Ambiente e Natura

Ancora parole di saggezza su Ischia. Quando tutto poteva cambiare

segnalato dalla Redazione

Continuiamo a raccogliere analisi e consigli fuori del coro – e soprattutto costruttivi – sulla tragedia di Casamicciola riportando l’opinione di Cesare de Seta, napoletano di eccellenza, grande studioso del territorio che identifica l’esatto periodo della nostra storia recente in cui le decisioni fondamentali sulla manutenzione dell’ambiente sono state disattese. Contemporaneamente de Seta ci ricorda un precedente illustre – fuori dall’Italia – di come decisioni coraggiose, pur nel pieno di una crisi colossale, sono riuscite a invertire una tendenza.

Ischia e la lezione del passato
Il territorio da salvare
di Cesare de Seta –  Da la Repubblica dell’8 dicembre 2022

Serve un programma di risanamento del suolo e delle città. Altrimenti continueremo a pagare il prezzo di scelte sbagliate in termini di disastri, vite umane e disagi diffusi

Giorgio Nebbia, uno studioso navigato nel valutare gli effetti del disfacimento del territorio italiano, diffidava chi continuava a definirli “naturali”: oggi possiamo dire che quello di Ischia non ha nulla di “naturale”, ma è l’effetto dell’insipienza degli uomini, quale che sia il loro ruolo. E ci ricordava il modo in cui in quegli anni si comportarono i parlamenti e i governi con un appassionato lavoro di commissioni composte da politici capaci di studiare e pensare, mobilitazione di studiosi dotati di strumenti per lavorare efficacemente, come le università. Ne nascevano proposte concrete, proposte di governo.
Una di queste va ricordata: la commissione De Marchi, così denominata dall’insigne studioso che ebbe la responsabilità di coordinarne il lavoro. È ad essa che si deve quella “Legge per la difesa del suolo” (legge 183/1989) con la quale ci si proponeva di difendere, al tempo stesso, le acque in sé e il suolo dalle acque. Detto con le parole della legge, «assicurare la difesa del suolo, il risanamento delle acque, la fruizione e la gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale, la tutela degli aspetti ambientali ad essi connessi» (articolo 1).
Era una legge ben costruita, i cui riferimenti essenziali sono: la scelta del bacino idrografico come ambito specifico di pianificazione, programmazione e gestione; la costituzione di un organismo specializzato per la definizione e attuazione delle scelte; la priorità delle determinazioni del “piano di bacino” rispetto a qualsiasi altra scelta definita da altri strumenti di pianificazione e programmazione, limitatamente a ciò che pertiene alla materia della “difesa delle acque e dalle acque”.

Se si fosse attuata la legge e se si fossero finanziati gli interventi previsti dai piani sarebbe iniziata una fase di risanamento della strutturale fragilità del territorio italiano: si è fatto il contrario. Alla priorità della difesa del suolo e delle acque si è sostituita la priorità delle strade e autostrade, delle lottizzazioni residenziali, turistiche — vedi Ischia oggi — industriali. Al governo pubblico del territorio (alla pianificazione urbana e territoriale) si è sostituita la privatizzazione, cementificazione à gogo.
Agli interessi degli abitanti si sono anteposti quelli dell’appropriazione privata della rendita. Paghiamo oggi il prezzo di quelle scelte (ahimè troppo spesso bipartisan) in termini di disastri, vite umane, disagi diffusi. E sebbene gran parte dell’intellettualità critica indichi oggi nella difesa del suolo uno dei grandi temi di un programma economico per un’uscita responsabile dalla crisi, troppo deboli — se non nulli — sono gli echi da parte di chi ha il potere di decidere.

Vorrei tanto che la presidente Meloni ponesse nella sua agenda il problema.
Quanti hanno potere si preoccupano anzi di reprimere, adoperando i cavilli di un diritto asservito alla proprietà, le tensioni di resistenza e cambiamento che nascono dai settori più sofferenti e vigili della società civile: come testimoniano i tentativi di annullare i risultati dei referendum e di affogare nella violenza le ragionate proteste al Nord e al Sud.
Eppure, liberare risorse dagli impieghi improduttivi (a partire dalla socializzazione delle rendite finanziarie e immobiliari) e destinarle a un programma di risanamento dei territori e delle città potrebbe dare un contributo proprio a quella ripresa delle attività economiche che tutti auspicano: rilanciandole non in funzione di un’ulteriore crescita di consumi opulenti, ma del soddisfacimento di indifferibili esigenze sociali, di tutti.

