San Silverio

Dissertazione storica sui P.M. Silverio e Vigilio (seconda parte)

a cura del prof. Antonio Di Fazio con presentazione di Giuseppe Mazzella

 

per la prima parte (leggi qui)

 

§ IV. Dopo aver ciò sottolineato e premesso per chiarire un nesso storico, ora affrontiamo la questione che  principalmente ci proponemmo di trattare. Baronio e seguaci narrano che Silverio nel suo esilio, nel mese di giugno del 539 ebbe un incontro con certi vescovi, che erano andati da lui per salutarlo, e lì con terribili maledizioni esecrasse Vigilio, predatore e distruttore del suo soglio, e di quell’atto, perché più chiara ne restasse la memoria, inviasse allo stesso Vigilio un esemplare, convenientemente sigillato e sottoscritto da quattro vescovi italiani.
Anche Isidoro Mercator mostra la stessa lettera nella raccolta di decretali: da questa Baronio e gli editori di concili la ripresero nella loro opera. Ma noi pensiamo che tale storia sia a buon diritto da rigettare come pura invenzione, proprio in quanto essa non può ottenere l’approvazione di nessuna testimonianza storica, ma si appoggia solo sulle lettere commentizie di Isiodoro. E di certo non avrebbero tralasciato cosa altamente degna di memoria tutti gli inventori di storie, dei quali quell’età era ricca, se ciò che Baronio tramanda fosse vero. Comunque l’epistola dello Pseudosilverio non deve essere di tanto peso, da consigliarci affidamento su quella cosa.

E infatti tutti sanno che l’intera collezione di lettere decretali fu approntata da un solo autore, il quale la protrasse chiaramente fino all’ottavo secolo, quasi come raccolta da S. Isidoro Ispalense [di Ispali,
ora Siviglia, n.d.t.] e trasportata dalla Spagna in Germania dall’esule Isidoro Mercator, come mostra in modo estremamente chiaro David Blondel e sostiene lo stesso Baronio.
Appena edita veniva accolta con somma gioia della curia Romana, in quanto niente tanto egregiamente sembrava potesse consolidare la maestà e l’integralità del papa già agognata, che l’autorità di queste
epistole. Da ciò esse ottenevano sempre la preminenza tra i canoni ecclesiastici, e benché muovessero l’opposizione del vescovo Gallicano, per il fatto che le vedevano come contrarie alle antiche
regole morali, tuttavia prevaleva la fortuna del popolo romano, tanto che nel concilio di Costanza Giovanni Wycleff veniva condannato sia per altro, ma anzitutto per averle contestate. E poi dopo l’epoca della sacralità restaurata da Lutero, quando il mondo cominciò a ravvedersi, nessuno più fu tanto credulo e ingenuo da mantenere fede in quelle, tranne Turriano e Aguirre, i quali con infelice verbosità si schierano a favore delle malnate epistole.
Dunque da questa collezione è stata estratta anche quella lettera al calor bianco inviata da Silverio a Vigilio, con cui Isidoro Mercator, che solo fumo sa vendere, ingannò Baronio. E già con ciò comprovo
abbastanza la sua falsità.

Ma al di là di ciò la stessa interna struttura mostra la frode. Intanto la deprecabile barbarie dello stile pare più propria dell’epoca del Mercator che di Silverio, visto che essa è tanto esemplarmente fuori
della norma, che io credo che Nicodemo Frischlin da ciò avrebbe potuto comporre un altro capitolo alla sua sui lamenti di Prisciano.
La stessa epistola si finge scritta il 24 giugno, col principato di Basilio. Però al tempo di Silverio non ci fu nessun principe o console di questo nome, e l’anno 539 è indicato col solo console Apione. Per cui lo stesso Baronio considera interpolata questa falsa annotazione consolare.
D’altronde è compromessa da molti mendaci, vergognosamente interpolati. Cosa infatti vuol dire: “io che ormai presiedo tribus iugiter emensis temporibus”? Forse che Silverio fu papa per tre anni, mentre sappiamo che lo fu per un solo anno? Quale impudente calunnia e non so che imbroglio, indegno di un pontefice: che Vigilio dalle mani lordate di sangue umano, piombando con accanimento addosso ai predecessori di Silverio, contro il diritto canonico dei tempi di papa Bonifacio, fece di tutto per essere designato, quando quello era ancora vivo, suo successore, se non gli si fosse opposto il senso di giustizia di amplissima parte del senato. Chi mai ha detto che Vigilio avesse ambito alla carica pur se macchiato di sangue umano? E però non ho dubbio che il Mercator pensasse ad altri atti crudeli di Vigilio, quando quello precipitato nella follia, come racconta un Anastasio poco rispettoso della dignità di un tale uomo, sferrò un ceffone al suo segretario, che subito cadendo spirò ai suoi piedi. E poi consegnò un suo nipote, figlio di una vedova, al console Asterio: presentandosi l’occasione, volle che di notte fosse trattenuto, e violentato fino alla morte.

