Racconti

L’angolo di Lianella/40. Non fare ad altri…

di Amelia Ciarnella

In qualsiasi religione c’è e ci sarà sempre una regola sana e onesta che recita: “Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Ma sono veramente in pochi quelli che se ne ricordano e la rispettano. Se ne potrebbero fare infiniti esempi, ma ne riporterò uno soltanto abbastanza chiaro e significativo che può anche risvegliare un po’ di coscienza a chi non ce l’ha.

In un paese di allora, c’era un parroco rimasto famoso perché sul pulpito predicava e raccomandava il suddetto “comandamento” e appena usciva di chiesa, dimenticava tutto e la sua forte avidità, che mai era riuscito a dominare e controllare, lo portava inevitabilmente a imbrogliare e truffava il suo prossimo senza farsi scoprire. Peggio di un delinquente qualunque. Si chiamava don Santo.

Don Santo, come già detto, era un prete, ma non il solito prete che ognuno si immagina, pio e santo, come tutti i preti dovrebbero essere. Era diverso da ogni altro. E sebbene a quei tempi le vocazioni vere e sincere pare fossero anche molto diffuse, don Santo non l’aveva affatto. Forse era diventato prete soltanto per non andare in guerra, chissà! O, come succedeva nel mio paese, che alcune donne diventavano suore, perché non amavano andare in campagna a “sgobbare” sui campi dalla mattina alla sera! Cosa però questa che poteva essere giustificata.
Ma don Santo no, perché aveva soltanto l’aspirazione fornitagli dalla sua anormale avidità e avarizia che lo portava ad ammucchiare sostanze di ogni genere: in natura, in liquidi, in immobili, purché servissero ad aumentare i suoi beni. La sua era una vera fissazione tanto che quando aveva messo gli occhi su qualcosa che gli piaceva, ricorreva a qualsiasi espediente pur di averla e non si dava pace finché non l’avesse ottenuta. Perciò era soltanto un avido affarista, imbroglione e truffatore senza scrupoli, interessato unicamente e soprattutto alle cose materiali della terra, più che a quelle spirituali del cielo, che sarebbero state soltanto quelle, più consone all’abito che portava.

Avvenne poi, che nel luogo dove costui svolgeva così indegnamente la sua missione di parroco, fosse una delle massime autorità del paese, insieme al sindaco e al maresciallo, come era in uso a quei tempi. E la povera gente di allora, tutta analfabeta e ignorante al massimo grado, anche se si accorgeva che molte cose non andavano bene, non avevano il coraggio di parlare, poiché erano in uno stato di grande e assoluta soggezione. Quindi don Santo faceva il buono e il cattivo tempo a suo piacere.

Vicino la canonica vi era un piccolo appezzamento di terreno che don Santo, come sua abitudine, aveva adocchiato già da un pezzo, ma ancora non gli si era presentata l’occasione giusta per poterci mettere le grinfie sopra. Il proprietario di quel terreno era un povero diavolo, solo al mondo e povero in canna. Il suo unico reddito era quel pezzetto di terra vicino alla canonica che coltivava personalmente, piantando ortaggi che zappava, innaffiava e vendeva al mercato e che costituivano l’unico sostentamento di cui disponeva, senza il quale sarebbe morto letteralmente di fame. Pertanto il mondo di quel poveretto era tutto in quel misero campo. E dall’alba al tramonto era sempre a pulire, curare e riordinare le sue piantine per timore che qualcuno, o qualche animale, entrasse e guastasse tutto il suo operato. Un giorno si era assentato per aiutare un suo amico a tagliare l’uva e finita la vendemmia, era passato a controllare il suo orto per vedere se tutto era in ordine come lo aveva lasciato. Ma arrivato sul campo aveva avuto la sgradita sorpresa di trovare tutti gli ortaggi divelti, con le radici all’aria, e tutto il terreno scavato arruffato e disordinato al massimo, tanto da non poter recuperare nemmeno una piantina. Aveva poi saputo da un vicino che a causare quel disastro era stato un gruppo di cani randagi piombati sul campo, azzuffandosi ferocemente per un osso trovato per terra, mettendo a soqquadro tutto ciò che vi era piantato.

Al poveraccio, vedendo annullato tutto il suo lavoro, era caduto il mondo addosso e, disperato, aveva cominciato ad inveire contro la sua sfortuna e contro quei cani che gli avevano distrutto ogni cosa. E fra le tante parole che gli erano sfuggite di bocca in quel momento di rabbia, il prete dalla sua canonica, aveva captato anche qualche bestemmia. Per cui presa la palla al balzo lo aveva fatto arrestare, senza però fargli sapere chi lo aveva denunciato. Un vero e proprio sopruso!

Così quel poveretto finì in galera, dove rimase a meditare per un paio di settimane a pane e acqua. Dopo di che ricevette la vista di quel prete falso e senza cuore che, con parole melliflue e facendo finta di essere molto meravigliato e dispiaciuto per quanto gli era successo, gli chiese di raccontargli l’accaduto che, il povero ingenuo, ben lontano dall’immaginare che era stato proprio lui a farlo arrestare, gli raccontò, chiedendogli perfino se poteva fare qualcosa per farlo uscire da lì.

All’abile prete non sembrò vero che gli chiedesse proprio ciò che lui sperava. E dopo averlo alquanto falsamente confortato, cominciò col dirgli che ci volevano comunque molti soldi per pagare gli avvocati e lui non ne aveva. Però non si doveva scoraggiare poiché lo avrebbe aiutato lui, se solo gli avesse ceduto quel pezzetto di terra vicino alla canonica che certamente non sarebbe bastato a farlo uscire di prigione, ma lui che gli voleva bene perché era un suo parrocchiano, avrebbe messo il resto e tutto si sarebbe risolto.

Così dicendo, lo scaltro prete, gli mise davanti un foglio che aveva preparato in precedenza, sul quale il poveretto mise una piccola crocetta, essendo analfabeta, e con quella crocetta segnata su quel foglio, si ritrovò automaticamente barbone, per le vie del paese, a vivere della carità e della pietà della gente.

Questo era don Santo, che di “santo” non aveva proprio niente! E quel famoso comandamento: “Non fare ad altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”, nemmeno gli aveva sfiorato il cervello, quando finalmente era riuscito a togliere a quel poveraccio il suo piccolo orto. E ora si sentiva pienamente soddisfatto.

Mi piacerebbe sapere poi dove è finito questo individuo dopo morto. Perché se esiste veramente l’inferno, lui soltanto là dovrebbe stare.
Però penso anche che questa gente così scaltra, furba e imbrogliona, senza un briciolo di cuore e di coscienza, ci sa fare talmente bene, che a volte, forse, riuscirebbe a farsi perdonare anche dallo stesso Padreterno!
Chissà!

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