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Leadership forever

segnalato dalla Redazione, da la Repubblica del 12 novembre 2022

Non se l’avrà a male l’amico Emilio Iodice se diamo spazio, sul suo argomento preferito, a Henry Kissinger (*) uno dei più importanti statisti del XX secolo che coglie l’occasione di citare altri grandi, come Churchill e De Gaulle e le loro esperienze, che hanno trovato espressione in libri giustamente basilari, per i cultori della materia.
E testimonianza dopo testimonianza si impara un po’ di storia contemporanea…

Il buon leader è un artista, il libro di Henry Kissinger
di Henry Kissinger

Ispirazione e istinto sono qualità essenziali per uno stratega. Parola dell’ex segretario di Stato americano nel suo nuovo saggio

Henry Kissinger con Richard Nixon nel luglio 1973

I leader sono fatalmente condizionati da lacci e lacciuoli. Operano in situazioni che presentano inevitabili ostacoli, perché ogni società è costretta ad affrontare i limiti delle proprie potenzialità e capacità d’azione, dettati dalla demografia e dall’economia. Essi operano anche nel tempo, in quanto ogni epoca e ogni civiltà riflettono i valori, le usanze e gli atteggiamenti che dominano in quel momento e che, insieme, definiscono i risultati cui si aspira. Inoltre, i leader agiscono in competizione tra loro, perché sono costretti a misurarsi con altri attori – siano essi alleati, potenziali partner o avversari – che non sono statici, ma adattativi, con loro specifiche capacità e aspirazioni. Per giunta, gli avvenimenti spesso accadono troppo in fretta per consentire calcoli precisi, sicché i capi di governo devono formulare giudizi basandosi su intuizioni e ipotesi la cui validità non è dimostrabile all’epoca in cui viene presa la decisione.

La gestione del rischio ha, per lo statista, la stessa cruciale importanza della capacità di analisi razionale. La parola “strategia” descrive la conclusione cui giunge un leader in queste circostanze di limitazione delle capacità oggettive, demarcazioni temporali, competizione e fluidità delle situazioni. Nel compito di trovare la strada da seguire, la leadership strategica può forse somigliare al funambolo che cammina sulla corda: come l’acrobata rischia di cadere se è troppo timido o troppo audace, così il leader è costretto a procedere all’interno di uno stretto corridoio che lo vede sospeso tra le relative certezze del passato e le ambiguità del futuro. Il castigo per l’ambizione eccessiva, quella che i greci chiamavano hybris, è lo sfinimento, mentre il prezzo da pagare per avere riposato sugli allori sono la progressiva perdita di importanza e il declino finale. Passo passo, i leader devono adattare i mezzi ai fini e gli obiettivi alle circostanze, se vogliono arrivare alla meta. Il “leader come stratega” si trova ad affrontare un paradosso intrinseco: nelle circostanze in cui è necessaria l’azione, gli capita spesso di avere maggior margine di manovra per decidere quando ha a disposizione meno informazioni che mai, mentre quando dispone di più dati ha in genere un margine di manovra ristretto. Per esempio, nella fase iniziale di un riarmo strategico della potenza rivale, oppure quando scoppia all’improvviso una nuova epidemia virale che colpisce l’apparato respiratorio, la tentazione è di considerare il fenomeno emergente transitorio o gestibile secondo gli standard consolidati.

Nel momento in cui la minaccia non si potrà più negare o minimizzare, il margine di manovra si sarà ridotto o il costo della soluzione del problema sarà diventato esorbitante. Se si fa un cattivo uso del tempo, i limiti si imporranno da soli, e sarà più difficile adottare anche la migliore delle restanti scelte, sicché si avranno meno possibilità di successo e maggiori rischi di fallimento.

