di Paolo Mennuni
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Per la prima parte, leggi qui
Il presepe Reale alla Reggia di Caserta (e sotto, particolare)
Luoghi e personaggi
L’anacronismo proprio dell’arte presepiale in assoluto, fa del presepe un luogo non-luogo, senza tempo per cui nel contesto ci può essere tutto e il suo contrario, dando libero corso alla fantasia ed alle interpretazioni delle situazioni e dei personaggi. Naturalmente il primo anacronismo che salta all’occhio dell’osservatore è quello dell’abbigliamento dei personaggi che non riproduce quello del tempo ma quello dell’epoca in cui l’arte presepiale s’è andata sviluppando e diffondendo.
Basta osservare gli abiti dei Re Magi: essi indossano manti di ermellino come re Carlo di Borbone, mentre loro re non erano. Inoltre vestono all’orientale ed uno di loro, sul turbante, sfoggia una mezzaluna turca, mentre al tempo della Natività Maometto era ancora di là da venire (sarebbe comparso oltre seicento anni dopo). Col tempo i Magi finirono anche con l’indossare il Collare dell’Annunziata, istituzione di Ferdinando IV!
I Magi porgono omaggio d Gesù bambino (dal Presepe Cuciniello)
Pertanto particolare valore acquisiscono i luoghi e i personaggi che popolano il presepe per i significati ed i simbolismi che essi contengono o che, nel tempo, sono stati loro attribuiti. A questo proposito tratteremo solo pochi aspetti, altrimenti occorrerebbe un’enciclopedia. Citerò quindi, a mo’ d’esempio, alcune cose che saranno utili a capire lo spirito che pervade tutta la costruzione del Presepe napoletano.
Nello scoglio la cui centralità è indiscussa, abbiamo la taverna che rappresenta il momento profano di riposo e di svago, dove gli avventori mangiano, bevono e giocano a carte; ma essa ci ricorda anche la peregrinazione di Giuseppe e Maria alla ricerca di un rifugio per la notte. A questo punto si aggiunge un’altra interpretazione più sofisticata; l’Oste sarebbe il diavolo che rifiuta intenzionalmente l’alloggio ai due pellegrini per lasciarli in balia dei predoni, o per poteri aggredire con il favore delle tenebre, sempre per impedire l’Evento! L’osteria è anche il richiamo a fatti evangelici come le Nozze di Cana e l’Ultima Cena.
Il pozzo o la fontana, dove siede la donna col piede di capra che sarebbe il diavolo che, sotto mentite spoglie, vuole ingannare Maria attendendola laddove era sicuro di incontrarla ogni giorno. Prima dell’annunciazione il diavolo, travestito da donna, si presentò dove Maria si recava ad attingere l’acqua e cominciò ad attaccare discorso e le disse di avere un figlio giovane e molto bello del quale non c’era, però, da fidarsi specialmente quando le avrebbe predetto che avrebbe concepito il Figlio di Dio. Il diavolo, però, parlando, non si accorse che il suo piede caprino faceva capolino da sotto alla veste; Maria capì e disse: Vade retro!
Comunque il pozzo e la fonte sono luoghi di ritrovo mondani e mistici: le donne s’incontrano e chiacchierano, vi si danno convegni amorosi ma sono anche i luoghi delle apparizioni. Secondo il Vangelo apocrifo di San Tommaso, l’annunciazione sarebbe avvenuta in prossimità di una fonte dove Maria si era recata per attingere l’acqua.
I pastori o statuine, in genere, devono essere rigorosamente di terra cotta nelle parti visibili, cioè testa, mani e piedi, che sono poi collegate da fil di ferro e ricoperti di stoffa, spesso seta di San Leucio. Il fil di ferro serve per modificarne, eventualmente, l’atteggiamento. L’esclusione di altri materiali, come ad esempio la cartapesta o il legno, è dovuto al significato cosmogonico che rivestivano i quattro elementi costituenti la terracotta: Acqua, Terra, Fuoco e Aria. Ma le ali degli angeli sono in legno altrimenti sarebbero troppo pesanti.
Cicci Bacco ‘ncopp’ ‘a votte
(dei fratelli Siano, esposto nella mostra dei presepi natalizia nella chiesa di S. Angelo a Segno.
Non mancano, nel Presepe Napoletano, anche figure derivate direttamente dalla mitologia pagana come il Bacco carrettiere che porta le botti di vino sul carro. Rivisitato dalla cultura popolare diventa Cicci Bacco e per il quale c’è anche una filastrocca ce canta:
Cicci Bacco ’ncoppa ’a votte
Chi ’o tira e chi ’o votta
Chi ’o votta int’ ’a cantina
Cicci Bacco beve ’o vino!
