Architettura

I “rammendi” del territorio di Renzo Piano

segnalato dalla Redazione

 

Francesco Merlo racconta il tour con Renzo Piano, che festeggia i suoi primi dieci anni da senatore, nelle periferie della Penisola: “L’Italia in sedici piccole stanze, che in viaggio sono i luoghi di posta dove ci si rigenera, dallo Zen 2 di Palermo, dove la discarica è diventata un giardino di trenta alberi su un pavimento azzurro, sino a Modena dove gli alberi sono cento attorno a una radura e a un grande padiglione. L’Italia on the road «è una città diffusa perché il contrario della città non è la campagna ma il deserto». E da una periferia all’altra Piano ha acceso sedici scintille di architettura, una palestra a Catania, una piazza a Rovigo, un parco a Padova sino alle pareti a colori della «casa quartiere» a Niguarda, per non farsi «soverchiare» dal Senato ma restare, ancora dopo 10 anni, Renzo Piano anche al Senato” (dalla presentazione su repubblica-on-line del direttore Maurizio Molinari).

IL PERSONAGGIO
Renzo Piano “Vi racconto il mio Senato on the road”
di Francesco Merlo

Siamo andati in giro per il Paese insieme all’architetto genovese che “festeggia” i suoi primi dieci anni a Palazzo Madama. Con un obiettivo: recuperare le periferie degradate
Dallo Zen 2 di Palermo a Modena L’Italia è una città diffusa perché il contrario della città non è la campagna ma il deserto
Bisognava evitare di smarrirsi nella politica per dare un senso “politico” alla carica che il presidente Napolitano volle darmi nel 2013

Giriamo l’Italia come in una caccia al tesoro perché da quasi dieci anni la sua “scheda di attività” di senatore a vita non si sfoglia nell’archivio della “biblioteca Spadolini”, ma si raggiunge, si acchiappa “on the road”. E sarebbe bello raccontarlo dall’alto — pensate a Renzo Piano a mezz’aria su una mongolfiera — questo Senato on the road, l’Italia in sedici piccole stanze, che in viaggio sono i luoghi di posta dove ci si rigenera, dallo Zen 2 di Palermo, dove la discarica è diventata un giardino di trenta alberi su un pavimento azzurro, sino a Modena dove gli alberi sono cento attorno a una radura e a un grande padiglione. L’Italia on the road «è una città diffusa perché il contrario della città non è la campagna ma il deserto».

E da una periferia all’altra Piano ha acceso sedici scintille di architettura, una palestra a Catania, una piazza a Rovigo, un parco a Padova sino alle pareti a colori della «casa quartiere» a Niguarda, per non farsi «soverchiare » dal Senato ma restare, ancora dopo 10 anni, Renzo Piano anche al Senato. E quando da Roma arriviamo a Napoli, nel sedicesimo cantiere, al cimitero delle Fontanelle, 40000 teschi dentro una montagna di 20 metri, gli racconto che Eduardo De Filippo non riuscì a portare con sé il teatro e perciò dal Senato si sentiva soverchiato: «Per favore, non chiamatemi senatore, ho impiegato una vita a diventare Edoardo».

«Ho sentito subito questo pericolo quando nel 2013 il presidente Napolitano mi telefonò. Ero a New York in taxi e pioveva a dirotto: “Vengo, presidente”, ma porterò in Senato il mio mestiere e la mia ossessione: le periferie». A Napoli, in questo pazzo cimitero del Rione Sanità dove, rovesciando il bisogno dei vivi di difendersi dai morti rimuovendoli, ciascuno adotta e accarezza un bel teschio, si capisce bene perché «la periferia è uno stato d’animo, e può significare rinchiudersi e farsi rinchiudere, ma anche scoprire la bellezza e l’orgoglio di quei “frammenti di città felici che — ha scritto Calvino e io ne ho fatto il mio manifesto — continuamente prendono forma e svaniscono, nascosti nelle città infelici”». Solo vedendolo, il rammendo di Renzo Piano non ha più bisogno di spiegazioni, perché eccolo qua: «apri un varco, fai un rialzo, cuci la luce della strada con l’ombra della cava nel luogo più storico, più romantico, più insolito e più erotico della città più storica, più romantica, più insolita e più erotica del mondo». E il sindaco Gaetano Manfredi, che ha lo stesso fisico verticale di Piano, secco secco e lungo lungo, più sorriso che riso, farà il resto, per contagio: «Al rammendo di Renzo seguirà un nostro progetto importante, e aggiungeremo il rammendo sociale» in un luogo che secondo l’architetto «spiega Napoli meglio di come la Tour Eiffel spiega Parigi».

