Racconti

Forse non è tempo, forse…

di Francesco De Luca

Stamane ho fatto colazione in maniera non comune. Pizza rossa, quella bbona, e un sorso di rosé. Di prima mattina… il vino! Sì, uno sgarro alle convenzioni. 11 agosto, tempo di ferie. Va beh… da pensionato si può dire che stia in continuo periodo di ferie, però c’è sempre da cogliere un motivo per fare uno sgarro alle abitudini.

Ore 8,30, il Porto si prepara con entusiasmo e fatica ad organizzare la giornata. Un amico mi si siede accanto. Anche lui in pensione, professionista apprezzato, vedovo, in estate a Ponza e per il resto dell’anno in continente.
In questi casi il dialogo scorre fra questioni ovvie, formali, e invece…”Fra’- mi dice – se domani dovessi non svegliarmi sarei contento”.
Mi faccio serio e ribatto: “Ma che dici? Stai dicendo delle enormità!”
L’amico è intorno ai 75 anni, gode di apparente buona salute, è padre, è nonno…
“Non ho più ragioni per vivere…- mi dice. Non sento la gioia di vivere le giornate… una dopo l’altra”.
E’ di carattere gioviale (così lo ricordo), gli piace (piaceva) cantare e suonare la chitarra, in gruppo era un compagnone, disturbatore per scelta, ha sempre preferito la politica di sinistra e non ha mai fatto concessioni all’anima mercantile della destra.

Cerco, come vedete, di deviare il discorso su strade collaterali ma in verità le sue parole mi hanno scosso.
Ho accennato a qualche domanda seria ma il fondo della sua tristezza mi ha disorientato.
Non ho menzionato nessuna ancora di fede perché è lontana dalle mie scelte… e anche dalle sue. Non ci sono Dei salvifici… c’è soltanto la nostra umanità, quella di cui siamo fatti, quella che ci sorregge e ci fa sperare.
Certo, avrei potuto evidenziare il fatto che ha due figli, che ha nipoti e che insomma la sua esperienza umana e quella professionale potrebbero suggerirgli impegni umani, sociali, in cui vedere proficua la sua azione. Ma mi sono trattenuto perché questi argomenti toccano le relazioni familiari, quelle private, quelle intime.
Siamo stati in silenzio.
Certo non è da escludere che stia vivendo un periodo di solitudine interiore, così come non è da escludere che si stia vestendo di questi abiti monacali per un gusto perverso, forse anche favorito dall’età, in questo periodo di ferragosto incombente, col retaggio di ricordi di altre estati e altre compagnie…
La complessità… eccola qui la complessità della situazione. Fluttuante fra il soggettivo e l’oggettivo, fra il percepito e l’immaginato, fra il reale e il sognato.
Complesso è mettersi in sintonia con situazioni simili perché è complessa la situazione in sé.

Che cosa è mancata alla nostra formazione, che si è volutamente sottratta all’affabulazione religiosa, ritenuta opportunistica e dunque falsa, ipocrita perché ossequiosa a due morali: una di facciata e una di sostanza?
Forse abbiamo peccato di individualismo: gonfi di autonomia ma distanti dagli altri, fieri del rigore razionale ma con difetto di empatia.
Rassereno tutti: l’amico non è vicino a nessun atto estremo, no. Non è in pericolo la sua vita ma la sua sanità mentale sì.
Questo articolo, lo confesso, ha la sua ragione nell’esternare quel che non gli ho detto. Siamo stati in silenzio per lo più. Io, smarrito, e lui, avvilito.

Con l’estate che va avanti comunque: i ragazzi a preparare le barche per il giro turistico, i taxi pronti alle chiamate, i furgoni delle panetterie a consegnare brioche, cornetti e pizze.
Ah… quella pizza… e quel rosé!
Forse non è tempo per riflessioni del genere!

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