Racconti

Cara Ponzaracconta ti scrivo… (2). Del rumore o del silenzio

di Pasquale Scarpati

 

Ne L’isola del silenzio – così s’intitolava un documentario negli anni ’50 – si udivano rumori che oggi non solo non possono essere ascoltati ma proprio non esistono più.
Se, complice il silenzio, il rombo bum, bum, bum del motore scoperto del piroscafo Ponza che nel periodo estivo giungeva verso le 11 del mattino da Anzio, lo potevo ascoltare dal balcone di casa mia fin da quando la nave era fuori dal porto (all’altezza circa di Frontone); se lo sbuffo bianco, laterale,  della piccola, vecchia nave cisterna, vestita di nero, che si posizionava quasi davanti la spiaggia di Sant’Antonio, si udiva dappertutto; se, in seguito, si riusciva ad avvertire in tutta la Baia il ronzio di un qualche fuoribordo da “due cavalli e mezzo”, messo in moto duramente (e con quanta fatica!) a colpi di corda, il quale, dopo un po’, spariva ’arèt’ ’u casecavall’ o ’arèt’ ’a scugliera d’u Lanternino; se, di contro, come ho tante volte ricordato, la sonnolenta Baia era “frastornata” dal rombo cupo d’u vuzz’ ’i Giggino che sparava “cannonate” e fumo nero dal tubo di scappamento posto su un lato del natante; se, dopo il suono festoso della sirena della nave che annunciava il suo arrivo nel porto, era possibile udire, il tonfo sordo dell’ancora seguito, ma dopo un po’ di tempo (perché la nave girava su se stessa molto lentamente facendo “perno” sull’ancora,)  dallo srotolamento della catena fino all’ultimo anello con il “tocco finale” (oggi, invece, quando la nave suona, sembra nervosa perché qualche natante le impedisce di attraccare o di uscire, rassomigliando al suono adirato del clacson allorché qualcuno non riparte immediatamente allo scattare del verde del semaforo); se un altro rombo proveniente tra lo Schiavone e punta Incenso annunciava l’arrivo di un idrovolante che,  come anatra, si poggiava e scivolava sull’ acqua limpida e calma della Baia fino a “ troneggiare “ al centro di essa in attesa di ripartire (ma erano sempre e comunque motori)… ciò che oggi non può più esistere (sia perché di fatto non esiste più sia perché sarebbe oltremodo difficile da sentire) è il suono ritmato dell’argano del “papà Vincenzino”  o di qualche altro “ bastimento” mentre tirava la monumentale ancora (mi sembrava più grande di quella del Ponza, se non altro più “alta”). Era un argano a mano composto da una lunga leva su cui alternativamente facevano forza due marinai.
Tic, tac, tic, tac, tic, tac… lo scorrere lento ma inesorabile del tempo. Sì, perché il tempo, i tempi erano lenti, sempre uguali. Fatta eccezione di qualche evento estemporaneo.


Ricordo tra l’altro il suono lento e grave che si spandeva lungo Corso Carlo Pisacane della banda musicale che accompagnava qualche funerale “importante” (ricordo: si suonava, tra l’altro, il preludio della Traviata o altri brani dalle note lunghe e tristi) ma anche lo splash di qualche allegra zummezzata dalla Banchina nuova, più stretta di quella attuale.
Ricordo che quando si girò una scena del film “La battaglia di Maratona” là presso dove ora attraccano la navi, il regista la fece ripetere ben sette volte perché la giravolta ed il tuffo dell’attore o della comparsa (non so) dalla finta paratia della nave non fu di suo gradimento. Tutto, però, dovette essere rimandato nei giorni seguenti perché non vi erano più costumi disponibili. Allora ebbi la percezione dei “trucchi” cinematografici.
Oggi nulla di tutto ciò è più visibile, udibile e forse godibile.
L’inquinamento acustico fa parte della nostra vita e non ce ne accorgiamo se non quando è in eccesso rispetto a tutti i rumori che ci circondano. I nostri sensi si abituano all’ambiente: dell’udito già ho parlato, la vista si abitua a ciò che ci circonda e solo la vista della memoria “vede” il passato e cerca di trasmetterlo attraverso lo scritto e l’immagine (ma deve essere ben osservato); l’olfatto si abitua all’ambiente inodore o ai “profumi” del tempo, cosicché ciò che prima era normale oggi sarebbe “puzza”; il gusto si abitua a ciò che ci viene dato e potrebbe rigettare i veri sapori di una volta (che oggi per una serie di motivi, a mio avviso, non possono più esistere) ed infine anche il tatto è cambiato; mi viene da pensare (sorridendo) tra l’altro, ad esempio, a come ci si toccava una volta tra la stragrande maggioranza delle persone: mani callose e ruvide (sia di uomini che di donne abituati fin da piccoli ai lavori duri e pesanti); pelle, penso, piuttosto dura (retina o carta vetro!).

In questo periodo nell’Isola il rumore eccessivo fa parte di una situazione contingente  ma non si può “portare la croce e servire il demonio”) per cui auspichiamo, finita la stagione balneare, l’apertura di un’ampia e approfondita discussione in merito.  Ma chi volesse ascoltare qualcosa di “piccolo” (anche nei mutati tempi) dovrebbe calpestare l’Isola, in lungo ed in largo; quando ritorna ad essere “ sonnolenta”.
Ma ne è data facoltà?
Buona preparazione al Ferragosto -… certo non è Natale! -… in compagnia di Pasquale.

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