Zoologia

Gatti. Solo per amatori

Segnalato da Sandro Russo

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È da un po’ che seguiamo tutto quel che scrive Serenella Iovino che ci ha folgorato con il video sull’ecopoesia o poesia ambientale pubblicato qualche mese fa  (leggi e ascolta qui).
Su la Repubblica, nella
serie – Anime/Animali – sui nostri vicini non umani. Serenella Iovino racconta i legami tra animali e letteratura. Sul sito abbiamo pubblicato: Il canto del dodo e degli estinti.
Stavolta scrive di gatti e la leggiamo miaolto volentieri.

Sua maestà il nostro caro amico gatto
di Serenella Iovino – Da la Repubblica del 6 ottobre 2022

Si sono addomesticati da soli diecimila anni fa, nella Mezzaluna fertile. Per gli Egizi erano divinità, hanno ispirato la letteratura e poi i musical. Ecco tutti i segreti dei felini di cui non possiamo fare a meno

Povero gatto di Schrödinger. Chiuso in una scatola in cui c’è o non c’è un pericoloso veleno, può essere insieme vivo e morto, dipende da come lo guardiamo. Niente panico: è solo un esperimento mentale di meccanica quantistica. Sì, ma perché non un topo, un coniglio o un canguro? Non lo sapremo mai. Resta il fatto che, mentre ragionava sul principio d’incertezza, al grande fisico austriaco sia venuto in mente proprio un gatto.
D’altronde, pensiamoci: non è incerta la natura stessa di questo animale, sfuggente a carezze e a definizioni, insieme familiare e misterioso, effabile e ineffabile?
Perché nei gatti, nel loro comportamento, nei loro affetti e movimenti, non c’è davvero alcunché di certo o prevedibile: i gatti capitano. Così dice un filosofo, Timothy Morton, che li chiama addirittura alieni: alieni intraterrestri. E non intende gatti letterari, come Behemoth de Il maestro e Margherita di Bulgakov, che parla, cammina su due zampe, mangia con le posate e paga pure il biglietto del tram. Gli alieni qui sono i gatti veri, che anche quando li crediamo domestici (ossia, il contrario di alieni) sono sempre pronti a sdomesticarsi. Lo conferma la biologia: tra Felis silvestris Felis catus il confine è sottilissimo e non è chiaro nemmeno se siano due specie diverse. Però si incrociano, e la loro prole è fertile a sua volta. Insomma: nell’incertezza, si lasciano aperte tutte le porte.

Perché effettivamente decidono loro, ed è anzi opinione diffusa presso gli archeozoologi che i gatti si siano addomesticati da soli. Accadde circa diecimila anni fa, nella Mezzaluna fertile, quella parte di Levante tra Egitto, Turchia e Iran, dove sorse prima che altrove l’agricoltura. Intorno ai granai c’era cibo, e soprattutto c’erano topi. Fu così che piccoli felini appartenenti alla specie Felis lybica lybica invasero letteralmente le città e i villaggi neolitici. Topi a parte, fu un bene per tutti: gli abitanti umani si accorsero presto che avere gatti in case e granai era un vantaggio, e i gatti capirono subito che un po’ di compagnia umana (con annessi benefit in termini di cibo e riparo) in fondo non guastava. Iniziò così la storia del commensalismo tra umani e gatti, e forse anche la storia dell’economia mercantile, perché senza gatti intorno ai siti di stoccaggio o sulle navi sarebbe stato impossibile tenere a bada i roditori. Insomma, tra i nomi del gatto dovrebbe esserci anche questo: Felis catus oeconomicus.

Non una cosa banale, il nome del gatto. Una ricerca svolta da etologi giapponesi nel 2019, per esempio, sostiene che i gatti capiscano quando li chiamiamo, ma solo se ci conoscono. Molto spesso, tuttavia, semplicemente decidono di ignorarci.
Forse quel che gli etologi giapponesi non sanno è che i gatti hanno più di un nome, ma per questo ci vogliono i poeti, che in fatto di gatti sono molto scientifici. Secondo T. S. Eliot, che nel 1939 scrive un turbinoso poema felino, The Old Possum’s Book of Practical Cats (Il libro dei gatti tuttofare), ogni gatto ha tre nomi. Il primo è il nome d’uso familiare: Pietro, Augusto, Alonzo. Poi c’è il nome “particolare e peculiare”, quello che gli conferisce dignità propria, come farebbe un soprannome o un nome di battaglia. Infine ce n’è un altro: il nome segreto, il suo “profondo inscrutabile e unico NOME”. E quello, dice Eliot, quello lo conosce solo il gatto.

