Politica

Il PD e la controriforma

di Giuseppe Mazzella di Rurillo

İl Pd è stato il partito della “controriforma”.

La chiesa dopo la “riforma” di Martin Lutero avviò nel 16simo secolo quella che essa chiama “la riforma” ma che gli storici laici più correttamente chiamano “controriforma”.
Credo che la forma e la sostanza con uno spostamento di cinque secoli possono essere assimilabili al Pd e alla sua classe dirigente post-democristiana e postcomunista degli ultimi 30 anni in Italia.

Il Pd al governo o all’opposizione ha fatto “controriforme” di stampo “liberista” non “socialista”.
Nell’alluvione storica del liberismo il Pd ha cavalcato l’onda e non ha cercato di frenarla ed è quindi diventato un partito di “destra moderata” chiamando “riforme” ciò che erano “controriforme” e i casi emblematici sono le riforme del mercato del lavoro nel 2002 che hanno cancellato la riforma del collocamento del 1949 e quella del 1969, di fatto dello statuto dei lavoratori, e la “controriforma” del titolo quinto della Costituzione che ha trasformato le regioni in “governatorati” per rincorrere il federalismo che era secessionismo dichiarato ancora sul tappeto con l’autonomia differenziata che oggi la Lega rilancia con il ministro Calderoli, che di porcate se ne intende, con la sua legge elettorale alla quale ha fatto seguito la porcata ancora più fetida della legge Rosato del 2018 allora del Pd.

Il Pd ha bisogno di essere completamente rifondato e deve richiamarsi al riformismo laico e socialista degli anni ’60 del ‘900, quello della “nota aggiuntiva” di Ugo La Malfa. Quello dello statuto dei lavoratori di Giacomo Brodolini. Quello della programmazione economica di Antonio Giolitti. Quello del testo unico sull’urbanistica di Giacomo Mancini. Quello della legge sul divorzio di Loris Fortuna.
Quella fu la stagione della “riforma”.

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