Storia

A nuie ’u presebbio ce piace assaie! (1)

di Paolo Mennuni

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Si avvicinano il Natale e le sue tradizioni, tanto più preziose data l’incertezza dei tempi. Rivisitiamo quindi la tradizione del presepe, con un anfitrione d’eccellenza, Paolo Mennuni, napoletano verace, rimasto – pur trapiantato da anni a Roma – legato alla cultura e alle tradizioni del suo mondo d’origine.
Quest’anno scriverà del presepe napoletano che tutti credevamo di conoscere, invece non lo conoscevamo per niente. In due puntate sul sito
S. R.

Presepe Cuciniello. Natività

 Il presepe napoletano
di Paolo Mennuni

Premessa
Contrariamente a quanto si potrebbe desumere dall’appellativo, il presepe napoletano non è frutto di una tradizione che nasce e si sviluppa nel popolo, come la pizza o la gastronomia in generale, ma è un qualcosa che si sviluppa e si dipana attraverso vari stadi, compresa l’ostentazione e la sfida, per poi trasformarsi in arte vera e propria. Accanto a questa, poi, c’è sempre stata la tradizione del presepe con i pastori di cartapesta. La differenza sostanziale è semplicemente una: cioè che il presepe tradizionale si rifà ogni anno, in prossimità del Natale, quello “napoletano” si fa una volta sola.

Viceversa il “presepe napoletano”, pur prendendo le mosse dalla tradizione popolare italiana (si fa risalire a san Francesco), è qualcosa di molto elaborato ed elitario che prende piede e si diffonde, in seno alle classi più abbienti ed influenti della società napoletana. Questa peculiarità è dovuta alle dimensioni del manufatto, al gran numero di figure che lo compongono e allo spazio necessario; spesso infatti, per contenerlo, nelle dimore patrizie, al “presepe” veniva dedicata una stanza!

L’esemplare più rappresentativo di questa espressione artistica è il Presepe Cuciniello che si può ammirare a Napoli nel Museo della Certosa di S. Martino. Questo presepe è frutto dell’impegno e della passione dell’architetto Michele Cuciniello, ma di questo diremo in appresso perché merita un discorso a parte.
Tale forma di espressione, a soggetto religioso, assurto poi a pura forma artistica, non a caso, nasce proprio a Napoli nel corso del XVIII secolo, cioè in concomitanza con le scoperte di Ercolano, Pompei, Oplonti e Stabia [leggi La scoperta di Pompei e di Ercolano (1) e (2)].

L’esistenza delle città sepolte era nota anche ai romani, che, circa ottant’anni dopo l’eruzione, per volere dell’imperatore Alessandro Severo, tentarono di scavare, forse con la remota speranza di poter recuperare i tesori sepolti, ma i siti non furono localizzati.
La scoperta, avvenuta molti secoli dopo e del tutto casuale, fu dovuta ad un agricoltore di Resina, certo Ambrogio Nocerino detto ’Nzicchetta, che nel 1709, scavando un pozzo, portò in superficie dei reperti marmorei che, come si scoprì successivamente, erano dei fregi del teatro di Ercolano.

Una ricerca più sistematica e razionale inizierà solo per merito di Carlo di Borbone che, nel realizzare la Reggia di Portici farà di questa il luogo dedicato ai ritrovamenti e ai relitti delle città sepolte dall’eruzione del 79 d. C., e rendendo così la reggia una tappa importante e obbligata del Gran Tour per gli intellettuali ed i giovani rampolli delle famiglie europee del tempo.

Il neoclassicismo
Nello stesso periodo, in Europa, si sviluppa lo stile neoclassico in contrapposizione al barocco. Il termine stesso, insieme a quello di “stile pseudoclassico”, mostrava una preferenza per le linee rette e squadrate che si richiamavano alle antichità classiche e contrastavano le volute contorte e gli ornamenti propri del barocco.

Questo stile che si rifaceva ai monumenti storici che costellavano Roma, ebbe un impulso notevole in seguito alla scoperta di Ercolano e di Pompei.
E infatti il presepe napoletano è sostanzialmente un prodotto “neoclassico”, testimoniato dalle rovine del tempio che troneggiano al centro della scena e che, con questo scoglio, segnano inequivocabilmente il distacco dell’arte presepiale “napoletana” da quella tradizionale o francescana.
Ma le peculiarità del presepe napoletano non si fermano qui e vanno ben oltre e saranno l’argomento di ciò che segue.

