampo e l’altura alle sue spalle

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