di Dante Taddia
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Ho letto quanto scritto da Sandro, mio fratello di polpo (il perché di questa fratellanza lo spiegherò un’altra volta) e sono bastate tre parole: tenda + Zodiac + Sopwith Camel – leggi qui – per fare scaturire il mio amarcord.
Ovviamente non poteva essere da meno dato che riguarda il mare.
Nella parola amarcord per me c’è sempre stato non il significato felliniano riminese splendidamente proposto nell’omonimo film ma quello di a mare ricordo che per successiva crasi diventa amarcord!
Sempre nella mia accezione esiste anche la versione romanesca a more’ ricordo; quella romantica classicheggiante di amore ricordo e infine quella pessimistica, che preferisco tenere lontana da me, di amaro ricordo.
Comunque sia, il denominatore comune è il ricordo, e per questi ricordi vorrei partire proprio dal Sopwith Camel che ho avuto il piacere di conoscere inizialmente in fotografia nel 1969 quando Franco (Zecca), il proprietario di questa “imbarcazione lignea” ci ha reso partecipi (“ci” si riferisce a me e a mia moglie Luisa Guarino) del suo acquisto, spedendoci una foto del suddetto policromo natante.
Il ci, Luisa e io, stavamo a Tripoli, in Libia, dove avevo iniziato a lavorare come geologo presso il Ministero dei Lavori Pubblici trasferito da quello di Roma.
Legato al suo Sopwith Camel c’era anche il cane Dario sicuramente meno policromo ma ugualmente accattivante e ci siamo ripromessi una volta rientrati in Italia di conoscere entrambi.
Ed ora lo Zodiac Astral 3,60.
Era il 1972 e per quella meravigliosa smania che ci univa durante l’estate di fare tutto e di più e che coinvolgeva tutti noi, una volta sbarcati nella nostra isoletta ecco che tra un bagno ’arèt’ ’ a Caletta, un tuffo dalla sell’ i ciuccio di Chiaia di Luna e una pescata a sorci, si concretizza l’impresa di una “passeggiata a Palmarola” dove lo Zodiac l’avrebbe fatta da padrone, anzi da unico mezzo di transizione da isola a isola, recandovi un quartetto di maschietti così articolato: Sandro, (proprietario, comandante e nocchiero dello Zodiac), il fratello Renzo, Silverio (Guarino), Dante e l’allora ragazza di Sandro, Tina.
’N ce jamm a fa ’ nu bagn’ a Palmarola si trasforma in poche parole in andiamo a passare ’ nu pare ’ i iourne a Palmarola in tenda!
Ed ecco che appare la terza parola, la tenda, e la preparazione minuziosa di cosa portare per quest’impresa: la tenda ovviamente, e poi generi di conforto alimentare e non, plaid, pullover, pinne, maschera, fucile sub, carburante per il fuoribordo, torcia, fiammiferi ecc.
L’eccitazione per quell’avventura, vorrei infatti sottolineare come in quegli anni Palmarola era veramente la Bora Bora o una delle sperdute isole della Micronesia dove solo la natura selvaggia e poco o per nulla contaminata dal consumismo vacanziero era la caratteristica peculiare, per cui personalmente ero più che mai coinvolto dato il mio animo di esploratore di voler sapere sempre cosa ci fosse dietro l’angolo.
La preparazione frenetica del bagaglio ci prende l’intera giornata fino quasi al tramonto del giorno deciso per l’inizio della missione e per motivi logistici si decide ovviamente di salpare da Chiaia di Luna.
Sottolineo come in quegli anni questa spiaggia fosse totalmente fruibile per bagni di mare e di sole sotto la sua splendida falesia e nessun pensiero funereo di crolli o divieti turbava quello stupendo spettacolo unico e irripetibile.
La spedizione di Cook sembrava una bazzecola in confronto a quanto avevamo preparato, e considerando il natante a disposizione, il peso delle derrate alimentari e non, più quello degli occupanti portava al risultato di un’equazione matematica di soluzione impossibile. Ma noi rotti a tutte le avventure per mare, non vi davamo peso.
Un mare di lacca leggermente pettinato favoriva la navigazione verso Palmarola ma in considerazione di quanto sopra sarebbe stato im-pos-sibile planare, per cui ci dobbiamo accontentare di dislocare con il glorioso Zodiac.
Le derrate alimentari consistevano in: ’na cascettella ’i fichitine; due bustoni ’i freselle; acqua e Coca cola; sei palatelle ’i pane; imbottitura varia per il pane in assortimento di prosciutto, salame, provolone piccante; e poi olio, aceto, riso e pasta; ’na pignata caudarella per la cottura e frutta varia di stagione.
Per ridurre/eliminare i pesi morti tutti gli occupanti hanno espletato le loro funzioni fisiologiche prima di salpare!
Tralascio i commenti dei benpensanti venuti a bella posta ad assistere alla partenza che ovviamente erano tutti in sintonia con espressioni di commento ironico e allusivo per uno smacco sicuro e d’insuccesso.
Ma noi, forti del poeta – non ti curar di loro ma guarda e passa – salpiamo per la nostra aventura.
La linea di galleggiamento, troppo pericolosamente al limite del bordo dello Zodiac e ci costringe a stare appollaiati quasi immobili sui bordi dei due galleggianti sincronizzando i respiri in modo da assecondare il moto ondoso per evitare l’entrata di capricciose onde generate dal procedere.