Le scoperte
La scoperta di Ercolano, Pompei e gli altri siti non mancò di generare interrogativi sulla natura intima di questa civiltà che, dopo oltre un millennio (milleseicento anni circa) veniva fuori nella sua essenza, con pitture, decorazioni e mosaici e disvelando, attraverso un’oggettistica di uso corrente, un concetto della morale completamente avulso dai canoni del tempo.
La religione, ovviamente, era quella pagana dove il fallo era simbolo benaugurante di fertilità e di ricchezza e dove il sesso non era peccato!
La copia di simboli fallici disseminati in ogni dove: per terra, ad indicare il percorso più sicuro per raggiungere un lupanare, nelle case come lampade ad olio, o come fonti nelle statue dei giardini, che spesso avevano sembianze di fauni; gli affreschi murari che, come un Kamasutra, proponevano le varie posture da assumere nell’atto fecero sì che Pompei fosse ritenuta una città perduta, una sorta di Gomorra, che doveva essere punita dall’ira divina per la sua empietà!

Una “civiltà” pagana profondamente e intimamente corrotta e che il tempo aveva cancellato e che solo in questi luoghi era emersa all’improvviso e in tutta la sua autenticità, mettendo a dura prova le coscienze.
Roma, ancorché traboccante di reperti archeologici e di simboli religiosi e non, aveva avuto altre un millennio e mezzo per adeguarsi ai canoni della nuova religione ed alla nuova morale, per cui certe tracce si erano definitivamente perse.
La ricomparsa improvvisa e repentina di una civiltà in cui il “peccato”, così come codificato nelle religioni monoteiste, non era noto fu un vero e proprio vulnus per le coscienze e, per, Pompei, con le altre città sepolte dalla furia devastante del Vesuvio, come detto sopra, furono ritenute città perdute sulle quali si era riversata l’ira divina.

’O presebbio
Il presepio o, come si dice “in lingua”, ’o presebbio, elaborato in questa temperie, corre in aiuto sostituendo la “grotta” o la “stalla” della tradizione con le rovine del tempio pagano, tra le cui colonne nasce il Salvator mundi. Ed è questo è il messaggio fondamentale che tuttora il presepe napoletano trasmette: il trionfo della vera fede sulle credenze false di quel passato remoto e che, sepolto per secoli sotto la terra della Campania Felix, irrompeva prepotentemente sulla scena partenopea.
Il presepe napoletano, però, non è solo questo. Cioè non è soltanto tradizione religiosa espressa con grazia artigianale che si fa arte, perfino nelle espressioni meno mistiche e profondamente profane. Espressioni che riproducono un’Arcadia ed una vita vissuta nel borgo, e che si dipanano autonomamente, contrastano con il fatto mistico che si compie sullo scuoglio che, come un’acropoli, domina la scena.
Anche perché, se vogliamo, il messaggio sacro cui abbiamo accennato, è un episodio nella quotidianità che apprezziamo ed osserviamo nei particolari minuziosi di una vicenda umana che si svolge nello stesso momento e nello stesso luogo, ma discosta e autonoma rispetto a ’o scuoglio, la cui vicenda e la cui dinamica sono avulse e ricomprese, allo stesso tempo, nel contesto presepiale.

Lo ‘scoglio’ del presepe Cuciniello è composto da tre sezioni che corrispondono a tre episodi tradizionali che compongono la storia del presepe: la Natività, al centro, dentro un tempio romano diruto e sormontato dagli angeli come era la tradizione iniziata dai Padri Gesuiti. Il tempio si collega anche al gusto antiquario del tempo che con la scoperta dei siti archeologici vesuviani trae ispirazione per i paesaggi artistici sia in pittura che nelle arti applicate e inoltre nella simbologia religiosa il trionfo del cristianesimo sul mondo pagano. La struttura del tempio venne anche criticata per le proporzioni ridotte della struttura templare rispetto all’altezza dei pastori, una caratteristica che è divenuta poi assolutamente trascurabile nel presepe napoletano.
Altra sezione è la Taverna, in una casa a due piani con le vivande e gli avventori che la affollano accompagnati dal suono dei viandanti provenienti dalla Basilicata, gli zampognari; infine l’Annuncio ai pastori ambientato tra capanne con pastori e mandriani sorpresi dall’improvvisa comparsa dell’angelo annunciante. Questa parte è collegata al luogo dove è posta la Natività da un ponte ad arco.
L’allestimento è datato al 1879 e si trova al piano terra nella sala che un tempo era la cucina della certosa.
Il presepe è dotato di un impianto di illuminazione che simula l’alternarsi di alba, giorno, tramonto e notte. Molti hanno voluto vedere nelle scene caratteristiche del presepe Cuciniello, in tutta quella varietà di tipi e situazioni quotidiane, la firma dell’attività da commediografo del collezionista e architetto.