E siamo di nuovo in strada. Periferia dopo periferia «tutto è costruito in Italia, la campagna ha perso la sua innocenza di natura. Ed è un bell’obiettivo ideale quello di essere la goccia, vale a dire la potenza del piccino, l’architettura che contagia e cambia la città». E siamo già a Bari, nel quartiere SanPaolo dove un cortile diventerà bosco e soggiorno nella periferia di una periferia, «è così periferia che i suoi abitanti dicono “vado in città” oppure “vado a Bari”» racconta il sindaco Antonio Decaro, che è ingegnere e vuol tornare a farlo: «Ingegneri e architetti sono la stessa cosa, fanno lo stesso mestiere» lo incoraggia Piano. Nell’idea di rammendo qui il costo è alto: 380mila euro invece dei soliti duecentomila. Nel mondo al contrario è il sindaco Decaro, il finanziatore, che convince il finanziato: «Gli spazi sono enormi, architetto, il prezzo è giusto e in qualche modo faremo».
A Bari gli racconto che anche Eugenio Montale in Senato, dove rimase per 14 anni, non sapeva bene cosa fare. Spiritoso com’era, confessò che gli piaceva mandare lettere sulla carta intestata: «Io non so a chi mandarle, ma è vero che sono bellissime, ogni anno me ne danno cento». E «il rischio di farsi soverchiare, di diventare un monumento, il santino, un ornamento di solennità, incombe ancora di più ora che ho 85 anni». Gli domando, allora, quante lauree ad honorem gli hanno dato. Ride e mi racconta che a Liliana Segre «con cui spesso ci perdiamo in lunghe chiacchierate ho conferito per telefono il diploma ad honorem di geometra, che è il titolo di cui vado più fiero». Le cose importanti, spiega, «aprono sempre dei dilemmi, proprio come le periferie che possono diventare città o barbarie».

«Bisognava dunque evitare di smarrirsi nella politica per dare un senso “politico” alla carica di senatore a vita, che è una figura, una delle pochissime, che i francesi ci invidiano, “un coup de génie della Costituzione italiana” mi ha detto Christine Lagarde». Così è nato l’ormai famoso G124, nella stanza dove «c’è il tavolo rotondo di compensato chiaro, tre metri di diametro, che non passa dalla porta e uscirà con me». È una stanza specialissima nei lunghi corridoi della storia, «tra arazzi, tappeti e lampadari che non mettono soggezione solo ai funzionari super-cerimoniosi del Cerimoniale». In quasi 10 anni dunque 51 giovani professionisti si sono seduti attorno al tavolo e si sono divisi lo stipendio del senatore a vita. E non potendo nominarli tutti non ne nomino nessuno ma stare con loro è come entrare dentro la scuola di Atene di Raffaello.
A Roma hanno progettato la casetta degli affetti che si chiama Mama «e non poteva avere un altro nome una casetta di legno arancione adagiata sul prato dentro la prigione femminile, mini-appartamento dove, appunto, la mamma detenuta riceve i suoi bambini che, a partire dai 4 anni d’età, la legge non le permette più di tenere in cella». E «l’intimità è garantita dalla piccola architettura, anche se fuori c’è il piantone che tra il melograno, le magnolie e gli arbusti di ribes non somiglia a un carceriere, ma a un portiere».

A Roma ho visto Piano in una scuola di periferia invitare i maestri, i presidi e le famiglie a farsi squatter e a prendersi un territorio abbandonato: vengo ad aiutarvi ha detto loro il senatore-monumento, come Borges che celebrò gli 85 anni così: «Se io potessi vivere un’altra volta la mia vita/nella prossima cercherei di fare più errori / Sarei meno igienico / correrei più rischi, non cercherei di essere tanto perfetto». La parola periferia «è solo retorica declamatoria se l’interesse è intermittente, se vieni a cercare voti e poi sparisci».

Il viaggio finisce a Sora, vicino a Frosinone, l’ombra di Roma attraversando il Lazio fertile dei grandi italiani da Cicerone a Vittorio De Sica, da Tommaso Landolfi a Marcello Mastroianni e Nino Manfredi. Qui il rammendo ha il respiro lungo: «Ci sono voluti due anni di tenacia: il mattatoio è stato demolito, poi durante la pandemia il cantiere si è fermato e ora finalmente è ripartito. Facciamo una scuola elementare di legno e vetro, antisismica, due piani attorno a un albero». E di nuovo il rammendo si è contagiato e i lavori sono finanziati dal ministero dell’Istruzione: il primo piano è aperto e trasparente, sopra ci sono le aule, e infine c’è la terrazza per scoprire il mondo. E un giorno bisognerebbe portarci l’intero Senato sulla terrazza di Talete di Sora: «Il Senato che mi ha dato molto» dice Piano che, per primo, ha finalmente riempito la vita del senatore a vita.

E chissà che direbbe Montale di questo Senato on the road, di questo viaggio-intervista lui che, interrogato da Goffredo Parise, sulle interviste ai senatori a vita dettò questa poesia: «Oggi è venuta da me una signorina / voleva un’intervista / un’intervista per un giornale femminile / rosa / voleva che le parlassi dell’amore. / Le ho detto: signorina / mi guardi / mi guardi bene/ cosa vuole che sappia io dell’amore?». Renzo Piano invece si lascia intervistare, ma i giornalisti che l’hanno intervistato (chi non l’ha intervistato?) sanno che le domande le fa lui.

[Da la Repubblica di domenica 11 dicembre 2022]

Lo staff. Renzo Piano con i tanti giovani colleghi che lo hanno aiutato in questi dieci anni

I cantieri. Uno “schizzo” dei 16 cantieri nelle periferie dei quali si occupa Piano© Renzo Piano

Nota della Redazione
Per i numerosi articoli publicati sulle realizzazioni e le interviste rilasciate da Renzo Piano, digita – Renzo Piano – in “Cerca nel sito”, in Frontespizio, colonna di sin.  Per l’articolo precedente, dello scorso 29 novembre, sempre di Francesco Merlo, a colloquio con Piano a proposito della recente tragedia di Casamicciola, leggi qui

 

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