Altro richiamo pagano è la Sibilla cumana che non dovrebbe trovare posto nell’iconografia presepiale ma che invece lo trova nel Presepe napoletano dove incarna la punizione divina per la presunzione insita nel suo mestiere! La Sibilla era una giovane bellissima, per i Cumani Sepilla la bella; possedeva un libro nel quale era riassunto il destino del mondo, che lei soltanto era in grado di leggere. C’era tutto: presente, passato e futuro. Naturalmente c’era scritto anche che una vergine avrebbe partorito un bambino e Sepilla pensò che potesse essere lei. Quando seppe che il fatto sarebbe avvenuto altrove, e poi che la vergine non sarebbe stata lei, si recò a Betlemme ma ebbe l’ardire di toccare la Madonna. Immediatamente si trasformò in una vecchia orrenda per restare così fino alla fine del mondo!
Tra i pastori veri e propri vi sono dei personaggi ricorrenti: Benino che dorme, personaggio preso da un’opera teatrale composta, sul finire del XVII secolo da un abate gesuita Andrea Perrucci: La Cantata dei Pastori. Spettacolo in cui una serie di congiure demoniache, puntualmente sventate dall’arcangelo Gabriele, tentano di impedire la Nascita del Redentore.
Intorno a Benino pascolano dodici pecore che simboleggiano i mesi dell’anno. Siccome nel presepe il tempo è fermo, Benino si risveglia e diventa il pastore delle meraviglie che, con le braccia aperte, guarda la cometa, ammira il prodigio e con il suo gesto esprime la sua gioia e la sua incredula ammirazione.
Non possiamo, a questo punto, non descrivere Maria e Giuseppe, personaggi fondamentali, rappresentati lei con la veste rosa (in origine rossa) ed il mantello azzurro, i colori dell’aurora e del cielo sereno, mentre lui è con l’abito viola e col mantello giallo, che sono i colori dell’autunno e della vecchiaia. Questi sono in netta contrapposizione con quelli di Maria che sono l’eterna giovinezza e l’immutabilità. Naturalmente i vestiti della coppia, come quelli dei Magi, sono spesso di seta ed ornati con gioielli veri.
Immagine di copertina. Il Presepe dei ‘Maestri Ferrigno’, di via S. Gregorio Armeno,
fotografato il 14 dic. 2021 (di Franco Origlia/Getty Images)
Conclusioni
Forse si è detto poco o forse anche troppo sull’argomento ma è giocoforza arrestarsi per non tediare vieppiù gli astanti desiderosi d’altro. Spero, comunque, di aver con le mie parole suscitato un certo interesse per un argomento io ho sempre sentito molto vicino e che mi ha interessato fin dalla mia adolescenza quando ho visto e ammirato, a Napoli, per l’appunto il Presepe Cuciniello.
Appendice letteraria (a cura di Sandro Russo)
Per una strana coincidenza – incredibile, quindi non raccontabile – mi sono ritrovato per le mani, in occasione di questo invio di Paolo Mennuni, il libro di Benedetta Cibrario (del 2011) che avevo letto qualche anno fa… Ne ho accennato nella prima parte: Il libro è Lo scurnuso.
Narra in tre tempi e luoghi diversi, rispettivamente Napoli, intorno al 1792, ancora a Napoli, Montecalvario e Chiaia nel 1939-1943, e infine nella penisola sorrentina nell’estate 2009 (cioè in tempi attuali, rispetto al romanzo) degli spaccati di vita napoletana, utilizzando come filo conduttore una statuina del presepe napoletano: una piccola immagine denominata “lo scurnuso” (quello che si vergogna).
Affascinante la prima sezione del romanzo con la storia di un povero orfano allevato dalle suore di Caserta (forse “figlio della colpa” di una di esse): Sebastiano di nome, detto Purtualle (‘portogalli erano chiamate in passato le arance, per la provenienza geografica), per la sua faccia tonda: Purtualle ‘n punt’ ‘a mazza. Ebbene, il piccolo diseredato viene affidato dalle monache a un figuraio di statuine del presepe, vecchio e malato, Tommaso Iannacone, a rimborso per un debito non pagato. Al momento della cessione, il bambino ha cinque-sei anni e cresce a Napoli con Iannacone, lavorando per lui e aiutandolo nella sua infermità: una deformazione invalidante e molto dolorosa che parte dalle mani e poi interessa tutte le articolazioni. L’orfano ha un talento nelle mani: è capace di ritrarre con molta fedeltà le cose che vede e anche, modellando la creta come vedeva fare a Tommaso, di creare piccole figure.
