Scrittori

La ‘nostra’ Tea su la Repubblica ‘Cultura’

Segnalato dalla Redazione

 

Tea Ranno: la sorellanza come arma contro la mafia
di Ilaria Zaffino da la Repubblica CULTURA del 29 giugno 2022

La scrittrice siciliana, trapiantata a Roma, porta in libreria il terzo capitolo della sua saga di donne forti tanto amata dai lettori. L’abbiamo incontrata per capire perché

Inutile negarlo, punto di forza dei suoi romanzi restano ancora una volta i suoi personaggi, immortalati in una narrazione corale che li rende talmente umani da farli sembrare veri. Personaggi che escono fuori dalle pagine e diventano persone. “Sono loro che di notte mi cercano e mi vengono a svegliare perché si vogliono raccontare”, confessa con candore Tea Ranno, scrittrice siciliana trapiantata a Roma da oltre vent’anni. “Ogni volta che esce un mio libro, soprattutto al mio paese, Melilli, c’è la gara a riconoscersi nei personaggi, a individuare chi è chi. Se parti da una persona vera la struttura è più autentica: all’inizio metto i nomi delle persone reali ai miei personaggi in modo che quando si muovono so chi è che lo sta facendo, ho ben precisi i caratteri fisici, i loro tic. Poi quando il libro è finito cambio i nomi e i dettagli fisici per sviare il riconoscimento”.

Premiata dalla critica (è stata finalista al Calvino’ con Cenere, pubblicato da e/o, nel 2006) ma soprattutto amatissima dai lettori, Tea Ranno ha un passato da giurista: “Ho fatto il notariato, ma ho sempre scritto e a un certo punto ho scelto di farlo a tempo pieno invece di fare il notaio”. Per questo nei suoi libri il tema del diritto è sempre così presente. In particolare, dei diritti delle donne che non vengono ascoltati, “la mia denuncia contro il femminile violato” sottolinea lei quando la abbiamo incontrata in occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, Gioia mia, in libreria per Mondadori, che ovviamente non fa eccezione. Dopo Terramarina, seguito di quell’Amurusanza con cui Tea Ranno si è conquistata un posto speciale nel cuore dei lettori, questo vuole essere il terzo capitolo della serie e ci riporta, qualche anno dopo, in quella terra d’amurusanza dove, in un momento in cui s’avverte forte il bisogno di speranza, a ciascuno di noi piacerebbe ogni tanto arrivare.

Ma perché l’amurusanza? E soprattutto che cos’è in una parola?
“Quando ho scritto il primo ‘capitolo’, venivo da storie dure, tristi. Sentimi per esempio era una storia di donne morte malamente che si raccontavano alla scrittrice. La sposa vermiglia parlava di un femminicidio, di una donna che viene uccisa il giorno del matrimonio: girava questa storia nella mia famiglia, di questa donna che era stata seppellita vicino alla tomba dei miei nonni e mio papà mi diceva sempre di mettere un fiore a questa ragazza. Poi in Viola Fòscari c’è una donna di 50 anni che si innamora di un ragazzo di 25 e anche lì siamo davanti a un femminile tribolato. Venuta fuori da queste storie durissime ho sentito l’esigenza di non smettere l’impegno, la penna cioè come strumento di responsabilità, ma di cambiare decisamente tono.
L’amurusanza è la storia di Costanzo il tabacchiere che muore d’infarto perché il sindaco corrotto gli vuole togliere un pezzo di paradiso, che è la sua tenuta: dietro c’è la mia denuncia contro la raffineria petrolchimica di Melilli. È qui che arriva Agata la tabacchera, sua moglie, che prende in mano la lotta contro i mafiosi a colpi di poesia. Amurusanza è una parola che usava una mia prozia senza figli che ogni tanto si presentava a casa con un piccolo regalo, di poca o grande importanza. È un atto che parla d’amore senza dirlo, manifestandolo: una telefonata al momento giusto, un’amica che sta male e tu arrivi, è prendersi cura degli altri non in maniera eclatante ma in quel modo che ti fa sentire amato. Per questo, il libro è intriso di quella solidarietà femminile, di quella sorellanza, della bellezza dello stare insieme e ci sono scene anche molto divertente”.

