Storia

Il pesce e la pesca al tempo dei romani

inviato in redazione da Fabio Lambertucci a corollario di una sua nota per Focus Storia, condivisa con Ponzaracconta

 

Nota storica sull’allevamento dei pesci, di Danila Comastri Montanari.
Nota allegata al romanzo storico Cave canem Un’indagine del senatore Publio Aurelio Stazio, l’investigatore dell’antica Roma (Hobby&Work, 1999)

L’allevamento dei pesci
di Danila Comastri Montanari

I romani, inguaribili ghiottoni, erano golosissimi di pesci e di mitili. Non paghi di pescarli, presto fecero in modo di averli a disposizione in grandi quantità e in ogni mese dell’anno. Illustri generali e statisti si dedicarono con tenacia all’allevamento, tanto che alcuni di essi passarono alla storia più per le loro passioni culinarie che per le conquiste militari, come il celebre Lucullo e i tanti personaggi dai nomi evocativi, quali Licinio Murena, creatore delle prime piscine ittiche, oppure Sergio Orata, che attrezzò il Lago Lucrino a vasca per le ostriche.
Sebbene i costi per l’installazione e la manutenzione degli impianti fossero molto alti, l’allevamento dei pesci d’acqua salata nei vivaria si rivelò estremamente redditizio: da sola, la villa marittima di Caio Irrio, fornitore di Cesare, rendeva quattro volte il patrimonio minimo occorrente a un proprietario terriero per essere ammesso nell’ordine senatorio.

Gli impianti idrici, in effetti, erano alquanto sofisticati. La temperatura doveva essere sempre tenuta sotto controllo e occorreva un continuo ricambio d’acqua, ottenuto di solito collegando le piscine al mare attraverso apposite grate. Inoltre, le vasche che contenevano i pesci più delicati erano parzialmente ricoperte da lastre di vetro durante la cattiva stagione, e protette dai raggi del sole nelle giornate calde. Ogni peschiera ospitava in genere una specie diversa; murici, ostriche e pettini venivano invece acclimatati in stagni speciali, col fondo ricoperto di fertile limo.
Come spesso accadeva per le voliere di uccelli, talvolta anche al centro delle piscine era prevista una piattaforma riservata ai banchetti che il padrone di casa intendeva offrire. La grande vasca tonda della cosiddetta “Villa di Lucullo” al Circeo sembra presentare uno spazio simile.

Una volta pescato, il pesce andava cotto, e a questo compito erano addetti cuochi specializzati, ben distinti da quelli che si occupavano delle carni e delle salse.
A insaporirlo interveniva sempre il garum, la celebre salsa, anch’essa a base di pesce, che i romani usavano come condimento in ogni genere di piatto.


Il prodotto più richiesto era la murena.
Così Apicio, nella sua opera intitolata Gastronomia, si diffonde in dettagli su come cucinarla:
– Ingredienti della salsa per la murena arrosto: pepe, ligustico, santoreggia, zafferano, cipolle, prugne di Damasco, vino mielato, aceto, mosto cotto, olio e garum.
– Ingredienti della salsa per la murena lessata; pepe, ligustico, aneto, semi di sedano, rhus, carote, miele, aceto, senape, mosto cotto, olio e garum.
– Ingredienti della salsa per il pesce fritto: pepe, comino, emi di coriandolo, origano e ruta, da tritare e mescolare con aceto prima di aggiungere un bollito di carote, mosto cotto, miele, olio e garum.

Dopo la cottura veniva la presentazione in tavola, di solito alquanto fantasiosa. Così, ecco il pesce ricostruito nella sua interezza dopo la farcia, oppure decorato a bassorilievo con un’abile manipolazione della polpa, o magari travestito da pollo o anatra con tanto di becco e penne, in un gioco di mistificazioni scherzose che finivano per acquistare altrettanta importanza, se non addirittura di più, dell’arte culinaria vera e propria.

Mosaico romano con aragosta, polipo e murena. II sec a. C. Napoli Museo Archeologico Nazionale (Provenienza Pompei)

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