All’età di sette otto anni Purtualle, ormai Sebastiano, viene di nuovo ceduto, per imparare un mestiere, alla bottega di scultura dei fratelli Riggio, dove per cominciare viene messo a fare i lavori più umili e faticosi. Ma intanto guarda… e impara. A Iannacone resta come il rimorso di una mal’azione compiuta ai danni del bambino che si era affezionato a lui, in cambio di un piccolo vitalizio dai Riggio
L’ambiente, la genialità del ragazzino che si afferma pur tra tante difficoltà in un ambiente ostile sono raccontate con partecipazione e competenza. Sebastiano diventa bravo e apprezzato, sebbene malvolentieri, dal capo della bottega Gaspare Riggio. Non ha mai perdonato a Tommaso Iannacone di averlo abbandonato da piccolo e non l’ha mai più voluto vedere, ma quando sa che è in punto di morte divorato dalla malattia, va a ritrarlo. L’incontro non viene raccontato; ne rimane però il risultato, l’immagine di un vecchio piegato e piagato che mostra nella figura e nell’espressione la vergogna del suo stato; forse anche il rimorso.
Ma di questi piccoli oscuri personaggi e piccoli fatti la storia non serba memoria. Accadrà molto anni più tardi, nella Napoli degli anni della guerra, che Giovanni Scotti, sensibile ed empatico restauratore di figurine del presepe, curando l’importante collezione di pastori del duca di Albaneta, chiama quella figura lo Scurnuso: – Io lo chiamo lo Scurnuso. Vedete come vi guarda? Quello si vergogna di com’è diventato
– Si vergogna?
– Posso parlare volgarmente, Eccellenza?
Albaneta fece cenno di sì
– Si mette scuorno, Eccellenza, mi intendete?
Lo Scurnuso lo incontreremo ancora, nel terzo tempo del racconto, ai giorni nostri – sopravvissuto ai bombardamenti che hanno distrutto gran parte del presepe, avvolto in un prezioso astuccio, come regalo di un padre ad una figlia da cui ha qualcosa da farsi perdonare.
Gradevole, anche se diseguale – non tutte le parti hanno lo stesso fascino – il romanzo. Il personaggio di Purtualle/Sebastiano mi ha richiamato un po’ il Grenuille (ranocchio), protagonista de Il Profumo di Süskind (1985) e l’atmosfera della Napoli d’antan la vicenda di Vincenzo Gemito (1852 – 1929), apprezzato scultore napoletano, come raccontato da Wanda Marasco ne Il genio dell’abbandono (articolo di Rita Bosso sul sito: leggi qui).
Tanto che la figura dello Scurnuso, sempre lasciata immaginare al lettore, mi ha richiamato l’autoritratto che si fece Gemito da vecchio, nudo su un letto, un anno prima di morire:
[A nuie ’u presebbio ce piace aasaie (2) – Fine]
Enzo Di Fazio
19 Novembre 2022 at 16:05
Interessante questa ricostruzione “storica” del presepe proposta da Paolo Mennuni
Sono un appassionato di presepi ed anche per questo l’ho molto apprezzata. Ancora oggi che ho i capelli bianchi mi piace, in prossimità del Natale, dar vita al presepe, il mio presepe, come ogni anno e come faccio fin da quando ero bambino.
Utilizzando sugheri, pezzi di legno, piccole pietre, rametti di piante, foglie secche il mio presepe, di stampo essenzialmente francescano ma di ispirazione napoletana, è, nella costruzione del paesaggio, sempre diverso e, allo stesso tempo, uguale. Diversa l’ambientazione ma uguale nella centralità della grotta intorno alla quale si muove tutto il resto, fatto dalle figure classiche del presepe napoletano tra le quali tutte quelle descritte da Paolo.
I due scritti mi hanno fornito anche tutta una serie di chiarimenti sulle idee che mi ero, o non mi ero, fatto circa la presenza di alcuni elementi nei presepi storici come quello di Cuciniello
Mi riferisco in particolare all’utilizzo delle rovine del tempio che non sapevo legato alla scoperta di Ercolano e Pompei o, altra curiosità, l’utilizzo di alcuni elementi decorativi dei Re Magi, come la mezzaluna turca o il collare dell’Annunziata, la cui presenza in realizzazioni diverse delle statuine non mi ero mai riuscito a spiegare
E poi la bella descrizione delle figure pagane, come Bacco il carrettiere e la Sibilla cumana, a dimostrazione di come il presepe sia l’elaborazione di un mondo, in cui c’è sempre una parte di chi lo realizza, che va oltre la rappresentazione cristiana.
silverio lamonica1
20 Novembre 2022 at 18:48
I miei complimenti a Paolo Mennuni per aver illustrato, in maniera molto approfondita, l’arte “presepiale” napoletana. Confesso che non conoscevo tanti particolari in proposito. Ma oltre agli abiti, non più di epoca romana, c’è da segnalare che le moderne statuine del presepe di San Gregorio Armeno riproducono le fattezze di personaggi famosi: dallo sport allo spettacolo, alla politica…
Inoltre vengono introdotti spesso “nuovi materiali” mai usati prima, come ebbi ad illustrare, con un sonetto pubblicato su questo sito, nel dicembre 2011:
https://www.ponzaracconta.it/2011/12/17/il-primo-natale-insieme-a-ponzaracconta/