Libri

Il sorriso dell’ignoto marinaio e la malacologia

di Sandro Russo

 

Ho ricevuto da Italo Nofroni, il nostro ‘malacologo’ di riferimento, il compito di leggere – a dirla tutta, anche su mia provocazione – “un libro che parlava di conchiglie” che lui, benché eclettico nel campo della malacologia, non aveva mai avuto l’opportunità di sfogliare.

Il libro – di Vincenzo Consolo del 1976, Il sorriso dell’ignoto marinaio –, è stato invero difficile da reperire. C’è riuscito Tano Pirrone (grazie!) presso le Biblioteche di Roma e me lo ha debitamente passato.
Sono quindi qui a riferirne dopo aver adempiuto alla lettura, seguendo tre filoni:

  • Il libro di Vincenzo Consolo (storia di fantasia su un personaggio realmente esistito)
  • Il personaggio principale del libro, il barone Enrico Pirajno di Mandralisca (1809-1864), che raccolse, nella sua pur breve vita, numerosi oggetti d’arte mettendoli nella sua abitazione, dove tuttora si trovano: il Museo Mandralisca di Cefalù (che sia Tano Pirrone che Italo Nofroni hanno visitato);
  • Cosa c’entrano le conchiglie in tutto questo.

Il libro di Consolo preso in Biblioteca

La quarta di copertina con le indicazioni di base (cliccare per ingrandire)

Il barone di Mandralisca fu un personaggio eccezionale, per i tempi e in assoluto. Discendente di una famiglia di nobili, non dissipatori ma attenti amministratori dei propri beni, fu mecenate molto attivo nella promozione di varie attività nella sua città, Cefalù (Pa).
Ricoprì diverse cariche politiche fino ad essere eletto Deputato del primo parlamento nazionale. In ambito locale portò avanti diverse battaglie per la ristrutturazione dell’ospedale, la progettazione di un porto e una linea ferroviaria. Finanziò opere come l’osservatorio meteorologico dei Padri Cappuccini a Lipari, il restauro dei mosaici del Duomo di Cefalù e l’ampliamento dell’orto botanico di Palermo; fece istituire due scuole di lavori anatomici e di anatomia chirurgica presso l’Università degli Studi.
Dedicò la sua vita agli studi scientifici e archeologici, non trascurando però la cura dell’imponente patrimonio familiare (fonte Wikipedia).


Fervente sostenitore degli ideali risorgimentali, ebbe l’idea di destinare la raccolta (opere d’arte, libri, monete, reperti archeologici, strumenti scientifici, raccolte malacologiche ed archivi) ai concittadini, allo scopo di favorire la costituzione di una classe popolare cittadina evoluta, responsabile ed al passo con i tempi. In tal modo si distaccava dalla tradizione fortemente connotata in senso aristocratico degli eruditi siciliani del secolo precedente.
Senza eredi diretti, nel suo testamento redatto nel 1853, il barone diede disposizioni per la creazione di un Liceo (da mantenersi con la rendita dei propri beni), con l’intento di diffondere gli ideali di libertà e cultura tra le classi sociali più umili.
A lui è intitolata la via Mandralisca a Cefalù in cui sorgeva la sua casa, oggi sede del Museo Mandralisca – nel quale era entrata la sua collezione di opere d’arte, libri, monete e reperti archeologici – e la via Enrico Piraino a Palermo, il cui pezzo più famoso è appunto il ritratto di Antonello da Messina.

Il ritratto

Antonello da Messina (1425-30-1479). Ritratto di uomo (1465-’70); olio su tela (31 x 24.5 cm) –
Museo della Fondazione Culturale Mandralisca, Cefalù (Palermo)

Scrive Consolo: “Tutta l’espressione di quel volto era fissata, per sempre, nell’increspatura sottile, mobile, fuggevole dell’ironia, velo sublime d’aspro pudore con cui gli esseri intelligenti coprono la pietà” (…).
“Il Mandralisca si trovò di fronte un uomo con uno strano sorriso sulle labbra. Un sorriso ironico, pungente e nello stesso tempo amaro, di uno che molto sa e molto ha visto, sa del presente e intuisce del futuro; di uno che si difende dal dolore della conoscenza e da un moto continuo di pietà. E gli occhi aveva piccoli e puntuti, sotto l’arco nero delle sopracciglia. Due pieghe gli solcavano il viso duro, agli angoli della bocca, come a chiudere e ancora accentuare quel sorriso.

Da quel poco che avevo letto qua e là e dalle confuse indicazioni ricevute sul libro – credevo fosse un racconto di cospirazioni in cui  i membri si incontravano fingendo di scambiarsi informazioni sulle conchiglie (sic!). Mi sono trovato sotto gli occhi tutta un altra storia, una vaga (e singolare) epopea rinascimentale, quasi libro sapienziale, a tratti onirico, truculento, perfino gotico nelle descrizioni degli eccidi.

