Antropologia

Qui dove la storia è vento che lo scoglio lacera

di Francesco De Luca

La storia, quella che si impone nell’esistenza quotidiana della gente, fatta di guerre e di morti, di catastrofi taciute come l’innalzamento della temperatura del globo, la storiaccia, quella che esalta eventi roboanti come la rottura del menage di due star mediatiche, le storielle, che lusingano con annunci di abbattimento delle spese energetiche e aumenti delle pensioni: tutte queste sembrano non scalfire il pacioso scorrere delle ore su questo scoglio, dove di tutto passano folate, dilaniate dal vento imperante.


Qui le opinioni si costruiscono in modo volatile. Ne è un esempio questo articolo.
Folate, spiri, ventate fugaci, quasi a non voler sgualcire l’ordito stantìo, ammuffito, che la vita ha imposto, e che non gradisce turbamenti, mentre nel mondo si combina un nuovo assetto fra gli stati. Che sono poi i contenitori in cui si apre, si intesse e si decompone la vita di milioni di persone. Ogni stato una cultura, una lingua, una economia. E insieme, una dipendenza e un apporto, una aggregazione e una indipendenza.
L’ordito segue uno schema, quello che la natura biologica ha imposto all’uomo. C’è chi comanda e chi soggiace. Comanda il più forte, soggiace il più debole.
Il più forte ha una economia dominante e, in forza di quella, è meglio armato, meglio invischiato nel dare e avere internazionale. Anche se poi, l’economia è affiancata dalla cultura, e questa si differenzia per religione e credo politico. Cosicché ogni stato- forte è circondato da stati- satelliti.
Una volta erano definiti come imperi, oggi sono indicati come stati-influenti. Per cui il mondo è diviso in zone d’appartenenza. All’apparenza ben connotate e definite. In verità all’interno della compagine si agitano interessi, lotte, complotti.
Al potere di tali stati-influenti o c’è un una sola persona (autocrate) o c’è una autoproclamata democrazia. O governa l’ assolutismo (Russia, Turchia, Cina ecc.), o le cosiddette democrazie (America, India ecc.).


Il potere politico. Se questo è gestito da una sola persona si mostra autorevole, sicuro, pronto. E lo è fintantoché l’autocrate garantisce abbondanza e prosperità all’interno. All’apparire di una crisi si sgretola miseramente.
Se il potere politico si ammanta di regole democratiche le dinamiche interne sono più complesse.
Anzitutto c’è da convincersi che il sistema democratico ha due volti:
uno è quello che la teoria ha definito. Ovvero a) che il potere lo detiene il popolo; b) lo detiene sulla scorta di libere elezioni, e lo esercita attraverso i suoi delegati; c) il potere si distingue in legislativo, esecutivo, giudiziario.
due è quello che si è costituito e si costituisce nella vita pratica.
Nella sua forma dottrinale esso è refrattario all’egemonia, alla violenza, al sopruso, perché, a differenza degli altri ordini politici, privilegia la morale politica.E la privilegia perché il pensiero politico non è disgiunto dalla logica. E questa impone che il comportamento umano debba essere soggetto ai principi morali. Che mutano, fluttuano, si liberano e si condizionano a seconda delle tendenze, delle credenze, delle evidenze e delle speranze. Ma seguono principi fondati e fondanti.
Non si è consolidato in nessun esempio storico che possa essere decontestualizzato. La democrazia assoluta non ha mai visto nascita. Ogni forma di potere politico democratico presenta crepe di coerenza. Le quali vengono evidenziate, in forza del libero dibattito, talora vengono espunte, talora annacquate, dando vita ad un assetto diverso, sempre difettoso, mai perfetto.
La democrazia è, per sua natura, perfettibile.
Ci sono democrazie con un monarca, democrazie con presidenti che governano e altre con presidenti che non governano, democrazie elette con la maggioranza degli elettori e altre elette con una minoranza di elettori. Ancora: i tre poteri dovrebbero operare nell’assoluta indipendenza (teoricamente) e invece spesso soggiacciono agli imperativi del governo, o delle classi egemoni.
C’è, insomma, una varietà di connotazioni nelle democrazie.
Fra queste mi preme sottolineare due: quella americana e quella ‘europea’ . Sono due democrazie differenti.
Quella americana, pur desiderando la ‘felicità’ del suo popolo, non rispetta l’ ‘uguaglianza’ naturale di ogni uomo. In America l’uomo ricco è diverso dagli altri. Chi è ricco vale di più. Riesce ad accedere più facilmente alla conoscenza e perciò alle cariche pubbliche, evita la prigione, gode di più diritti.


La democrazia ‘europea’ (ma qui occorrerebbe parlare di democrazie) si caratterizza per essere inclinata, storicamente e culturalmente, verso la garanzia dei diritti.
In Europa opera con maggiore forza e convinzione il fattore diritti perché l’Europa è la patria dei diritti (dal primigenio pensiero greco all’illuminismo e all’idealismo). Quelli sociali e quelli individuali. Essi sono il frutto del pensiero europeo, dei conflitti sociali esplosi nei suoi stati, della storia dei rapporti fra i popoli europei.
Il sistema politico democratico europeo utilizza la rappresentanza dei voti (maggioranza) per estendere e potenziare i diritti (costruendovi intorno un contesto etico).
C’è una grossa pecca in tutto questo quadro: che il sistema democratico europeo non ha un corpo statale unico. E’ frammentato negli stati associati (Italia, Francia, Germania, Spagna, Olanda ecc. ecc.). Ognuno per sé, non coordinato con gli altri.
Cosa provoca questa frammentazione di volontà politiche? Provoca che il pregio distintivo della nostra organizzazione democratica (il fattore diritti) venga messo in disparte, opacizzato, relegato all’angolo e minacciato di esclusione. E già… perché la vita degli stati è agitata da tanti sommovimenti, non è statica. Questo il rischio più prossimo: la precarietà della sua struttura (sempre da definire e connotare). Questa la sua forza (la perfettibilità sopra accennata).

Breve analisi, epperciò monca. Priva di agganci dottrinali epperciò legittimata soltanto dalla sua logicità. Da assumersi come un parere. Fra i tanti più blasonati, un altro parere. Che cerca di portare chiarezza alle sue inferenze. Senza presunzione di verità.

 

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