L’amurusanza (Mondadori) è il primo capitolo della trilogia di Tea Ranno

Sorellanza che ritroviamo anche negli altri romanzi della saga. Questi tre libri in realtà si possono leggere anche in maniera autonoma, in un certo senso sono i personaggi a legarli. Ma come si evolvono da un romanzo all’altro?
“Ah, Luisa Russo (protagonista in Gioia mia, ndr) era pessima ne L’amurusanza. Un personaggio antipatico, un ‘cuore imbottito di segatura’ la chiamavano. Poi, è arrivato il Covid, avevo appena consegnato Terramarina ed erano momenti bruttissimi, così mi sono rifugiata di nuovo in terra d’amurusanza per avere un luogo che mi facesse passare la tristezza. E quando mi è apparsa Luisa Russo mi ha raccontato una storia bellissima. Questa”.

In particolare questa è una storia al femminile: oltre all’amurusanza protagoniste qui sono le donne che si uniscono contro il maschilismo imperante e contro la mafia, altra presenza costante quando si parla di Sicilia. Da qui però emerge una visione positiva, ottimistica, si può combattere se non sconfiggere: nel trentennale delle stragi di Falcone e Borsellino il suo vuole essere un messaggio di speranza?
“Sì è sicuramente voluta, cercata questa visione. Da una parte il mafioso che vuole prendersi la “Castidda” di Luisa l’ho usato come espediente per stressare il racconto e far uscire fuori questo dolore grande che Luisa quasi senza saperlo tiene dentro. All’inizio ho temuto si pensasse a una sorta di ridondanza, anche ne L’amurusanza il sindaco era un mafioso corrotto. Ma volevo far emergere questa generazione forte di giovani e donne, di un femminile forte, non necessariamente in opposizione al maschile. Tra i personaggi ci sono anche Toni Scianna, o Giona che ‘ripara i ricordi’: sono figure maschili bellissime. Mi piaceva mettere in evidenza una possibilità di vita giusta, in cui ognuno ha il suo e anche l’opportunità di evolvere, la possibilità per le donne di fare impresa. Luisa con il ristorante ha garantito l’emancipazione economica delle donne: lei riesce a staccarsi finalmente dal marito che le centellina i soldi e permette alle altre che le sono intorno, a Violante, a Letizia, attraverso questo lavoro di emanciparsi”.

Nei suoi romanzi in molti vedono anche influenze del realismo magico sudamericano.
“Me lo dicono spesso, ma in Sicilia da sempre i vivi e i morti convivono, io sono cresciuta con le storie dei morti che entravano nella nostra vita, mia nonna non faceva che raccontarmi queste cose. E nei miei libri c’è sempre un qualcosa che mi riguarda, che riguarda il posto da cui vengo, o fatti che mi sono stati raccontati”.

La lingua che usa è un misto di italiano e dialetto siciliano ben calibrato, espediente che dà colore e vivacità al romanzo. Quando si parla di commistione tra italiano e siciliano c’è un precedente illustre che non si può ignorare: Andrea Camilleri è stato un maestro in questo. È un maestro anche per lei?
“In realtà no, io vivo a Roma dal ’95, non parlo il siciliano: mia madre era maestra, non voleva che parlassi il dialetto e mi ha privato di una cosa importante di cui mi sono accorta quando me ne sono andata. Quando sono venuta via dalla Sicilia la prima cosa che mi è mancata è stato proprio il dialetto, le prime parole che mi sono sgorgate fuori per le mie figlie sono espressioni che non si possono proprio tradurre. E la differenza con Camilleri è che io ho voluto riportare il dialetto autentico. Nei primi libri addirittura ho voluto le note a margine per tradurre le espressioni più chiuse, poi gli editori mi hanno detto che ormai il siciliano è comprensibile e quindi niente più note. Mentre Camilleri ha creato una lingua, io utilizzo il dialetto puro del mio paese, non c’è la trasformazione in qualcosa di più comprensibile”.