È in casi come questi che l’istinto e il giudizio del leader sono essenziali. Winston Churchill lo comprese bene quando, in L’addensarsi della tempesta (1949), scrisse: “Gli uomini di Stato non debbono soltanto sistemare quei problemi di minore importanza che spesso si sistemano spontaneamente; è quando la bilancia oscilla e le reali proporzioni degli avvenimenti son velate dalla nebbia, che si presenta l’opportunità di prender decisioni capaci di salvare il mondo.
Nel maggio 1953, uno studente americano in visita in Inghilterra chiese a Churchill quale fosse il modo migliore per arrivare a essere buoni leader. “Studi la storia, studi la storia” gli raccomandò lo statista. “Nella storia sono racchiusi tutti i segreti dell’arte di governo”. Lo stesso Churchill era un acuto studioso e autore di storia, e capiva quindi bene il continuum nel quale si trovava a operare.
Ma la conoscenza della storia, ancorché essenziale, non basta. Alcune questioni restano sempre “velate dalla nebbia”, e risultano impervie perfino agli eruditi e agli esperti.

La storia insegna per analogia, permettendoci di confrontare situazioni tra loro simili. Le sue “lezioni”, però, sono solo approssimazioni che i leader hanno il non facile compito di riconoscere e la responsabilità di adattare alle circostanze della propria epoca. Oswald Spengler, filosofo della storia dei primi del Novecento, colse bene questo compito quando disse che il leader, l’uomo “chiamato all’azione”, ha “l’impulso e l’istinto, la capacità di capire uomini e situazioni, la fede nella propria stella”.

Il leader stratega deve avere anche le qualità dell’artista, che intuisce come forgiare il futuro usando il materiale disponibile nel presente. Come osservò Charles de Gaulle nel 1932 in Il filo della spada (1957), una riflessione sull’arte di governo, l’artista “non trascura di usare la sua intelligenza”, anzi, “ne trae lezioni, metodi, una scienza”. Semmai, l’artista aggiunge a queste fondamenta “una facoltà istintiva, l’ispirazione, che, sola, gli dà il contatto diretto con la natura donde sprizzerà la scintilla”.

Poiché la realtà è complessa, la verità, in ambito storico, differisce dalla verità in ambito scientifico. Lo scienziato persegue risultati verificabili, mentre il leader stratega che conosce a fondo la storia si sforza di distillare dall’ambiguità intrinseca a una situazione intuizioni utili ai fini operativi.

Gli esperimenti scientifici confermano o smentiscono i risultati precedenti, dando agli scienziati l’opportunità di correggere le loro variabili e ripetere gli esperimenti. Agli strateghi, invece, di solito è permesso un solo esperimento, e le loro decisioni sono perlopiù irrevocabili. Lo scienziato apprende la verità in modo sperimentale o matematico, mentre lo stratega ragiona almeno in parte per analogia con il passato, stabilendo innanzitutto quali avvenimenti siano confrontabili con quelli trascorsi e quali precedenti conclusioni appaiano valide anche nel presente. Nonostante questo, egli deve scegliere le analogie con cautela, giacché nessuno può, in nessun senso concreto, rivivere il passato: lo si può soltanto rievocare “al chiaro di luna della memoria”, come ha detto efficacemente lo storico olandese Johan Huizinga.

Nelle scelte politiche importanti non è quasi mai in gioco un’unica variabile: per giungere a decisioni sagge, occorre coniugare intuizioni politiche, economiche, geografiche, tecniche e psicologiche, coordinandole tutte con l’istinto della storia. Alla fine del XX secolo, Isaiah Berlin spiegò che era impossibile applicare i metodi scientifici fuori dall’ambito della scienza, e che quindi l’arte dello stratega era sempre difficile. Secondo Berlin, come il romanziere o l’artista, lo statista deve avere la facoltà di assorbire la vita in tutta la sua straordinaria complessità:
“E tuttavia ciò che rende gli uomini stupidi o perspicaci, intelligenti o ciechi, attributi distinti dall’essere competenti o dotti o preparati, è la percezione di questi aromi unici di ciascuna situazione quale essa è, nelle sue specifiche differenze – di ciò che la fa diversa da ogni altra situazione, ossia di quei suoi aspetti per i quali sfugge all’esame scientifico, per la semplice ragione che si tratta di elementi che nessuna generalizzazione, proprio perché è una generalizzazione, può afferrare”.

