Scrittori

Ulisse aggiornato. Una lettura pubblica di Arturo Perez Reverte

segnalato da Pino Moroni

Il racconto (inedito, letto dall’Autore per l’occasione del Festival di Roma o e pubblicato su la Repubblica . Me l’ha ricordato Pino Moroni, che ha pure provato ad intervistarlo, ma con scarso successo. L’impressione che ne ha ricavato è che malgrado la poesia e la nostalgia dei ricordi, Perez Reverte sia in fondo molto incazzato con il presente.
S. Russo

Il racconto. L’autunno di Ulisse a ritmo di jazz
di Arturo Pérez-Revert  –  da la Repubblica del 16 luglio 2022

Lo scrittore bestseller spagnolo rilegge a modo suo il mito dell’eroe omerico. Che qui, più che mai, non vuole tornare a casa. E che dialoga a distanza con noi, suoi figli d’elezione

 Rivolse la schiena al porto e camminò allontanandosi dal mare, senza guardarsi indietro, consapevole che non sarebbe mai più tornato sulla riva. Lasciandosi alle spalle le gru, i capannoni e le grandi navi ormeggiate ai moli, lo sorprese non provare malinconia, né nostalgia. Fischiettava un’aria di jazz improvvisata, al ritmo dei suoi passi sulla ghiaia. Il sentiero gli sembrò insolitamente scosceso e saldo, abituato com’era alla superficie liscia, oscillante, della coperta di una nave nel mare agitato dagli dèi. Metteva un piede davanti all’altro, sospettoso, con la cautela di chi ritiene ingannevole l’immobilità della terraferma. Era alla ricerca dell’uomo che custodiva i porci, e il pensiero lo fece sorridere tra sé in modo contorto e amaro. Lui, aveva detto Atena, possiede le chiavi del tuo destino. La chiave del tuo ritorno a casa.

“E perché devo tornare?” aveva domandato lui, vestendosi accanto a una finestra da cui vedeva il porto, la nave ormeggiata e un faro in lontananza.
“Non lo so” aveva risposto la donna dagli occhi verdi mentre si copriva il petto nudo con un lenzuolo. “Quello che importa è che, prima o poi, tutti lo fanno”.
Ricordò mentre camminava aspirando l’aroma dei pini che facevano ombra sul pendio. Tanti anni passati. Quello stesso sentiero in direzione opposta, verso il mare. Uomini giovani dal sonno inquieto, con gocce di pioggia nel cuore e l’avventura negli occhi, che percorrevano la discesa insieme a lui, provocatori e chiassosi in gruppo come ragazzi che dissimulino la loro incertezza, ciascuno a caccia della sua personale balena bianca. Donne immobili in cima all’ultima collina, che li guardavano allontanarsi in silenzio, condannate da allora in avanti alla lunga solitudine, al tessere e disfare allevando figli che un giorno avrebbero seguito anch’essi il medesimo cammino di coloro che se n’erano andati. Condannate a sfiorire accanto al fuoco del camino ruminando cupi pensieri mentre loro, gli uomini, avrebbero intessuto, tra vino e canzoni, destini epici cantati da poeti, romanzieri e registi cinematografici nella parte visibile e duratura, nel lato luminoso della trama.

Perse il filo della musica jazz improvvisata e lo recuperò grazie al ritmo dei passi sul terreno. Si guardò le mani. Rugose e piene di segni, con le prime macchie della vecchiaia che si insinuavano sul dorso. Macchie, rughe e cicatrici simili a quelle che, lo sapeva, mostrava il suo volto tra i capelli grigi e la barba imbiancata. Altri non erano riusciti a invecchiare come lui, ricordò. Avevano terminato il loro cammino prima del tempo delle domande con risposta, quando tutto era ancora vergine, semplice e facile. Navigare, sopravvivere, uccidere e morire. Lui faceva adesso in solitaria quel cammino di ritorno perché glielo aveva detto la donna dagli occhi verdi e perché gli altri erano via via scomparsi uno dopo l’altro, molti nel vigore della giovinezza, eroi dal cuore ambizioso e puro allo stesso tempo, coscienti che li inghiottiva la gloria, l’avventura, la propria fama. Che sarebbero stati celebrati in un modo o nell’altro dagli dèi, dai poeti e dagli uomini. Vendicati dai loro amici. Era facile, così, perire nella tempesta o in battaglia, spegnerti tra il sangue versato dei nemici. Semplice e diretto, senza esitazioni né scorciatoie. Addio per sempre. Marmi, foto, posteri. Qualunque imbecille poteva ancora aspirare a quello, in quei tempi lontani. Pianti dai compagni e dalle donne. Da centinaia di generazioni ancora da venire.