Il libro è percorso da alcune immagini-chiave: il Ritratto di ignoto marinaio di Antonello da Messina prende vita nel personaggio dell’avvocato Giovanni Interdonato che rientra in Sicilia per organizzare l’opposizione ai Borbone (siamo nell’epoca dei moti risorgimentali e della spedizione di Garibaldi).
Il sorriso intelligente, ironico e ambiguo del ritratto di Antonello da Messina tradisce lo sguardo che lo stesso scrittore ha del mondo.
L’immagine spirale della chiocciola come viene descritta anche nella architettura del pozzo della prigione, ricorre nelle pagine del libro e ne rappresenta quasi la struttura portante; così come la richiama “la storia che vorticando dal profondo viene”. Nel romanzo sono presenti una tensione verso un futuro migliore e una speranza di giustizia che non trova albergo nel presente: un mondo descritto senza indulgenza o infingimenti come dominato dall’inganno, dall’oppressione e dalla violenza.

L’immagine della struttura spirale della chiocciola ha molto a che fare con il senso della vita, come rappresentato da altri scrittori…
A Karen Blixen – la scrittrice danese de ‘La mia Africa’ – da bambina raccontavano questa storia, che lei così rielabora nei suoi anni successivi: “Un uomo, che viveva presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e si diresse verso lo stagno ma, nell’oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finché trovò una falla sull’argine da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e, solo quando ebbe finito, se ne tornò a letto. La mattina dopo, affacciandosi alla finestra, vide con sorpresa che le orme dei suoi passi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna…
(…) Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò, o altri vedranno una cicogna?”.
Questa sensazione – di aver vissuto e agito quasi alla cieca –  comincia a delinearsi ad una certa età della vita; quando si tentano dei bilanci, o una sintesi.
Anche Antonio Tabucchi ne ha parlato in una intervista dei suoi ultimi anni. In questi termini: “…E’ come uscire a fare una passeggiata nella neve… tornare in casa e vedere nelle orme, dalla finestra, il senso che ha avuto il camminare”.

Per Vincenzo Consolo la struttura della chiocciola esprime compiutamente questa metafora salvo poi abiurarla, quando l’ordine che esprime entra in conflitto con i tempi spietati e gli avversi eventi.

Così a pag. 114-15 del libro:

– Che vale allora, amico, lo scrivere e il parlare?
La cosa più sensata che noi si possa fare è quella di gettar via le chine, i calamari, le penne d’oca, sotterrarle, smettere le chiacchiere, finirla d’ingannarci e d’annegare con le scorze e le bave di chiocciole e lumache, limacce, babbaluci, fango che si maschera d’argento, bianca luce, esseri attorcigliati, spiraliformi, viti senza fine, nuvole coriacee, riccioli barocchi, viscidumi e sputi, strie untuose…
Vidi una volta una lumaca fare strisciando il suo cammino in forma di spirale, dall’esterno al punto terminale senza uscita, come a ripeter sul terreno, più ingrandita, la traccia segnata sopra la sua corazza, il cunicolo curvo della sua conchiglia. E sedendo e mirando mi sovvenni allor con raccapriccio di tutti i punti morti, i vizi, l’ossessioni, le manie, le coartazioni, i destini, le putrefazioni, le tombe, le prigioni… Delle negazioni insomma d’ogni vita, fuga, libertà e fantasia, d’ogni creazion perenne, senza fine…
E son peggiori de’ corvi e de’ sciacalli, le lumache, le creature belle, ermafrodite: temono il sole, distruggono i vivai e le colture, si nutron financo di liquami, decomposizioni, umori cadaverici, s’insinuano in carcasse, ne spolpano le ossa, ricercano ne’ teschi le cervella, il bulbo acquoso nell’orbita dell’occhio… e non per caso i Romani le mangiavan ne’ pasti funerari…
Confesso: dopo i fatti d’Alcàra (1) ho detto addio alla mia pazza idea dello studio sopra la generale malacologia terrestre e fluviatile di Sicilia: ho dato fuoco a carte, a preziosi libri e rari, fatto saltare dal terrazzo il microscopio, schiacciato gli esemplari d’ogni famiglia e genere: ancylus vitrina helix pupa clausilia bulinus auricula… Al diavolo, al diavolo! (La gioia e il piacere nel sentire quel rumore di scorze sotto le suole!)
Che più, che fare, amico Interdonato? (…)

Non sembra amarle, Consolo, le chiocchiole, ma forse appassionavano Enrico Pirajno di Mandralisca.
In realtà la raccolta malacologica e quella zoologica del Museo Mandralisca sono frutto degli studi naturalistici del barone, che aveva pubblicato in età giovanile alcuni lavori di malacologia e formò quindi un’imponente raccolta di conchiglie marine, terrestri e di acqua dolce. La maggior parte della collezione concerne i polmonati, le chiocciole o conchiglie terrestri, provenienti dalla fauna siciliana, e in particolare da quella delle Madonìe. Ricca è la parte riguardante le chiocciole terrestri europee ed esotiche; quelle lacustri e fluviali siciliane, europee, del sud-ovest degli Stati Uniti ed asiatiche, testimoni degli scambi che il barone ebbe con i ricercatori del tempo di tutto il mondo (fonte Wikipedia).