II libro Leadership di Henry Kissinger (Mondadori, pagg. 600, euro 28)

Traduzione di Laura Serra, Elena Sciarra, Nicoletta Poo
© 2021, Henry A. Kissinger, Delphin LLC, Daniel Huttenlocher
© 2022 Mondadori Libri S.p.A., Milano

 

Immagine di copertina. President Ford and daughter Susan watch as Secretary of State Henry Kissinger shakes hands with Mao Tse-Tung; Chairman of Chinese Communist Party, during a visit to the Chairman’s residence (2 dicembre 1975) [fonte: Wikipedia]

Henry Kissinger with princess Diana. 1995 in New York City (GettyImages – Antony Jones)

Note

Henry Kissinger, nato Heinz Alfred Kissinger (Fürth (Baviera), 27 maggio 1923), è un politico e diplomatico tedesco naturalizzato statunitense.
Membro del Partito Repubblicano, fu Consigliere per la sicurezza nazionale e Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford tra il 1969 e il 1977. Nel 1973 fu insignito del premio Nobel per la pace (insieme al vietnamita Lê Đức Thọ), per l’avvio della composizione del conflitto vietnamita.

Kissinger durante il famoso incontro con Mao Zedong nel 1972. Alle spalle, Zhou Enlai

All’inizio degli anni settanta Kissinger si rese protagonista di una innovativa politica estera, raggiungendo alcuni importanti successi per gli Stati Uniti, che gli valsero un grande prestigio internazionale e una crescente influenza all’interno dell’amministrazione Nixon. Peraltro i suoi metodi spregiudicati di azione politica, che non escludevano pesanti interferenze, anche militari, su governi e politici stranieri, per salvaguardare a tutti i costi il potere statunitense e impedire la sopravvivenza di realtà politiche ritenute ostili, come nel caso del Cile e dell’Argentina, sono stati aspramente criticati [sintesi da Wikipedia].

Kissinger stringe la mano a Pinochet (giugno 1976)

Sul sito si è accennato recentemente ad alcuni aspetti della politica estera americana: leggi qui.
Nel dicembre 2018 in occasione della presentazione a Latina del film Santiago – Italia, di Nanni Moretti, abbiamo rievocato sul sito la vicenda cilena.

***

Appendice del 14 novembre 2022 (cfr commento di Emilio Iodice)

La copertina del libro di Daniel Coleman

 

1 Comment

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  1. Emilio Iodice

    14 Novembre 2022 at 07:24

    Ringrazio la Redazione per aver proposto questo articolo che fornisce un’altra dimensione della Leadership: quella del leader come stratega. Importanti anche i riferimenti di vari lavori che ne discutono. Churchill aveva ragione nel dire che nessun leader può assumersi la responsabilità della leadership senza comprendere la storia, indipendentemente dal campo.
    Un leader veramente efficace ha una forte intelligenza emotiva. Questa qualità si trova in alcuni capi ma non in tutti. Lincoln, Martin Luther King, John Kennedy, Madre Teresa, Theodore Roosevelt, Adriano Olivetti, De Gasperi sono alcuni esempi di leader che avevano una potente intelligenza emotiva. Credo che sia importante per i nostri lettori capire in cosa consiste l’Intelligenza Emotiva. Di conseguenza, riproduco qui un articolo che tratta l’argomento in modo approfondito.
    Un caro saluto,
    Emilio

    L’articolo della dott.ssa Laura Caminiti dl titolo: “L’intelligenza emotiva secondo Daniel Goleman: una chiave per il successo!”si può consultare a questo link:
    https://www.psicologiaok.it/60/intelligenza-emotiva-la-chiave-per-il-successo/

    Nell’articolo di base la copertina del libro di riferimento, di Daniel Coleman. “Intelligenza emotiva” (Rizzoli; 1999)

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