Terramarina (Mondadori, 2020) ha vinto il premio letterario Città di Erice

I suoi libri sono accolti molto bene da lettori e critica: “L’amurusanza” è stato un piccolo caso editoriale, 15mila copie vendute, 7 ristampe, e “Terramarina” ha vinto il premio letterario di Erice. Cosa piace così tanto ai suoi lettori, glielo hanno mai detto?
“Nei primi mesi di lockdown ho ricevuto un’infinità di messaggi di lettori che mi dicevano: ‘In un momento di tristezza mi hai fatto ridere’. Quando è uscito Terramarina, una lettrice mi ha scritto che le avevo dato la sua Terramarina da raggiungere e aveva fatto di tutto per guarire per arrivarci. Mi hanno inviato messaggi commoventi. Mi dicevano: ‘In un periodo senza respiro mi hai dato aria’. Ho un rapporto bellissimo con i lettori, in tantissimi mi scrivono e la parola amurusanza da Cividale del Friuli a La Spezia a Reggio Emilia è dilagata, ha valicato i confini della Sicilia ed è arrivata anche al nord. Ora dappertutto si parla di amurusanza“.

C’è una frase che alla fine del libro Giona dice a Luisa: “Non esiste la perfezione. Tutti monchi e imperfetti siamo, e forse è questa la vera ricchezza, perché per supplire a una mancanza mettiamo in gioco tutto il resto, e quel resto diventa il nostro valore”. Forse è questo il messaggio che ci vuole dare con questo romanzo?
“Ognuno ha la sua imperfezione. Lo dico sempre, i siciliani hanno sangue bastardo: greco, normanno, arabo. La Sicilia ha sempre accolto e nell’accogliere si è fatta forte. Ha sangue bastardo nel senso più bello del termine, è un paese contaminato dalla ricchezza di tutte le altre razze, le altre etnie. Questo avevo in mente quando ho messo in bocca a Giona quelle parole: è quell’imperfezione, che nasce dalle tante diversità che ci portiamo dentro, a renderci ricchi. Se manchiamo in qualcosa, tutto il resto supplisce, e tutto il resto è valore che ci permette di colmare quello che ci manca”.

Gioia mia, terzo capitolo della serie, è in libreria (Mondadori, pagg. 336, euro 19,50)

Un’altra immagine molto bella che esce da questo romanzo è la frase sull’amicizia: “la corda che ti tira fuori da un pozzo”.
“Con quella frase volevo rendere l’idea che Luisa, cadendo nel ‘mare della scordanza’, era come sprofondata dentro a un pozzo e le amiche per lei diventano proprio questo: la corda che la tira fuori. Mi hanno accusato di rincorrere un’utopia, perché la sorellanza non esiste, le donne si fanno la guerra… Non è vero, lo dico sulla mia esperienza: quando ne ho avuto bisogno, io le ho avute queste amiche-sorelle intorno. Un esercito di donne intorno”.

E torneremo ancora con le sue amiche-sorelle in terra di amurusanza?
“Sì, ma non subito. Posso solo dire che sarà Violante, paladina delle donne violate, il nuovo centro intorno a cui le altre faranno ancora impresa”.

Nota 
Tea Ranno è una degli Autori del sito. Per i suoi scritti e per tutto quanto le riguarda, digitare Ranno Tea nel riquadro “Cerca nel Sito”, nella colonna di sinistra, in Frontespizio

***

Appendice  del 30giugno, ore 22 (Cfr. Commento di Sandro Russo)

Dimenticato dalla critica  e poco conosciuto, forse, Horcynus Orca di Stefano D’Arrigo, ma non su Ponzaracconta, in cui figura come il romanzo più analizzato e citato, da due esegeti/appassionati: Sandro Russo e Tea Ranno.

