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Invece Concita… Il nuovo libro

segnalato da Sandro Russo

Spesso nominiamo Concita De Gregorio e proponiamo suoi articoli sul sito; spesso legati all’attualità e ripresi dalla rubrica giornaliera “Invece Concita” che tiene su la Repubblica. Di recente sul tema dei travisamenti  delle notizie riportate dai media (leggi qui); su tre donne in politica, sulle donne in Iran, e sulla morte di Hebe de Bonafini. L’articolo che propongo oggi, da la Repubblica di ieri, riguarda il suo nuovo libro: “Un’ultima cosa”, di cui scrive un’altra donna terribile, la decana dei giornalisti italiani, ancora in servizio attivo, Natalia Aspesi (classe 1929).

Tre donne (particolare). Umberto Boccioni (1909)

L’ultima parola è delle donne: il nuovo libro di Concita De Gregorio
di Natalia Aspesi – Da La Repubblica del 24 novembre 2022

In “Un’ultima cosa” la giornalista e scrittrice immagina alcune intelligenze del ‘900 alla fine della loro vita e le fa parlare senza lasciare diritto di replica. Da Lisetta Carmi a Silvina Ocampo: non sempre famose, spesso ribelli

Le donne che parlano in questo libro, ma anche altre e altre ancora: “Tutte, certamente, volevano avere voce. Essere vendicate direi, se questa parola non sembrasse aggressiva. Restituite al loro posto, forse suona meglio. Rinominate, nell’ascolto e nella cura. Del resto tutti vogliamo solo questo, al mondo: essere visti, sentiti, capiti”. Forse parlare loro stesse al proprio funerale, come scrive Concita De Gregorio nel suo nuovo libro Un’ultima cosa.

“Anche a me piacerebbe leggere il mio necrologio, più ancora scriverlo, e ancora di più essere io, nell’orazione funebre, a parlare”, dice lei. Io Aspesi, che sto progettando come autoseppellirmi di nascosto, proprio per evitare esequie con tutto il resto, non vado quasi mai ai funerali, sia religiosi che laici, perché mi ferisce non solo quella morte, ma anche la cerimonia degli addii, le persone, parenti, amici, sacerdoti, celebrità, istituzioni, che si alternano per raccontare, beatificare, piangere, vite apparenti, sovrapposte, nel bene e nel male, a quelle vere, mute. Solo chi le ha vissute le conosce, si conosce e potrebbe raccontarle: non con un epitaffio laudatorio, un obituary letterario, un necrologio persino sincero.

Chi resta, chi piange, chi presto dimenticherà, sa ciò che gli è stato dato di sapere o ciò che si è limitato a voler sapere, persino di una vita condivisa. E chi avrebbe molto da raccontare, nella realtà della morte si tace, per orgoglio, paura, disprezzo o costretta al silenzio, “messa al bando… erba cattiva nel giardino buono”.

Di questi silenzi Concita De Gregorio si innamora, come se fossero loro a imporle di essere ascoltati, e li raccoglie in vent’anni di incontri, casualità, amicizie, scoperte, ricerche, ricostruendole con ciò che è rimasto delle loro parole, del loro lessico, delle tracce in vita fraintese, ignorate. E in questo suo nuovo libro raccoglie tredici delle tante vite che tiene in un cassetto del cuore, mentre la sua vita “proseguiva imperturbabile e implacabile su un altro registro, satura di esigenze quotidiane”. (E lo sappiamo molto bene noi invidiosissime sub-colleghe umiliate dalla sua operosa perfezione).

Sono tutte vite di donne perché se è da sempre che lei si occupa della differenza tra uomini e donne, questa volta, “mi limito a confermare che se sei donna è peggio”. Qualcuna di queste le ho incontrate anche io, per esempio Carol Rama, 1918 – 2015 (artista, autodidatta, torinese). Con una sua stupefacente mostra a Milano curata da Lea Vergine e una intervista nefasta a una vecchia cattivissima immersa in un disordine soffocante nella sua casa-studio di Torino. Invece no, ecco la vera Carol, coi suoi pensieri e segreti che ha rivelato solo a Concita (l’unico scrittore chiamato per nome, perché, molto amata o no, ce la sentiamo molto più vicina di un Manzoni, di un Roth, di qualsiasi scrittore contemporaneo). Carol tra tante sue verità: “Sono brutta. Ma i difetti per come li vedo io non esistono: sono una invenzione della società. E poi. Da vecchia essere brutta è più facile. Ho fornicato in un mondo di paure senza limiti, sono una donna senza figli, donna senza uomo, donna che va con tutti gli uomini, con le donne. Quindi. Ninfomane malata mentale depravata feticista. Sessualmente deviata. Puttana strega frigida vecchia infantile spiritata. Esotica erotica vergine. Grottesca patetica”.