In conclusione, una lettura proficua, un romanzo importante dalla struttura complessa e originale che Leonardo Sciascia – strenuo sostenitore di Consolo -, si è sentito di difendere dall’accusa di essere un romanzo “costruito”:
Scrive Sciascia in Cruciverba (Torino, Einaudi, 1983), racconta di brevi saggi.
[…] Anni dunque passati non invano, ma intensamente e fervidamente: pensare questo libro, a scriverlo, a costruirlo […]. A costruire questo libro, si è detto. E lo ribadisco polemicamente, per aver sentito qualcuno dire, negativamente, che è un libro costruito. Certo che lo è: ed è impensabile i buoni libri non lo siano (senza dire dei grandi), come è impensabile non lo sia una casa. L’abitabilità di un libro dipende da questo semplice e indispensabile fatto: che sia costruito e – appunto – a regola di abitabilità. I libri inabitabili, cioè i libri senza lettori, sono quelli non costruiti; e oggi sono proprio tanti.
Un libro ben costruito, dunque, questo di Consolo: con dei fatti dentro che sono per il protagonista «cose viste» e «cose viste» che quasi naturalmente assumono qualità taglio e luce di pittura ma che non si fermano lì, alla pittura: provocano un sommovimento, in colui che vede, una inquietudine, un travaglio; sicché alfine Enrico Pirajno, barone di Mandralisca, descrittore e classificatore di molluschi terrestri e fluviali, si ritrova dalla parte dei contadini che hanno massacrato i baroni come lui.

E più avanti, sempre Sciascia:
Ma la ragione e il senso del racconto non stanno nella felice fantasia filologica e fisionomica da cui prende avvio e che come una frase musicale, più o meno in sottofondo, ritorna e svaria. La vera ragione, il senso profondo del racconto, direi che stanno — a volerli approssimativamente chiudere in una formula — nella ricerca di un riscatto a una cultura, quale quella siciliana, splendidamente isolata nelle sovrastrutture, nei vertici: così come quelle cime di montagne, nitide nell’azzurro, splendide di sole, che dominano paesaggi di nebbia.

 

Nota
(1) –
“I fatti d’Alcara”: sommossa contadina che si scatenò in un piccolo paese dei Nebrodi (Alcara li Fusi – ME) all’arrivo delle truppe di Garibaldi in Sicilia. Il 17 maggio 1860, ad Alcara scoppiò una rivolta contadina che ne anticipò altre localizzate principalmente sui Nebrodi oltre che a Bronte. I contadini assaltarono il “casino dei nobili” trucidando con falci e coltelli numerose persone tra cui un ragazzo. I garibaldini della colonna Medici comandati dal colonnello Giovanni Interdonato (sic! nel dettaglio storico), sopraggiunti dopo alcune settimane di anarchia, imprigionarono alcuni dei rivoltosi che, dopo un rapido processo, furono giustiziati.
Nel libro di Vincenzo Consolo questa sommossa è l’occasione per una presa di coscienza del protagonista, il barone filantropo Enrico Pirajno di Mandralisca.
L’episodio si presta ad approfondire la questione del carattere più o meno popolare del Risorgimento e sui rapporti tra gli avvenimenti storici e la realtà degli strati più bassi della popolazione meridionale (tema dibattuto anche a proposito della spedizione e della figura di Carlo Pisacane).

Il Museo Mandralisca a Cefalù (esterno) e (sotto) una sala

1 Comment

1 Comment

  1. Italo Nofroni

    16 Agosto 2022 at 15:16

    Complimenti Sandro,
    hai redatto una recensione di un tale spessore e complessità, da stimolare chiunque a voler leggere il libro. Libro “difficile” a quel che ho capito, ma proprio per questo, stimolante e misterioso.
    Ma sto facendo la recensione alla recensione. Posso solo aggiungere che su un punto non posso condividere l’idea dell’Autore.
    Anche se i nostri cospiratori studiavano, un po’ per amore e un po’ per finta, solo molluschi terrestri e dolci-acquicoli, su cui io non ho mai rivolto uno sguardo, avendo una netta predilezione per quelli marini, non accetterò mai, neanche lontanamente, l’idea di distruggere microscopio (con quel che costa!), bruciare libri (per me sacri) ma, soprattutto, gettare e schiacciare conchiglie.
    Basti pensare che al solo sentire il “crach” di una conchiglia schiacciata da un bambino che gioca a palla sulla battigia, vengo colto da un brivido e da un irrisolvibile dubbio: che specie sarà stata?
    Un abbraccio,
    Italo

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