Ma tutto ciò capitò oltre dieci anni dopo la morte di Silverio, quando il governo di Vigilio era ormai consolidato. Visto che è confutato dal silenzio degli scrittori che egli perpetrasse tali cose al tempo dei
predecessori di Silverio, allora da ciò, che non ci fu omicidio, né milite ucciso in battaglia, salve dunque le leggi della Chiesa, poteva essere accolto nel sacerdozio. E poi risponde al vero che a tempo debito era stato designato successore di Bonifacio, e dallo stesso Bonifacio con cosciente volontà, e senza che ci fosse l’opposizione dell’ amplissima parte del senato; ma poi lo stesso Bonifacio in piena libertà annullò il decreto.
Forse che Silverio direbbe che Bonifacio, nel cui petto albergava ogni senso morale e del diritto, compisse qualche atto contro il diritto canonico, o in cosa tale, da cui dipendeva la successione di tanti
presuli, legittima o interrotta? E ci sono anche in questa epistola frasi certamente di nessun significato, come: con la tua provvidenza di pastore vanno troncati certi esecrandi auspici. E poi: ti sforzi di
invadere i miei tempi. Ed ancora: io Silverio sottoscrissi volentieri il consenso a tutti gli statuti. E quali mai sono questi statuti? Forse che la sacrosanta potestà pontificia presta il consenso solo agli statuti, e
come un semplice dignitario ricorre ad altrui sentenza, e piuttosto non sancisce con la propria autorità leggi che altri devono accettare?
Perciò cosa significano quei “tempi, che Vigilio occupò”, e quali gli “auspici” da cancellare? Frattanto sottoscrissero quell’epistola quattro vescovi campani, di Terracina, Fondi, Fermo e Minturno, anche se in verità ciò è solo verosimile, poiché in quei tempi a Minturno non ci fu nessun vescovo, essendo quella chiesa devastata dalle fondamenta per le distruzioni belliche, come testimonia Gregorio Magno. Sebbene infatti l’epoca di costui sia distante 50 anni da quella di Silverio, di certo allora in quella zona non
mancarono guerre, dalle quali la città poté essere distrutta dalle fondamenta. E inoltre a molti sembra sospetto il fatto che molte frasi in questa epistola appaiono riprese e compilate da altri autori, in specie dalla sesta epistola di Felice III contro Acacio, peraltro anch’essa giudicata di dubbia autenticità.
E qui può bastare; tralascio altri indizi di falsità.
E pur se già Graziano la esalti come stesa da Silverio, e la acquisisca a guisa di testimonianza nel diritto canonico, tuttavia uomini eruditi ed intelligenti, e mossi da molte ragioni, giudicano che quella debba essere rigettata come inverecondo parto di questo peccatore: e parlo di Blondel, seguito da Labbeo, Dupin, Pagi, Nat. Alessandro, Arduino, ai quali immeritatamente, pur se con beneficio d’inventario, Caveo aggiunge lo stesso Binio: il contrario infatti si evidenzia abbastanza, sia dai passi sopra esposti, sia per il solo fatto che Baronio non rigetta l’ epistola in questione.

