Ambiente e Natura

Quando gli uomini pensavano in grande: l’infinito, le stelle

segnalato da Sandro Russo

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Ci piacciono questi racconti, tra storia, scienza e poesia, per come sono narrati. Personalmente, in un campo quello delle esplorazioni spaziali, di cui poco o niente so, mi è piaciuta l’idea del disco d’oro, per spiegare ad eventuali alieni dotati di intelligenza, l’essenza dell’umanità.


Quella lettera al futuro delle sonde gemelle in volo verso l’infinito da quarantacinque anni
di Gabriele Romagnoli (1)Da la Repubblica di ieri 20 agosto 2022 (anche in formato .pdf a fondo pagina)

Il lancio il 20 agosto 1977. Da allora un susseguirsi di scoperte.
Nel disco d’oro destinato a orecchie aliene la parola pace e il rumore del mare

È il nostro sesto senso. Ci ha fatto vedere cose che noi umani non avevamo neanche potuto immaginare e, 45 anni dopo, continua. Era un sabato anche il 20 agosto del 1977. Il cielo sopra la Florida era terso. Il presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter. Fu sua la voce designata a rappresentare il Paese nel disco dorato che raccoglieva “I suoni della Terra” inserito nella sonda. La canzone più ascoltata dell’estate era Best of my love degli Emotions, ma le vennero preferite la registrazione di due pietre battenti l’una contro l’altra e quella di un cuore pulsante.

Nella storia, i numeri uno perdono in fretta la precedenza. Infatti partì prima (quindici giorni prima) Voyager 2. La voce pastosa che sempre accompagnava l’attesa, del dramma o del trionfo, scandì: «Tre, due, uno: accensione! Decollo!». Aggiunse, con giustificata enfasi, che il raggio della conoscenza umana sarebbe stato esteso oltre limiti ignoti. Avrebbe anche potuto aggiungere: imprevedibili.

Mentre compilavano la tabella di marcia, agli scienziati della Nasa deve essere sembrato di sparare nel buio del futuro, giocando a colpire bersagli invisibili. Invece Voyager 2 e 1 hanno proceduto con l’affidabilità di un treno che arriva alle stazioni sul percorso in orario quasi perfetto: Giove nel 1979, Saturno nel 1980, Urano nel 1986, Nettuno nel 1989. Soltanto: Interstellar, invece di Intercity. In questi 45 anni ci siamo abituati alla sua lontana presenza, come a quella di un parente che si è trasferito e manda cartoline, attenendosi alla bassa intensità della comunicazione al momento della partenza. Fuori dal cerchio ristretto di chi lo segue ci si stupisce ogni volta del fatto che sia ancora vivo, quasi più che delle immagini spedite. Nel frattempo abbiamo visto troppi film e videogiochi. Ogni volta che accendiamo uno dei nostri piccoli o grandi schermi portatili ci appare una porzione d’infinito e passiamo subito a qualcosa di contenibile. Erano e restano inconcepibili le dieci nuove lune di Urano. Non ci acquieta la chiusura degli archi di Nettuno, definitivamente catalogabili come anelli. La Grande Macchia Scura, il vento solare fermato dal gas ai confini dell’eliopausa si confondono con i bastioni di Orione e i raggi B alle porte di Tannhäuser evocati da un replicante che, come Voyager, rifiuta ogni scadenza assegnata.

Ora gli scienziati sono costretti ad ammettere: «Non sappiamo per quanto ancora funzionerà», ma il sottotesto è: «Non abbiamo idea di che cosa lo tenga in vita». Nel 2019 è stato “spento il riscaldamento” che doveva consentire il funzionamento di alcune apparecchiature di bordo nel gelo spaziale. Ancora funzionano. Si sono susseguiti annunci drammatici: «Abbiamo perso ogni contatto con Voyager», «Voyager ha lasciato il sistema solare », come Elvis aveva lasciato il palazzo, ma solo per riaffacciare altrove la sua leggenda, fin oltre il limite della sua stessa fine.

C’è in questa missione qualcosa che sospinge la scienza al suo estremo e le fa sognare un possibile “altro”, prima di scrollarsi e dirsi che no, sono solo calcoli esatti e coincidenze. Sarà perché è cominciata con un allineamento di pianeti che si verifica ogni 176 anni. Per questo si decise di tentare quel che fu battezzato un Grand Tour.
Voyager è un giovane talentuoso in cerca di meraviglie: Mozart tra le stelle, a suo agio di fronte a ogni grandezza.
In questi 45 anni, la tecnologia spaziale ha rallentato a favore di quella terrestre: internet, inter nos. Chi aveva immaginato stazioni lunari permanenti e crociere oltre l’orbita terrestre ha ripiegato su obiettivi più vicini e redditizi. Il nostro dito di Michelangelo proteso a sfiorare quello della divinità o di un’altra creatura resta questa sonda.
Porta con sé il retaggio di una specie: saluti in 55 lingue (alcune delle quali morte), la parola “pace” più ricorrente e tradita d’ogni altra, la risacca del mare che abbiamo inquinato, il canto delle balene in estinzione, 115 immagini tra cui quella di cellule che si riproducono per raccontare che, nonostante tutto, la vita è continuata. E continuerà.

Anche quando Voyager spegnerà i motori e si affiderà all’onda che l’ha sostenuto fin qui: quella del tempo, perché è anche lì che viaggia. Dovrebbero proiettare ogni sera quel che trasmette in tutte le televisioni della Terra, per ricordarci quanto siamo minuscoli, noi e le nostre contese. E perché, come disse Ann Druyan, moglie del capo progetto, prima di andarsene nel ’96: «Guardarlo ti toglie la paura della morte».

 

(1) – Gabriele Romagnoli (Bologna, 1960) è un giornalista, scrittore e sceneggiatore italiano. Dal 15 aprile 2019 tiene sul sito del quotidiano la Repubblica una rubrica chiamata “La prima cosa bella”. Per gli scritti di Gabriele Romagnoli pubblicati sul sito digitare il nome nella rubrica “Cerca nel sito”, nella colonna di sin., in Frontespizio.

(2) – Roy: I’ve seen things you people wouldn’t believe. Per saperne di più: leggi qui e segui il video qui sotto:

 

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La Repubblica del 20 agosto 2022. G. Romagnoli. Voyager.2 pag. 21.pdf

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