Qui di seguito i link agli articoli che raccontano del romanzo e dei suoi personaggi…

Horcynus Orca sul Sito:

 

Di Sandro Russo

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (1)

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (2)

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (3)

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (4)

– Ragazzino dell’isola e le fere. Il mio Horcynus Orca (5)

 

Di Tea Ranno

Horcynus Orca. Ritratti di donne (1)

Horcynus Orca. Ritratti di donne (2). Le fere, la deissa

Horcynus Orca. Ritratti di donne (3). Marosa (prima parte)

Horcynus Orca. Ritratti di donne (4). Marosa (seconda parte)

 

 

4 Comments

4 Comments

  1. Tano Pirrone

    30 Giugno 2022 at 17:15

    Brava amica mia, conto di prendere il tuo libro nei prossimi giorni, certo di trovarmi a mio agio nel mondo di Tea dove le donne “scusunu u munnu pi cusillu cchiu megghiu”. Firmato: unu ca ci capisci e ti voli beni

  2. Sandro Russo

    30 Giugno 2022 at 22:00

    Uno dei più bei ricordi che ho con Tea è di parecchi anni fa, prima ancora del sito Ponzaracconta, ai famosi incontri al mio casale di Lanuvio con gli amici di Ponza e qualcuno di Roma. Da quegli incontri e da altri a Le Forna con Mario Balzano nacque e si concretizzò l’idea di un sito che raccogliesse la memoria di Ponza e dei ponzesi.
    In quelle riunioni si parlava di tradizioni, di pesca, cucina, dialetto… Non mi ricordo come si arrivò a parlare dei delfini – i ffère – , amici dei pescatori sì, ma anche capaci di fare gran danni alle reti. Americo Feola e il fratello, mi pare, ci spiegarono la differenza di comportamento e di gusti alimentari tra due specie di delfini dei nostri mari, i tursiopi e le stenelle.
    Tea e io, tra i presenti, appizzamm’ i rrecchie e poi ci guardammo. Entrambi eravamo entusiasti ammiratori del gran romanzo di Stefano D’Arrigo Horcynus Orca, che pochi hanno letto in realtà. Noi eravamo tra quelli.
    Di lì venne l’idea di scrivere intorno a quel mondo affascinante e nelle settimane successive sfornammo – con una bella interazione, mai sovrapponendoci – una serie di storie che pubblicammo su “O”, il magazine della Scuola di Scrittura Omero, nostra casa comune, al tempo.
    Poi le ripubblicammo anche sul sito, dove sono raccolte tutte insieme in questo articolo:

    https://www.ponzaracconta.it/2022/01/25/furono-fiaschi-ora-sono-acclamati-come-capolavori/

    Nell’articolo di base anche i link per i singoli pezzi.

  3. Lorenza Del Tosto

    1 Luglio 2022 at 22:45

    Bellissima intervista di Tea su Repubblica! Bellissima! Domani vado ad impossessarmi di Gioia mia.
    E poi con grande stupito piacere ho visto su Ponzaracconta anche un articolo di Paola! Complimenti!

  4. Luisa Guarino

    3 Luglio 2022 at 17:03

    Tea Ranno con il suo ultimo libro “Gioia mia” è stata ospite qualche ora fa della rubrica domenicale del Tg1 delle 13.30 “Billy”, dove ha avuto modo di parlare di quest’opera che appartiene alla trilogia che comprende “L’amurusanza” e “Terramarina”. I suoi modi e il suo sorriso convincono e conquistano quanto la sua scrittura. Da leggere al più presto.

È necessario effettuare il Login per commentare: Login

Leave a Reply

To Top