Pesca

Cala Fonte – Sardegna e ritorno (2)

di Francesco De Luca

 

per la prima parte (leggi qui)

Un anno (anni ‘50) Cummarella decise di provare a pescare in Sicilia. In passato c’erano state puntate sulle secche siciliane ma… i luoghi non erano conosciuti.
“E nonostante questa ignoranza… “
“E nonostante questo si decise di provare in Sicilia. Io avevo lasciato la barca di papà…”
“E perché?”  chiedo.
“Perché da adolescente c’è un’opposizione naturale verso il padre. Volevo fare esperienze lontane dai familiari”.

Prima tappa Capri: poca pesca. Seconda tappa Palinuro: soddisfacente. Terza tappa golfo di Sant’Eufemia: pesca abbondante. Si fermarono alcuni giorni. Pochi, perché nella pescheria dove vendevano il pescato una donna li redarguì: “vi volete prendere tutti i pesci della Calabria?”
Una semplice frase, ma non benevola e, soprattutto condivisa da chi era presente. Un pescatore calabrese con cui avevano fatto amicizia li consigliò di lasciare quelle coste.

Arrivarono a Milazzo. Anche qui la pesca non andava male ma le occhiatacce d’intorno erano chiare e consigliavano di non dare fastidio ai pescatori locali. Che controllavano il territorio e non lo volevano dividere con nessuno. Furono infatti avvicinati da un peschereccio e fu intimato loro di non pescare in quel tratto perché rischiavano di veder tagliata la rete dalle pale del peschereccio.
Cummarella rientrò in porto e riferì l’accaduto ad un brigadiere di finanza. Il quale, quella notte stessa, uscì e sorvegliò il posto e, alla venuta del peschereccio, ordinò al capitano di rispettare i segnali delle reti già poste in mare.
“Era di Salerno… quel brigadiere di Finanza… un brav’uomo… ma ormai i rapporti coi locali erano deteriorati”.
Ritornarono a Ponza.

“Ma… Salvatò – chiedo – come facevate per i bisogni naturali… sulla barca non c’era il bagno”.
“Ci si sporgeva dalla barca. O ci si avvicinava alla riva… dietro ad uno scoglio… con l’acqua a disposizione… per pulirsi…”

Il ritorno a Ponza: un anno, a fine settembre avevano ansia di tornare a casa. Va bene il lavoro, il guadagno, l’entusiasmo per la novità, ma la famiglia, Ponza, la cadenza soporosa della vita isolana, avevano nostalgia di questo. Avrebbero fatto meglio ad attendere ancora un giorno. Invece si misero in viaggio. Col maestrale che già all’ Asinara stava increspando. Rotta per le Bocche di Bonifacio. Il mare si ingrossò. Punta su Montecristo.
Nel mezzo del canale si ruppe l’asse del motore e nella rottura provocò una falla. Vento forte, mare grosso e acqua a bordo. Si tamponò alla meglio la falla con delle cime e con grande tormento si raggiunse Montecristo.
“Qui… metteste a posto l’asse…”
“Macché… da lì continuammo in quelle condizioni fino a Ponza”.

Perché c’è l’ingegno, e meno male che viene aguzzato dalla necessità. Quella che preme perché si passi l’oggi e che sollecita a guardare al domani. Con tutto ciò che vi è connesso: famiglia, figli, rispetto sociale, dignità.

Dopo il militare Salvatore decise di lasciare la pesca e di imbarcarsi sugli yacht. Sono le barche vacanziere degli industriali. Hanno bisogno di chi sappia andare per mare perché ne ha conosciuto i dolori e gli amori.

Oggi ha una barchetta a Cala Fonte. Per sfiziarsi a catturare perchie (sciarrano) in estate e in inverno a sentire il calamaro che si avvinghia alla finta alice. E’ a spogna (ami tenuti assieme), ed è la sua morte.
La moglie è indaffarata al negozio ma ci tiene d’occhio. In realtà guarda Salvatore. La sua tenacia, il suo coraggio hanno avuto il lei il fulcro per esprimersi.

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