Nebbia ricordava in proposito qualcosa che successe nel secolo scorso. Nel 1933, dieci giorni dopo essersi insediato alla Casa Bianca, Roosevelt predispose, per uscire dalla “grande crisi” del 1929, un ampio progetto per impiegare un esercito di giovani disoccupati al lavoro nelle foreste.
Nell’estate dello stesso anno 300 mila americani, dai 18 ai 25 anni, figli di famiglie assistite, erano nei boschi, impegnati nei lavori di difesa del suolo che erano stati trascurati. Negli anni successivi, due milioni di giovani lavoratori piantarono 200 milioni di alberi, ripulirono il greto dei torrenti, prepararono laghetti artificiali per la pesca, costruirono dighe, scavarono canali per l’irrigazione, costruirono ponti e torri antincendio, combatterono le malattie di pini e olmi, ripulirono spiagge e terreni per campeggi.
Nell’aprile 1935 fu creato il Soil Conservation Service col compito di difendere il suolo, anche se era di proprietà privata, per conto della collettività.

Il ricordo di questi avvenimenti non ha alimentato la ricerca di soluzioni ai problemi di oggi là dove si decide. Intanto il paese si disgrega nella sua fisicità e nella sua società. Siamo costretti a celebrare l’anniversario delle alluvioni del novembre 1951 e 1966, per non dire dei terremoti più o meno recenti — memento 2017 in Campania — sotto il segno dello sgomento piuttosto che quello della speranza.

[Di Cesare De Seta (*); da la Repubblica dell’8 dicembre 2022]


(*)
– L’Autore. Cesare de Seta (Napoli, 1941) è uno storico dell’architettura e saggista italiano.
Professore emerito di storia dell’architettura all’Università degli Studi di Napoli Federico II
Numerosi incarichi di insegnamento all’estero insegnato a vario titolo e in diversi periodi della sua attività: al Courtauld Institut of Art di Londra, al Politecnico di Zurigo e alla Columbia University, New York. Nel 1980 fu nominato Directeur d’études presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales a Parigi, dove ha insegnato periodicamente.
Ha curato due tomi della Storia d’Italia, Einaudi (Annali, 5, Il Paesaggio e Annali, 8, Insediamento e Territorio). Ha diretto per Laterza la collana “Le città nella storia d’Italia”, per la quale sono usciti 37 volumi, due dei quali – Napoli (1980) e Palermo con L. Di Mauro (1981) – a sua firma.
Nella sua produzione numerosi Saggi di storia dell’arte e dell’architettura [estratto da Wikipedia, ibidem]

 

1 Comment

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  1. Sandro Russo

    9 Dicembre 2022 at 07:41

    Stimolato da quest’ultimo articolo pubblicato sul sito ho trovato il coraggio di leggere da capo a fondo il Longform che Repubblica ha dedicato ai dissesti idrogeologici nel nostro disastrato paese.
    Con un resoconto dei peggiori disastri della nostra storia recente, gli errori e le omissioni, le occasioni mancate. Anche come tutti i governi hanno provato a mettere mano al problema e come, per vari motivi, ne sono stati ‘distratti’.

    Di Carlo Bonini (coordinamento editoriale), Elena Dusi, Giuliano Foschini, con un video di Simone Modugno. Coordinamento multimediale di Laura Pertici. Produzione Gedi Visual

    https://www.repubblica.it/cronaca/2022/12/04/news/rischio_idrogeologico_frane_alluvioni_tragedie_italia_ischia_liguria_val_daosta_calabria_marche-377185908/
    Quella di Ischia è l’ultima tragedia di un Paese che ha fatto abuso di cemento e condoni. Con un bilancio di 148 morti da frane e 188 da alluvioni negli ultimi tre lustri

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