§ V. Oltre questa epistola Isidoro ne ha commentato anche un’altra, indirizzata sotto il nome dello stesso Silverio al vescovo Amatore, che Baronio opina sia di Augustoduno [oggi Autun, n.d.t.], mentre invece
Pagi dichiara che allora non c’era in uso quel nome. In essa si fa parola alquanto diffusamente dell’anatema contro Vigilio, si ricorda infatti perché egli [Silverio, ndt], posto fuori dalla sua sede, assieme ai vescovi che aveva potuto riunire, scagliò l’anatema contro chi aveva operato contro lui, e in quello stesso concilio confermando i decreti dei santi padri statuì che mai falsi, nemici, o accusatori o testimoni sospetti dovessero essere posti al di sopra dei vescovi.
Ma a dire il vero tutta la struttura di questa epistola, anche se scritta con penna alquanto più sicura, molto facilmente mostra la sua fallacia. Vi si dice che la data è ventitré novembre, quinto anno dei
consoli Giustiniano e Belisario. E invece Giustiniano non iniziò mai il quinto consolato, né mai ebbe come collega Belisario. E poi molte frasi prese da Anastasio e Gregorio Magno autori molto più recenti,
chiaramente fanno trapelare la distanza nel tempo. Per cui lo stesso Baronio  – ma quanto è preso in queste quisquilie!- crede che essa sia una interpolazione, tuttavia senza il sostegno di nessun argomento che ugualmente non si adatti alla epistola precedente.
Georg. Ios. poi seguendo Eggs ricorda altre epistole scritte col nome di Silverio, che nei giudizi dei principali scrittori sono credute false. Ma egli stesso forse non sa dove mai esse siano. Lo stesso poi aggiunge: Si dice anche che Silverio abbia scritto contro Teodora e l’intruso Vigilio e i loro complici e partigiani, una dotta apologia, nella quale vendicò non la propria ma la pubblica ingiuria portata alla Chiesa.

In verità nessuno mai ha rilasciato menzione di questa apologia, che pare sorta anzitutto nel cervello di Eggs. Credo infatti che quello sia rimasto ingannato da un passo di Graziano (nel diritto canonico al
numero 30) male inteso, nel quale si pone attenzione alla epistola infiammata dello Pseudosilverio, in cui si dice che aveva vendicato ingiuria portata non a se stesso ma alla Chiesa. Fu da queste parole che Eggs si fece idea di un’apologia.
Da questi fondamentali argomenti viene fuori la narrazione di Baronio circa quel concilio di Silverio, nel quale fu pronunziata la sentenza di condanna contro Vigilio. Con ciò si può giudicare cosa si debba di tutto ciò pensare.

§ VI. Ed intanto la stessa favoletta, poco ingegnosamente escogitata da Isidoro, poco prudentemente viene accolta e aggiustata, quando in realtà senza nessuna parvenza di verità si opina che quel concilio sia avvenuto nel carcere. Perché sappiamo che il carcere talvolta approntò agli studiosi un museo senza visitatori, di cui ci danno conferma Gaspare Peucer sia per se stesso assunto come esempio, che nella storia scritta dei carceri, e B. Wolff nell’erudita sua dissertazione intitolata Un carcere come museo per gli eruditi.
E veramente dal solo caso di Silverio forse si sarebbe dovuto assumere che quel luogo fosse sede appropriata per un concilio di vescovi. Come infatti può apparire verosimile che quello, gravato di pesanti catene, potesse indire sinodi, approntare sanzioni ecclesiastiche, e scagliare fulmini di esecrazione contro chi aveva potere su di lui? E quale gola di vescovo allora convocato, come i mercuriali avrebbe potuto cantare tanto dolcemente
Si abbassarono gli occhi e si spensero le luci al sonno da rendere i custodi tante sentinelle che impedissero l’accesso a chi voleva entrare? E chi potrebbe credere che Vigilio fosse tanto negligente da concedere ad un avversario, spesso molesto, la libertà di far venire a sé degli amici? E nessuno potrà persuadermi che al povero Silverio nello squallore del carcere che gli faceva mancare ogni cosa, sopravvivesse tanta animosità, tanta forza e vigoria da poter anche solo escogitare la vendetta sul suo avversario. Questi infatti lo aveva relegato non ai campi Elisi o alle isole dei beati, ma alle isole Pontine,
perché se ne stesse in sede triste e senza sole, in torbidi luoghi, dove avevano dimora lutti e terribili preoccupazioni, e paura e turpe miseria e la mal consigliera fame (quadretti brutti a vedersi) e rovina e travagli, dove cioè, per usare le espressioni di Anastasio, quello si alimentava col pane delle tribolazioni e l’acqua delle ristrettezze. In quelle isole, dove ricorrevano tristi immagini di molti che un tempo abitavano quei luoghi, dove senza dubbio pesava ancora il ricordo di Domitilla e di Nerone Germanico, lì un tempo uccisi dalla fame.