Old Deuteronomy e Grizabella in Cats (*)

Con la levità di una danza e l’allegria di un rap (in inglese il ritmo dei versi è travolgente – e non è un caso che dall’Old Possum’s Book sia tratto Cats, uno dei musical più longevi di Broadway), Eliot ci sta spingendo a fare un salto ulteriore. Il nome arcano dei gatti ne sancisce infatti la dimensione teologica, da sempre presente nella figura felina. Naturalmente, il pensiero va ai gatti egizi, animali sacri a Iside e divinità essi stessi, come la dea-gatta Bastet, che vegliava sulla casa, sulle donne e sulla fertilità. Ma non è solo questo. La vera dimensione teologica cui allude Eliot è piuttosto quella di una teologia negativa: un discorso sul divino che, come i gatti, rifiuta gli attributi con cui noi umani delimitiamo ciò che non tollera limiti.

E qui facciamo ancora un altro salto, stavolta verso i grandi felini: quelli che non hanno nomi per noi ma solo nomi per sé, inaccessibili a chi li guarda attraverso uno specchio e per enigmi. A guidarci è Jorge Luis Borges, enigmatico poeta di specchi e padrone di gatti (il suo, “bianco e celibe”, si chiamava Beppo).

L’immaginazione di Borges è popolata da giaguari, puma, leoni, ma soprattutto da tigri: azzurre, d’oro, magiche, infinite. Da bambino, ne vede una camminare avanti e indietro nella gabbia dello zoo, e da allora gli ritorna in visioni notturne, e in poesie e racconti che sembrano sogni a loro volta. La sua tigre è una fiera e un archetipo, insieme oggetto metafisico e carnalissimo soggetto di muscoli e luce, di artigli e di pelo. In un racconto famoso, La scrittura del dio, la figura della tigre si confonde con quella del giaguaro (in guaranì, lingua indigena sudamericana da cui viene “giaguaro”, jaguarete indica entrambi gli animali). Prigioniero per anni in una cella da cui vede il felino, un sacerdote indio comprende che le macchie sulla sua pelle sono l’alfabeto con cui comunica il dio: “dire la tigre è dire le tigri che la generarono, i cervi e le testuggini che divorò, il pascolo di cui si alimentarono i cervi, la terra che fu madre del pascolo, il cielo che dette luce alla terra”. La tigre è il materializzarsi di un logos pardo e indio, che vive e parla e pensa nella carne della sua creazione.

Ma il linguaggio dei grandi felini, specie a queste latitudini, non è necessariamente divino. Può anche essere un universo ibrido di segni umano-animali. Questo porta a ulteriori ibridazioni, per esempio nella figura del runa puma, un uomo che ha guardato negli occhi il predatore ed è riconosciuto come puma a sua volta, non solo dall’animale ma anche dalla sua comunità, ai cui membri spesso appare in sogno. Ne parla l’antropologo Eduardo Kohn, studioso di culture amazzoniche, in un libro straordinario, Come pensano le foreste.

How Forests Think: Towards an Anthropology Beyond the Human, University of California Press (2013). La copertina dell’edizione italiana del libro

Ma è il momento di fare l’ultimo salto: dai felini venerati e sognati a quelli che vivono e soffrono. Vale la pena ricordare, infatti, che non solo molti dei grandi felini sono a rischio estinzione (“La lunga tigre lucente, il leopardo fiorito… tuttora ci minacciano | ma della loro scomparsa”, scrisse la poetessa milanese Daria Menicanti), ma anche i gatti non se la passano tanto bene: solo negli Usa viene soppresso il 70% dei randagi catturati. In Italia però dal 1991 esiste una legge che protegge le colonie feline e che vieta a chiunque di “maltrattare i gatti che vivono in libertà”. Quanto possa non si sa, ma è importante che ci sia.
Anarchici, vittime, cavie, alleati, commensali, opportunisti, santi, poeti e navigatori. Quante cose sono i felini, grandi e piccoli. Pensiamoci, quando sentiamo il micio che ronfa placido sul sofà. Perché, chissà? Forse non sta ronfando, ma meditando: il suo “ineffabile effabile / effineffabile / profondo inscrutabile e unico NOME”.


