segnalato dalla Redazione
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Un articolo di partecipazione civile, di indignazione militante, da parte di Concita De Gregorio, su la Repubblica di ieri domenica 20 novembre
La rivolta per la libertà
Iran, la nostra indifferenza
di Concita De Gregorio
Erano quattro gatti, ieri (sabato 19 novembre – ndr), in piazza della Repubblica a Roma.
Giovani della comunità iraniana, volti bellissimi e parole fiere, il presidio Radicale benemerito, indefesso, e stop. Pioveva, certo, ma non è questo. Dov’erano “gli altri”?, prendo in prestito la domanda di Don Luigi Ciotti intervistato venerdì sera da Diego Bianchi.
Parlava, don Ciotti, di un’indifferenza nuova, di una impermeabilità spaventosa non solo della politica, della sinistra in specie, ma di tutti quanti, di ciascuno di noi, di fronte all’evidenza di tutto quello che di enorme ci sta succedendo davanti agli occhi e che non vogliamo vedere, nominare, capire e accettare per condividere i destini, se ancora ne siamo capaci, di esseri umani che fanno proprio adesso la storia.
La Storia, maiuscola, come sarà raccontata fra decenni, la Storia della foto più grande e no: non sono i destini del Pd, le correnti le primarie, no, non sono le balbuzie dei ministri di nuovo conio al servizio di una destra proterva e maldestra, incapace persino di usare le parole, di scrivere una legge. Queste sono piccole faccende domestiche, la rovina della politica italiana è poca cosa: a far due passi indietro, a mettere a fuoco il quadro d’insieme, la sciagura è la sua cecità. Nessuno sembra vederlo, il mondo intero, non interessa: è roba d’altri. A noi premono confini, sovranità, patrie.Il nostro muro di cinta, il sistema d’allarme in villetta e le porte blindate. Eppure siamo lì, ci siamo dentro, al mondo: se allarghi, su Google Maps, lo vedi. Sei un punto, in mezzo.
Se una definizione di destra e sinistra può ancora avere senso, dopo lo tsunami di nonsenso degli ultimi decenni, credo sia questa: nessuno può ottenere il proprio bene senza che sia perseguito il bene di tutti. Non è io, il soggetto della politica: è noi. Senza ricerca del progresso comune non ci può essere miglioramento della vita di nessuno. Profitto, forse, convenienza occasionale.
Sfruttamento dei forti sui deboli, ma a che prezzo per le generazioni future. Non siamo padroni a casa nostra, siamo ospiti – tutti quanti – di una casa comune. Se non c’è giustizia e libertà condivisa ogni forma di giustizia e libertà personale è parassita.
Dunque, dove sono “gli altri”? Dove siamo?
Che cosa c’è in questa incredibile sollevazione, in questa controrivoluzione dei giovani persiani che gridando “Donna, vita, libertà” e si fanno uccidere ogni giorno e ogni giorno si moltiplicano, senza paura di morire. Cos’è che non ci piace, per dirlo facile: cosa non ci riguarda? È perché non è una rivoluzione antiamericana, non è anticapitalista? È perché sulle origini del regime di Khomeini, la cui casa i giovani oggi bruciano, pesa qualche responsabilità politica difficile da ricollocare? È perché sono (in gran parte) islamici, dunque per definizione sospetti di attentato alla croce? È perché il pacifismo delle piazze italiane indica un nemico diverso da quello dei giovani che si fanno sparare, non sono gli stessi i nostri e i loro ideali rivoluzionari?
Che misere ragioni, sarebbero: polverose, da anziani militanti orfani e nostalgici del loro fuoco di gioventù.
Ieri era la giornata mondiale dedicata alla solidarietà alla protesta in Iran. Il sito Middle East Matters (Mem) indicava almeno 150 città in tutto il mondo in cui scendere in piazza: dove, a che ora.
Nelle piazze italiane non c’era quasi nessuno, a parte loro: gli iraniani d’Italia. Eppure siamo di fronte a una controrivoluzione, rispetto al ’79. Una rivoluzione senza leader: sociale, culturale.
Uomini che si uniscono alle donne, lavoratori, periferie del Paese.
O vincono o perdono. O li ammazzano tutti, o cambiano la storia.
A due mesi dalla morte di Masha Amini, 22 anni, uccisa dalla polizia morale perché non portava correttamente il velo, sono stati assassinati secondo Unicef 53 minorenni, ma è una stima per difetto. Iran Human Rights dice duemila arrestati, sei condannati a morte per moharebeh, Guerra contro Dio, 378 vittime. I numeri non raccontano mai niente, sono le storie una per una che parlano.
C’è un giornalista, Mariano Giustino, corrispondente di Radio Radicale dalla Turchia, che pubblica ogni giorno – oltre a una cronaca ininterrotta dei fatti – foto, nomi, biografie: Aylar Haghi, 22 anni, uccisa mentre manifestava. Studentessa di medicina alla Tabriz Azad University. Hamidreza Rouhi, 20 anni, ragazzo, ucciso a mani alzate. Danial Pabandi, 17 anni. E ancora, e ancora. Il ballo degli studenti dell’Università di Sanandaj che saltano cantando Azadi, libertà. Ieri Middle East Matters ha elencato i nomi degli ultimi sei bambini uccisi: Kian Pirfalak, 9 anni. La lista inizia così. Proviamo a pensare alla cura che ciascuno di noi presta a un figlio di nove anni. Alle recenti pretestuose polemiche sulla cura che una madre dedica a una figlia, qualunque sia il suo ruolo, premier o no. Che cos’hanno i figli degli altri che non ci riguarda? Questi adolescenti: non sono abbastanza fluidi per attirare l’interesse del femminismo locale?
Troppo donne le donne, troppo uomini gli uomini nella protesta?
Il bacio dei due ragazzi di Shiraz non è un bacio abbastanza eversivo, non così moderno, trattandosi di un maschio e di una femmina? Speriamo di no, che non sia questo. Il Rinascimento iraniano, i millennial persiani che non hanno paura del potere che spara, sono – insieme alle migrazioni bibliche, alle transumanze di popoli via mare – quel che il nostro tempo ci mette davanti proprio adesso. No, non la contesa fra Bonaccini e altri pretendenti alla guida di una sinistra che non c’è. Dov’è la sinistra. Dov’è la politica. Dove sono “gli altri”: dove siamo noi.
Questa è, oggi, la domanda. Neutrali non ammessi dalla storia, prudenti espulsi. Diciamo pure, con un filo di coraggio: prudenti colpevoli, complici.
[Di Concita De Gregorio, da la Repubblica di domenica 20 novembre 2022]
Dopo il taglio delle ciocche di capelli è la volta dei baci in pubblico. È la creatività l’arma che i ragazzi e le ragazze iraniani usano per sfidare il regime degli ayatollah che opprime le libertà individuali, soprattutto delle donne. L’immagine di due giovani, mano nella mano, che si baciano appassionatamente in mezzo a una strada trafficata di Shiraz, è diventata virale sui social (dal Corriere della sera del 17 nov. 2022).