Approdiamo a Palmarola ormai alle ultime luci di un tramonto di fuoco e ci apprestiamo a scaricare il tutto e sistemare la famosa tenda che ci avrebbe ospitato per la notte.
I commenti sulla traversata hanno accompagnato il primo pasto abbastanza frugale della sera, ma ipercondito dalla solida amicizia e dalla gioia di stare assieme.
Le prime luci dell’alba ci trovano chi più chi meno intorpiditi dalla scomoda posizione del riposo notturno e dopo che Madrenatura ha favorito il rispetto della scuola salernitana adattata ad hoc da ricordi classici di ognuno di noi che recita – defecatio et minzio mattutina est tamquam bona medicina – facciamo una buona colazione e stendiamo il programma delle attività da portare a termine: bagno-pesca-pranzo-riposo pomeridiano-aribagno-aripesca-cena.
Io parto in esplorazione sul lato più esposto ai marosi ricoperto di sassi arrotondati dal moto ondoso in cerca di… qualunque cosa attirasse la mia attenzione di geologo-esploratore-utilizzatore delle risorse portate dal mare.
Il bottino è gratificante: una massa ingarbugliatissima di fili di nylon con attaccati ami di varie dimensioni; tavoletta di legno appartenuta come copri-gavone a qualche barca; un materassino gonfiabile abbastanza decente e in condizioni ancora di essere gonfiato e utilizzato in acqua e a terra; vari contenitori di plastica; tre sandali infradito spaiati; svariati pezzi di legno e rami d’albero, un telo di plastica, un residuo di gloriosa vela in tela e minuteria varia cui dare nuova destinazione-uso-vita.
Con pazienza certosina sbroglio la grande matassa di nylon e relativi ami e organizziamo con rufoli e patelle una linea di ami bene innescati che stendiamo fra i due Scutilli, gli scoglietti piatti di Palmarola, ancorandoli al fondo cu’ ’na preta e a terra con un pezzo di legno e plastica frutto della mia collezione locale.
Patelle rufoli, pintirré, perchie ’i funnale, un polpo infilzato da Silverio, un sarago suicida preso da Sandro sono gli elementi di base per cucinare il più buono e gustoso riso alla pescatora che si potesse immaginare. A tanto buon mangiare non sono mancati complimenti e col favore della Coca-cola, abbiamo sottolineato col sonoro il nostro apprezzamento. Vi lascio solo immaginare come ci siamo espressi professionalmente ma posso assicurare di essere stati noi tutti dei grandissimi campioni con emissioni-rutti modulati e non.
Tra facezie, battute spiritose, sfottimenti reciproci sulle capacità piscatorie di ognuno e soprattutto dettagliatissimno programma per il giorno seguente abbiamo ceduto al sonno ristoratore sotto un cielo stellatissimo e senza luna.
In quella specie di atarassia che precede il sonno quando tutti i centri inibitori cercano anche loro di andare a riposarsi e non si rimane più compos sui (i freschi ricordi liceali erano sempre presenti in ognuno di noi) si sente una voce come fosse uscita dal nulla esclamare: “Ma quante cazz’ i stelle putimme vede’! Bbonanotte!”
Forse per uno spirto cavalleresco di lasciare un po’ di privacy ai due piccioncini (Sandro e ragazza) o forse complice la stupenda serata o forse per confermare di essere dei duri per dormire aux etoiles come dicono i francesi, fatto sta che noi tre maschietti ci siamo svegliati fuori dalla tenda e arroccati alla meno peggio sul nudo suolo con buona pace delle articolazioni anchilosate dalle posizioni assunte durante il sonno. Io ho utilizzato quanto trovato (materassino e tela da vela, vari contenitori di plastica bottiglie ecc. per crearmi un più comodo letto su cui riposare le membra con chiara invidia degli altri, ma non sono stato egoista e raccogliendo poi il pomeriggio le foglie secche di Posidonia ho creato un più comodo giaciglio anche per gli altri compagni).
L’esito della pescata fra gli Scutilli non poteva essere peggiore: manc’ nu pintirré! Fortunatamente Sandro e Silverio provvedono con perizia a polpi e perchie e il pranzo è salvo con spaghetti allo scoglio in cui il rapporto era di uno a dieci dove uno stava per lo spaghetto e dieci era il condimento di rufoli, patelle, sconcilli che supportavano egregiamente pesce e polpi.
Come tutte le cose belle anche quell’impresa ha avuto fine il giorno successivo per me e Silverio, che con un passaggio gentilmente offertoci da uno dei tanti amici pescatori siamo rientrati a Ponza, mentre Sandro, Renzo e Tina sono rimasti ancora qualche giorno a Palmarola: hanno terminato tutto quanto avevamo portato di alimentare e così, senza pesi morti di passeggeri e merci e finalmente planando con lo Zodiac, sono rientrati anche loro.
Resta comunque emblematico il commento di Renzo alla nostra impresa che si esprimeva con parole lusinghiere nei miei confronti più o meno così:
“Nel caso dovessi naufragare in un’isola deserta pregherei solo che ci fosse Dante: sicuramente saprebbe come sopravvivere e rientrare sani e salvi”.
Per i più curiosi vorrei informare che in quel quartetto io ero il più vecchio della cricca (sposato e con un figlio piccolissimo) ma quei due giorni e due notti sono rimasti talmente scolpiti nei miei a mare ricordi per quel gusto di totale abbandono, dovrei dire una vera ebbrezza che ha sempre caratterizzato il mio mettere piede a Ponza fin dalla primissima volta, ma per Palmarola lo è stato doppiamente.