Note

Sul sito i gatti sono presenti in molti articoli. Digitare – Gatti – nel riquadro ‘Cerca nel sito’, in Frontespizio (colonna di sinistra).

Gattone ponzese (foto di Marianna Licari da: https://viaparata.blogspot.com/)

Tra i tanti articoli del sito dedicati ai gatti, vorrei segnalarne uno in particolare:
Una canzone per la domenica (170). La tristezza si addice ai gatti?

Di una tigre (tra i personaggi centrali del libro) abbiamo scritto sul sito presentando un romanzo di Pirandello: Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1916): leggi qui

Dipinto ispirato a Ligabue: “La tigre nella giungla” (della serie “falsi d’autore)

(*) Cats è un musical in due atti del 1981 composto da Andrew Lloyd Webber su testi di Thomas Stearns Eliot (con aggiunte di Trevor Nunn e Richard Stilgoe). È uno dei più famosi musical nel mondo ed uno tra i più grandi successi di tutti i tempi per longevità, spettatori e incassi totali (fonte Wikipedia).

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Integrazione del 9 ottobre 2022 (riferimento commento di Cristina Vanarelli)

  “Sempre Badedda” di  Margherita Vanarelli  1972 – matita su carta
Il 09/10/2022 19:41

 

2 Comments

2 Comments

  1. Luisa Guarino

    8 Ottobre 2022 at 17:49

    Dato il titolo, certamente questo scritto è per me: chi mi conosce lo sa. Amo tutti gli animali, anche i topi e le mantidi religiose, che prima mi facevano paura perché si giravano a guardarmi dritto negli occhi, con quella faccia a punta. Ma per i gatti ho un’adorazione infinita, da sempre e per sempre. Ne ho avuti tanti in casa nel corso della mia vita, in Italia e all’estero, e ne ho anche scritto sul sito. Oggi voglio soffermarmi su uno di essi, ponzese trapiantato a Latina, che mi ha dato un caro amico redattore del sito, chissà se si ricorda! Gli avevo chiesto un gattino: lui mi ha mollato tre fratellini, che però avevano ancora bisogno della mamma. Nonostante tutte le mie premure e cure, due non ce l’hanno fatta: è rimasto il più bruttino, e mi è sembrato il più bello del mondo! All’epoca non c’erano trasportini: ho trovato in un negozio una borsa a mo’ di nassa che andava di moda, e l’ho portato sulla nave, con un gomitolo di lana a fargli compagnia. L’abbiamo chiamato Musu, diminutivo di Musumeci Greco, il cognome di in noto maestro d’armi che all’epoca lavorava per addestrare gli attori in tv. All’epoca ero al liceo: e una volta in gita a Firenze gli ho anche spedito una cartolina. Le Poste funzionavano e gli è arrivata. Ricordo che mia nonna gliel’ha messa sul tappetino, tra la ciotola del cibo e quella dell’acqua.

  2. Cristina Vanarelli

    9 Ottobre 2022 at 20:37

    Quanto ci sarebbe da scrivere, raccontare e leggere sui gatti! Quante storie, aneddoti, racconti di scrittori di tutti i tempi. Maometto si fece tagliare il mantello per non disturbare il suo gatto che ci dormiva sopra! E quanto intenso è il sentimento che noi proviamo per loro! Una mia zia, amava i gatti e in particolare una gattina a cui aveva dato nome Badedda che in siciliano significa Bella, bellissima. Disegnava spesso i suoi gatti e a un disegno che allego [nell’articolo di base, a cura della redazione] diede il titolo Sempre Badedda. Quel Sempre, com’è significativo di un sentimento forte e indissolubile!
    Se posso vorrei segnalare un libro di Donald Engels, “Storia del gatto. L’affascinante storia del più prezioso alleato dell’uomo”… documentata epopea di un animale seducente che ha determinato lo sviluppo della nostra civiltà (dalla quarta di copertina). Piemme editore 1999.

    Un caro saluto.
    Cristina Vanarelli

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