Chi crederebbe che in un tal luogo, in tale condizione di vita, quello potesse essere tanto animoso, tanto arrabbiato da scalzare dell’ investitura papale Vigilio già affermato? E perché qualcuno non pensi che quel concilio fosse convocato da Silverio ancora in esilio, di certo un esilio più blando, a Patara, cosa che con sicurezza è affermato dal Celebr. Caveo, Baronio  chiaramente scrive che si tenne nell’ isola di Ponza o a Palmarola, e senza dubbio comprova la memoria di Isidoro, il quale pensa che per questo motivo quattro vescovi della Campania, confinante con le isole Pontine, sottoscrissero, e dopo loro sottoscrissero anche i vescovi asiani. E infatti perché gli Itali potessero forse andare a Patara, ciò poteva essere con l’assenso del primate o metropolita, e anzitutto di Vigilio, visto che non era lecito a nessun vescovo andare fuori del proprio territorio senza il consenso del suo metropolita. Dunque da queste ed altre ragioni resi più prudenti degli stessi esponenti pontifici, gente come Antonio Pagi e Dupin, ridono di questa favoletta e giudicano sia da espungere dalla vera storia: né finora, a quanto mi consta, si è trovato nessuno tra i tanti editori di concili, che abbia narrato di un concilio silveriano o ponziano. Ed allora tali sciocchezze sono da lasciare al Baronio, e a quanti sono ansiosi di uniformarsi a lui.

§ VII. E non pertanto credo che i pontifici malvolentieri avrebbero sopportato che io con questa ragione mi opponessi all’eminentissimo Cardinale, e mi impegnassi a smentire questa favoletta, tanto bene da
lui confezionata. Gli stessi infatti sono liberati dal grosso pericolo, che dall’opinione di Baronio sembra incombere sul processo di successione dei Pontefici romani, così tanto da essi esaltato,. Questi
infatti crede che mai cosa più grave si può verificare, né mai pericolo più evidente, di quello ‘strappo’ col quale venne costituita la chiesa di Roma. E ciò è verissimo. Ed infatti se entrambi, dico Silverio e Vigilio, furono legittimi pontefici, cosa che nessuno di essi nega – d’altra parte una successione perpetua e mai interrotta certamente vacillerebbe – resta in forte dubbio chi dei due fu il vicario di Cristo nel tempo in cui Silverio ancora vivo era costretto all’esilio fuori Roma, e se allora esistette una Chiesa senza il suo capo. Che se Silverio, pur cacciato via dall’Urbe, per questo però non abbandonò il suo officio, come si sostiene nell’epistola ad Amatore, e per questo poté lanciare anatema contro l’avversario e i suoi accoliti, come affermano i Pontificii, in verità mai una sentenza con questa denigrazione fu sollevata e revocata da un concilio o dallo stesso Silverio; ne segue di necessità che Vigilio, in quanto dedito a cose terribili e per decisione papale con vergogna allontanato dalla comunità dei Cristiani assieme ai suoi partigiani, mai avrebbe potuto proiettarsi al massimo grado della dignità e diventare capo incarnato
della Chiesa.

E così se dopo volle essere riaccolto e riconsacrato nella Chiesa, gli fu necessario fare pubblica penitenza; in verità le leggi vietavano che un uomo un tempo sottoposto a pubblica penitenza potesse mai
essere accolto o cooptato in un collegio sacerdotale. Ma già Vigilio, stando a quanto dice Baronio, senza benemerenze [di nihilofecius non ho traccia, n.d.t.], in disprezzo delle leggi ma con il volere di Belisario, col consenso dei soli sacerdoti, senza previa penitenza, fu restituito non solo alla Chiesa ma elevato al grado più elevato della carriera, cosa per cui in nessun modo può essere considerato papa legittimo. Non poté infatti con l’appoggio del solo collegio sacerdotale essere liberato dall’ esecrazione; alla quale rimase in perpetuo condannato assieme ai suoi seguaci.
E visto che fra questi si annoverano certi odierni pontefici, che si pongono all’incanto per la successione, ne segue che anche oggi costoro e l’intero gregge del clero romano siano vincolati all’anatema
di Silverio. Per tutto ciò ardentemente prego tutti coloro ai quali, volesse il cielo, sta fortemente a cuore una legittima e consona successione al soglio di Pietro, di abbandonare senza indugi Baronio, che tende tanto pericolose insidie, e di rigettare sprezzantemente le sue ‘favolette’.
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Tale conclusione da tutto ciò ricava H. G. MASIUS, in Dissertazioni
Accademiche, come riportate in Acta Eruditorum Germanica, parte LXVI, p.

 

[Dissertazione storica sui P.M. Silverio e Vigilio (seconda parte) – fine]

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