Si sfregò le dita sulle gambe dei pantaloni. E che succede quando uno non muore, si interrogò all’improvviso. Quando resta vivo, e cammina lontano, e ricorda. E incanutisce mentre ricorda gli anni lontani, il tempo perduto. Che succede quando Patroclo o Ettore sopravvivono e finiscono per chiamarsi Ulisse, e arrivano in mari e terre governati da doganieri, funzionari, poliziotti e cittadini esemplari. Da ciclopi ragionevoli. Caverne in cui, per sopravvivere, è necessario, ora sul serio, chiamarsi Nessuno.
Il mondo si divide, pensò malinconico, tra gli uomini che hanno sangue sotto le unghie e quelli che non ce l’hanno. O non lo vedono. Sangue di altri o proprio. Sangue di ciò che siamo stati. Di ciò che siamo.
Continuava a camminare, assorto. Non fischiettava più nessuna musica. Il sentiero adesso si faceva più ripido e faticoso. Si fermò a mezza costa, stanco, senza cedere alla tentazione di guardarsi indietro, verso la lamina brillante del mare che sapeva dietro di sé, visibile tra le cime degli alberi. Rimase così per un po’, immobile, guardando il sentiero che serpeggiava davanti a lui, in preda a un’immensa riluttanza a proseguire. Non era allontanarsi dal porto a provocargli quella scomoda sensazione, un misto di pigrizia e incertezza, ma il fatto di addentrarsi sempre di più in una terra che, tanti anni dopo, gli risultava del tutto indifferente.

Il nostos degli eroi, si disse sarcastico. Il ritorno. Di colpo gli diventava insopportabile l’idea di camminare verso una casa il cui calore aveva dimenticato, di toccare la pelle invecchiata di una donna ormai estranea, di sentire i passi di un figlio che non aveva visto crescere. Di un arco che forse nemmeno lui stesso sarebbe stato capace di tendere di nuovo.

Nessuno dei fantasmi che si trascinava dietro, concluse, aveva più nulla a che fare con quello.
All’improvviso gli si parò di fronte il futuro. Giorni di pioggia interminabile accanto al fuoco del camino e a una donna dai seni sfioriti, ora sconosciuta, che tesseva silenziosa mentre lui, appoggiato alla finestra, avrebbe guardato il paesaggio grigio ricordando altri luoghi, mari azzurri, cieli luminosi, odore del vento di resina e miele, giovani donzelle stupite dal suo corpo nudo su una spiaggia, tra i resti dell’ultimo naufragio. Fuoco fatto con legno di deriva accanto alle navi arenate nella sabbia, volti rossastri alla luce delle fiamme, ricordi di compagni vivi e morti, racconti di imprese, di battaglie, di pericoli, di belle dèe che baciavano sulla fronte coloro che dovevano morire, di dèi giovani che si frapponevano tra le frecce per proteggere i loro eletti. L’irresponsabilità del guerriero e del marinaio che si lasciano tutto alle spalle, attraversando una dopo l’altra le successive linee d’ombra. Le navi e gli uomini, gli aveva detto una volta un vecchio capitano, si perdono soprattutto a terra. Vanno in pezzi contro gli scogli, o marciscono.

Guardò per qualche altro istante il sentiero e, alla fine, sorrise.
Rimase tutto il pomeriggio al porto, e tornò alla nave a mezzanotte passata. Aveva il passo insicuro, puzzava di vino e canticchiava a mezza voce una vecchia canzone d’amore, di mare e di guerra che gli avevano insegnato uomini morti vent’anni prima, sotto le mura di Troia.
“Sei sceso a terra, finalmente?” gli chiese un compagno.
“Sono sceso a terra” rispose, stringendosi nelle spalle. “Ma sono arrivato soltanto fino al primo bar”.

Traduzione di Bruno Arpaia

Il libro
Arturo Pérez-Reverte, L’italiano (Rizzoli, trad. Bruno Arpaia, pagg. 416, euro 20)

La serata a “Letterature”, il festival a Roma
Questo che abbiamo pubblichiamo è un estratto dal testo che Arturo Pérez-Reverte ha letto a Roma nell’ambito del festival “Letterature”, il 19 luglio alle 21 allo stadio Palatino. Protagonisti della serata anche Valeria Parrella, Guadalupe Nettel, Nicolas Dauplé, il performer Alessandro Sciarroni

Sul sito
Arturo Pérez-Reverte è un Autore che seguiamo molto. Altri suoi pezzi sul sito:
Le barche si perdono a terra, di Arturo Pérez-Reverte
– Il secchiello di plastica rossa, di Arturo Pérez-Reverte
Il ragazzo con il guadino, di Arturo Pérez-Reverte
Mediterraneo, di Arturo Pérez-Reverte
La pescivendola della boquerìa, di Arturo Pérez-Reverte

Clicca per commentare

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top