Di presepi napoletani ve ne sono molti e anche sparsi nel mondo, essi differiscono tra di loro per ricchezza dei particolari e per composizione in relazione alla fantasia dell’artista-artigiano che lo ha composto, alle disponibilità del committente e… dello spazio disponibile!
Dovunque sono in esposizione come presepi artistici e come espressione di un’arte minore, come la ceramica, dove l’artigianato si fa arte ma gli autori restano, il più delle volte, sconosciuti.

Restano, però, degli elementi fondamentali che si rinvengono sempre e comunque nel presepe napoletano e che possono essere individuati come segue: l’insieme, o panorama o paesaggio, che tripartisce ’o scuoglio, in tempio diruto della Natività, ’a campagna e il borgo.
Del primo abbiamo già detto, mentre la campagna raccoglie nella sua prospettiva i pastori, primi destinatari del messaggio e che, con le loro greggi, popolano questa Arcadia in cui v’è un fiume, simbolo della vita, che scorre; lo stesso è scavalcato da un ponte, che rappresenta l’unione tra il divino e il mortale.

Il presepe Cuciniello
Il prototipo del presepe napoletano è, senz’altro, il Presepe Cuciniello; collocato, abbiamo già detto, nel museo della Certosa di S. Martino a Napoli. È uno dei più ricchi e conosciuti, contiene circa 800 pezzi, ed è dovuto all’arte ed all’impegno di Michele Cuciniello.

Il presepe Cuciniello, da una diversa angolazione (cliccare per ingrandire)

L’opera non è del ’700, perché l’autore è vissuto nell’800, però i “pastori” sono originali e provengono tutti dalla collezione di famiglia che, addirittura dopo la proclamazione dell’Unità, furono donati al museo, su sollecitazione del direttore del museo stesso: Demetrio Salazar. Il Cuciniello, però, pose delle condizioni: il presepio avrebbe dovuto farlo personalmente lui su suo disegno. Essendo architetto, appassionato di arte, curò l’opera nei minimi particolari, compresa l’apertura della volta del soffitto per avere quella determinata luce soffusa, quasi un’aurora. Ne curò la prospettiva facendo uso di oggetti e di figure di dimensioni differenti che danno la giusta prospettiva. Gli angeli poi, con le loro dimensioni, danno l’idea di un corteo sospeso che si avvicina con continuità al luogo sacro della Natività. Gli angeli più piccoli e più lontani, in gergo, si definiscono ’e muschille, cioè: i moscerini.

Per questo il Presepe Cuciniello è il prototipo presepiale napoletano perché, essendo tardivo, risulta essere una summa in cui c’è di tutto e di più.

[A nuie ’u presebbio ce piace assaie! (1) – Continua]

Le botteghe

Particolare del presepe della reggia di Caserta

Anticipazione
Nella prossima puntata saranno presentate le tipologie dei personaggi tipici del presepe napoletano e la ricchissima aneddotica a loro associata, insieme ad una originale scoperta: un romanzo di Benedetta Cibrario del 2011 che riporta alla luce quel mondo, giocato in tre tempi: dalla Napoli borbonica fastosa e miserabile, passando per la Napoli sfigurata dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, fino a oggi, per vicoli e palazzi, umide stamberghe e salotti sontuosi. (…)
(…) Una sequenza narrativa che ha come protagonista la bellezza stessa, una bellezza umile che dice le ragioni di un durevole incantamento
(dalla quarta di copertina del romanzo).

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