Di altre non ne conoscevo neppure l’esistenza, che vergogna, Nise da Silveira, Maceiò 1905 – Rio de Janeiro 1999. Psichiatra. Concita ne ricorda la sua opposizione alle terapie aggressive negli ospedali psichiatrici. È accusata di possedere libri di Karl Marx e nel ’36 finisce in prigione e viene reintegrata in ospedale nel 46. “Voi usavate l’elettricità, io le parole, Voi il bisturi per eliminare, io una casa per accogliere, Voi la luce ghiacciata sul lettino chirurgico, Io le palme del giardino, e i venti. E i gatti, Non eravamo nella stessa squadra. Voi i padroni, io la serva. Al servizio, mi prendo cura, Voi i signori, dettavate legge. Io la violavo – sempre”.

Ma anche, “La psiche, vedete, ha un potenziale enorme di autoguarigione. Basta darle la strada – ne conosco due. Una è l’affetto, la cura… l’altra la creatività…”. Ma poi quante storie dimenticate, tragiche o importanti, cancellate da un orrendo presente che rifiuta il passato, anche l’ieri, e tra poche ore sarà già superato, un presente continuamente finito.

Come si fa a ignorare la verità raccontata da Lorenza Mazzetti, Roma 1927 – 2020, scrittrice, pittrice, regista, già vittima della Storia a 14 anni in una notte che raddoppia essere già orfana della mamma e affidata dal padre a questi parenti, la donna pur non ebrea uccisa con le due figlie dai nazisti, l’uomo si suiciderà l’anno dopo. O la vita in manicomio di Aloise Corbaz, Losanna 1886 – Gimel 1964, rinchiusa a 32 anni sino alla morte, per la follia di rivendicare il suo legame con l’imperatore Guglielmo II. I suoi disegni che l’hanno tenuta in vita sono stati definiti arte. Poi tutte le altre, come Silvina Ocampo, aristocratica ricchissima argentina, scrittrice, forse autrice di testi firmati da Borges, che vivrà spesso con lei e suo marito, in un incrocio di amanti e convivenze e adozioni e una delle sei sorelle, la maggiore Vittoria, celebre fondatrice della rivista letteraria Sur, che pubblicava tutti i grandi del momento, da Nabokov a Neruda.

È morta quest’anno, a Cisternino, Lisetta Carmi, nata a Genova 1924, musicista, fotografa, mistica: nei suoi ultimi mesi di vita, Concita andava spesso a trovarla, e insieme hanno scritto la sua orazione funebre, la vera Sé. Le sue ceneri sono state disperse al largo di Polignano a mare: “Sono libera, vorrei tanto che lo foste anche voi. Sono nel vento, Siamo fatti di vento”.

Chiamatemi pure leccaculo (pardon), non ci giuro sul resto, ma questo Un’ultima cosa mi ha commosso anche perché in ognuna di quelle vite ci parla delle nostre, quello che non diciamo o non ci lasciano dire, quell’essere donna che deve rinchiudere desideri e ribellioni per non essere messa al bando da quell’ignorantissimo Giudizio Universale dei social. Da adesso poi non resta forse che rinchiuderci in un diario segreto, che questa Concita o una prossima, cercherà e studierà e scriverà o porterà in palcoscenico: come ha già fatto in cinque soliloqui e ce ne saranno ancora, la stessa autrice.

Il libro. Un’ultima cosa di Concita De Gregorio (Feltrinelli, pagg. 176, euro 17). Incontro il 28 novembre alle 19 a Milano, Feltrinelli piazza Piemonte. Con Erica Mou

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