Racconti

I rumori dell’estate

di Rosanna Conte

Con un filo di nostalgia, quanto basta a mostrare un certo distacco dall’oggi, mi va di ricordare i rumori propri dell’estate di molti anni fa a Ponza.

Al mattino il canto delle cicale riempiva Sant’Antonio, coperto solo in parte dai gridi dei bambini che facevano il bagno ‘ncopp ‘u ssummariell. Qualche barca a remi che si dirigeva verso le grotte Azzurre o alla Marinella dei Morti o alla Ravia era guardata con desiderio da chi restava sulla spiaggia. Ogni tanto qualche rumore di motore irrompeva nel vociare che l’estate spargeva intorno.

Poteva venire dal mare, ma anche da terra: c’erano le corriere di Benedetto Fricano che andavano alle Forna. Un viaggio!

A parte il frinire delle cicale e qualche voce di passante, in casa si riusciva a sentire il plop plop sommesso che proveniva dalla cucina dove la pentola bolliva sul fuoco. A metà mattinata arrivava il fischio della nave che arrivava da Anzio, e il clangore della catena dell’ancora  che veniva calata in porto sovrastava tutto.

Dopo un poco si sentiva il brusio dei turisti. Chi si dirigeva alla spiaggia più vicina o chiedeva da che parte andare per Chiaia di Luna, e chi si recava in albergo.

Ma si sentivano anche i gridi di incitazione dei ragazzini che avevano raggiunto a nuoto il molo e dalla prua della nave facevano i tuffi.
Splash! Splash!
Non si sarebbero mai fermati! Poi arrivava la voce delle mamme che chiamavano i figli al pranzo.

Il pomeriggio, dedicato al riposo forzato a causa della controra, era scandito dal rumori degli zoccoli, indubbiamente di giovani, che con il solleone si consentivano comunque di essere liberi in strada a camminare. In casa si parlava a bassa voce: il silenzio esterno era tale che si poteva sentire tutto quanto veniva detto a voce normale nelle case, vista anche la necessità di avere balconi e finestre aperte.

Quel rumore di zoccoli, per chi, abbandonata da poco l’infanzia, stava entrando nell’adolescenza, era segnale di vita e simbolo di libertà: chi aveva gli zoccoli poteva uscire a proprio piacimento.
Al termine della controra, si poteva uscire e potevi giocare alla campana, a salta cantone e, da più grande, si giocava in cerchio a pegni con la bottiglia o la ciabatta di turno.

A Sant’Antonio, tutto il marciapiede era pieno di gente: i bambini giocavano, gli adulti seduti sul lungo muretto e sulle panchine parlavano, i ragazzini più grandi si avvicinavano ai  juke boxe scegliendo le canzoni del momento. Ce n’erano diversi: dal Suricillo (il chioschetto sul marciapiede, allora unico ingombro), da Giulio il gelataio (bar Panoramica), da Veruccio ‘u Chiattone (dove attualmente c’è Sapere & Saponi)

Quando era l’ora del tramonto si andava su Chiaia di Luna e, seduti sul muretto con i piedi che penzolavano  all’esterno, si taceva, aspettando rispettosamente che il sole compisse la sua parabola in mare. Si sentiva il fruscio della leggera risacca sulla battigia.
Dopo un poco iniziavano i grilli a cantare.

Oggi questi rumori semplici, segnali di una vita comunitaria incastonata nel contesto ambientale, non si sentono più.

Certo la nostra società aborre il silenzio. Le nuove tecnologie hanno abituato intere generazioni ad avere rumori nell’orecchio in continuazione e il contesto ambientale-oltre a essere rovinato dagli altri tipi di inquinamento,  viene artefatto da interventi umani di dubbio gusto come rumori che spesso aspirano a farsi chiamare musica.

Oggi è diffusissima  l’idea che non si vive se non c’è continua allegria, sottolineata il più possibile da ritmi sonori accompagnati dalle reiterate movenze del corpo, sempre le stesse. La sonorità e la “coreutica” di massa imperversano ormai dappertutto invadendo gli spazi privati degli altri e negando il diritto a godersi un tramonto in silenzio o a fare un bagno senza quelle molestie rumorose che danno fastidio perfino ai pesci.

Vorrei capire: questa violenza gratuita che proviene molto spesso da grandi barche stracolme di ragazzini intenti a fare selfie mentre si agitano con movimenti sempre uguali e privi di fantasia e grazia, non può essere arginata?

Pare che non sia più permesso godersi il mare  e il paesaggio senza avere nelle orecchie il rimbombo ritmato della disco music.

Ho assistito, la settimana scorsa, a una scena tremenda a Palmarola su cui sarebbe necessario riflettere.

De giovanissimi che danzavano e facevano selfie dalla barca con musica  a tutto volume, sono stati messi a tacere dall’intervento di un’altra barca che aveva fatto partire sempre la solita musica da discoteca a volume ancora più alto. Questa volta non c’erano giovani a bordo, ma ultra-quarantenni i quali non solo hanno imperversato per altra mezzora, ma hanno risposto in maniera indegna a una ragazzina che era andata a chiedere di abbassare un po’ il volume.

Quando hanno smesso, i ragazzini hanno ripreso a volume più basso e con minore verve.
Avranno capito che il più forte riesce sempre ad imporsi e che bisogna cedere i passo o che forse sarebbe il caso di rispettare gli altri?

Non so se lo sapremo mai. Oggi i rumori coprono anche i pensieri.

2 Comments

2 Comments

  1. Biagio Vitiello

    27 Luglio 2022 at 16:26

    Salve,
    riguardo all’articolo di Rosanna sui rumori – quelli grati di un tempo e quelli fastidiosi di oggi -, ha dimenticato quelli assordanti e continui (come in questo preciso momento), di elicotteri militari che passano assordanti, quotidianamente e a bassissima quota, sull’abitato di Ponza. Spesso in barba alle comuni leggi sul volo (altezza minima 300 m).
    Che cosa si può fare?

  2. silverio lamonica1

    27 Luglio 2022 at 22:39

    Concordo pienamente con Rosanna: Specie negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, ascoltavamo solo le “voci della natura”. Non esistevano i rumori molesti di oggi. Solo Gennarino, detto Cialì, interrompeva quell’incanto – a chi per avventura si imbatteva in lui – con la sua persistente, sonora flatulenza. E dopo il “botto” spesso esclamava: ” ‘A faccia d’u Municipio!” Esprimeva così il suo malumore nei confronti dell’E.C.A., l’allora Ente Comunale di Assistenza, i cui responsabili tardavano o addirittura omettevano a dargli il piccolo sussidio mensile, previsto per i meno abbienti.

    Su tale argomento, l’amico Franco de Luca, anni fa, compose una gustosissima ode in vernacolo ponzese.

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