Antropologia

La donna è prima di tutto persona

di Rosanna Conte

Anche questa è una giornata da “ricordare”.
Oggi tutti siamo chiamati a riflettere sulla piaga della violenza sulle donne. Premetto che, a mio parere, lottare contro il femminicidio richiede un impegno costante e continuo in ogni giorno dell’anno da parte di tutti, principalmente delle donne.

Ho più volte espresso il mio parere negativo sulle tante giornate istituite per sostenere i consumi – papà, mamma, nonni, innamorati ecc. – o per incentivare comportamenti virtuosi – risparmio, donazioni, natura, donna, albero, poesia ecc. – perché  si perdono nel bailamme della comunicazione mediatica e offuscano i tanti altri giorni dell’anno che devono essere effettivamente ricordati, al di là di quelli religiosi. Penso a quelli in cui si celebrano avvenimenti nazionali fondativi che hanno dato vita al nostro stato democratico, quello in cui viviamo oggi. E questi, poiché incidono sulla nostra identità di italiani, devono essere effettivamente ricordati  e da tutta la nazione.

Oggi è una di quelle giornate istituite sull’onda dei problemi sociali che si tenta di arginare o eliminare.

Si  parlerà del femminicidio, se ne discuterà, ma dobbiamo stare attenti a non archiviarlo, visto che la notizia resta in giro per pochissimo tempo e poi si passa ad altro in attesa della prossima giornata.

E mi viene da osservare che proprio il femminicidio, uno stillicidio continuo e inarrestabile, dovrebbe essere costantemente sotto la lente di un’osservazione mediatica corretta; invece, la comunicazione fa passare prevalentemente un concetto di donna che non viene considerata come persona, cioè un individuo che appartiene alla specie umana, senza distinzione di sesso, età o condizione sociale, considerato come elemento a sé o come membro di una collettività.

La persistenza di una figura femminile che, da atavica memoria, deve richiamare l’attrazione sessuale o il ruolo di madre o dell’angelo del focolare non favorisce il cambio di mentalità e di valori che sono gli unici strumenti per combattere radicalmente il femminicidio.

Come si dovrà chiamare un Presidente del Consiglio se è donna? Abbiamo la risposta nella nostra grammatica, ma chi gestisce la comunicazione mediatica pone la domanda alla nuova premier, la quale risponde con molta sicurezza: il presidente. E no, la nostra Presidente del Consiglio, soffre del clima concorrenziale in cui sono immerse le donne quando devono competere con gli uomini nel mondo del lavoro: il presidente è più autorevole di la presidente. Cerchiamo di essere orgogliose di essere donne, sicure di noi stesse.

Ma più grave è certamente quanto è avvenuto con l’uccisione delle tre donne il 17 novembre a Roma. L’annuncio più diffuso e il richiamo successivo ugualmente più diffuso dai media è stato aver indicato le tre donne come “tre prostitute”, quasi a sminuire la gravità dell’assassinio, spostando l’attenzione sul numero e sull’attività che le tre donne svolgevano.

Ecco, già come appelliamo le donne di cui parliamo suggerisce l’idea che abbiamo di esse. Dall’appellativo considerato più elevato a quello considerato più infimo per una donna il concetto che sta dietro è che esse prima di essere persone sono di genere femminile.

Invece il concetto di persona dovrebbe essere alla base di tutti i rapporti fra gli esseri umani anche quando parliamo degli immigrati, regolari e non, quando parliamo dei rifugiati, per guerra o per fame, quando parliamo di islamici, buddisti, cristiani, ebrei o atei.

Oggi, si dice che le ideologie sono morte, anche se poi si accusa di ideologismo chi la pensa in maniera diversa dalla propria. Ma viva e forte, e molto pericolosa, è l’ideologia che fa vedere nella persona non l’essere umano bensì il ricco o il povero, il bianco o il colorato, il maschio o la femmina o la/il transgender, l’immigrato o il cittadino italiano, anzi se la persona che si ha di fronte è di colore ci si rifiuta di pensare che sia italiano pur se nato in Italia, anche se l’unica sua lingua è l’italiano.

E’ difficile far cambiare mentalità specie quando non “conviene” nel senso che si ritiene che il nuovo possa nuocere ai propri interessi. Ovviamente questo vale anche per il modo di considerare la donna.

Questa giornata ci deve ricordare che dobbiamo tutti i giorni e in ogni momento essere attenti a come parliamo di lei, anche e principalmente noi donne. Su di noi dobbiamo concentrare gli strumenti che possono cambiare lo stato delle cose, stando sempre vigili, pronte a mettere in evidenza tutte le distorsioni create dalle parole o dalle immagini, prima ancora che dai ragionamenti. Già seguendo una qualsiasi trasmissione in tv avremmo di che osservare.

Far cambiare lo sguardo non solo maschile, ma delle stesse donne, è fondamentale per poter salire la china che, ormai da qualche secolo, il genere femminile sta scalando per accedere alla dignità di persona.

Tuttavia, difficilmente si arriverà al cambiamento se permane la considerazione che altri esseri umani non sono persone. Lungo la strada ampia, generale, onnicomprensiva che riconosce  tutti gli esseri umani come portatori di  diritti, possiamo trovare la donna accanto a tutte le esclusioni prodotte dalla storia e radicate nella mente e nelle viscere dei nostri contemporanei  spesso dai bisogni, dalle paure – indotte o meno – dalla rigidità mentale.

Fatto salvo che tutti gli strumenti messi in atto dalle leggi e dalle istituzioni sono importantissimi per combattere la piaga del femminicidio e si dovrebbero anche migliorare, se vogliamo andare veramente a fondo in questa lotta, la strada maestra da seguire nella quotidianità è quella di pensare agli esseri umani come persone. Sempre.

 

 

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