Scrittori

Melania Mazzucco, tra Cinema e Letteratura

segnalato da Sandro Russo

Dettata da un inesausto interesse per la Letteratura e il Cinema questa scelta, per i lettori di Ponzaracconta, di uno scritto di Melania Mazzucco, scrittrice molto interessante tra le “giovani leve” di casa nostra – “…E’ Tufo di Minturno il luogo ritrovato, il luogo delle mie origini. La mia famiglia ha vissuto lì per secoli e mio nonno, Diamante, che emigrò ragazzino, fu il primo a scoprire il buco nella rete e a fuggire. Per liberarci e per aprire a tutti noi un futuro diverso”.  (…) “In principio per me Tufo era soltanto un nome. Io sono nata nel ’66 e da sempre nella mia famiglia aleggiava una leggenda: che un ufficiale piemontese, rabdomante, fosse sceso dal nord a Minturno al tempo dei Borboni e si fosse innamorato di quel paesino che, all’epoca, faceva parte del regno di Napoli. Cercava l’acqua, l’origine stessa di ogni cosa. Ma, scrivendo Vita, ho scoperto che il rabdomante non era mai esistito e che invece la mia famiglia era rimasta a Tufo per quattrocento anni. Immobile, perfino nei nomi: una generazione di Antonio, seguita da una di Benedetto. E poi ancora una di Antonio. Tutti Mazzucco, naturalmente”. A proposito di Vita, suo romanzo del 2003.
Melania ci racconta del suo apprendistato.
Da la Repubblica di domenica 5 giugno 2022 (anche in formato .pdf a fondo pagina)

Lina-Wertmüller; 1987. (Photo Augusto De Luca. Licenza-CC-BY-SA-2.0-via-Flickr)

BOTTEGHE LETTERARIE
Senza menzogna né sortilegio
di Melania Mazzucco

Melania Mazzucco racconta come ha imparato a scrivere storie ancorate alla realtà o al passato. Con una musa: Lina Wertmüller

Nel 1988 viene nominata direttrice del Centro Sperimentale di Cinematografia (Csc) di Roma la regista Lina Wertmüller. È come dare le chiavi del collegio a Giamburrasca. La signora ha infatti lo stesso spirito anarchico del personaggio. Subito aumenta il numero degli allievi, ritenendo i posti scandalosamente pochi, poi abolisce la gerarchia e la divisione fra i corsi. Così io — che ho sospeso i miei studi universitari di letteratura e frequento il corso di sceneggiatura — posso seguire anche i registi, i direttori della fotografia, i montatori, gli scenografi e i costumisti che hanno creato i capolavori del neorealismo e poi degli anni ’60, imponendo nel mondo il cinema italiano. Collaboratori di Rossellini, De Sica, Visconti, Pasolini, ma anche Monicelli, Comencini, Scola, Leone (…).

Sono vulcanici, appassionati, dediti al loro mestiere come monaci, e insieme improvvisatori, commedianti, logorati dai successi e dai fallimenti. Li riconosco subito come Maestri. All’università i docenti mi erano sembrati anatomisti chini sul cadavere della letteratura italiana (il romanzo è morto, la narrazione sepolta), e gli scrittori che ne parlavano esecutori testamentari. Invece nelle aule del Csc si respira vita. La realtà, la realtà, la realtà. Nient’altro. Dovete conoscerla, per raccontarla. Non guardatevi allo specchio. Non siete interessanti. Gli altri lo sono. Chiunque. La commessa, l’autista del bus, pure un cane. Le storie verranno.

Ci sguinzagliano per Roma con cinepresa e registratori. Con due compagni, scegliamo i migranti. L’Italia ne è piena: per i media è “un’invasione”. Ma che storie hanno? Chi sono? Non ancora nemmeno numeri: fantasmi, invisibili, muti. Allora i “clandestini” vivevano ai margini, negli scantinati, nei cunicoli della metropolitana, in fabbriche fatiscenti. Impariamo a raccogliere testimonianze, a guadagnarci fiducia, diventiamo le loro ombre (…).

Intanto Wertmüller stabilisce che ogni maestro “adotti” un allievo come assistente e vengo assegnata a lei. Il mondo del cinema (anche della letteratura, ma ancora non l’ho sperimentato) è oppresso dal maschilismo e lei ha a cuore il futuro delle ragazze.

Mi riceve nella terrazza affacciata su piazza del Popolo, dove prende il sole con una foglia a proteggerle il naso dai raggi ultravioletti. Voglio fare un film sui bordelli, esordisce, guardandomi negli occhi (i mitici occhialetti bianchi avevano lenti chiare, e mi specchiai nelle sue pupille). Trovami una storia.

La richiesta mi sorprende. Il suo Film d’amore e d’anarchia (1) del 1973 è la storia di un anarchico lombardo venuto a Roma per uccidere Mussolini che si arena nel bordello di via Mario de’ Fiori. Un film così lo aveva già fatto. Ed era fra i suoi migliori. Sorride. Mi dice che ognuno di noi ha le sue ossessioni. Se un giorno fossi diventata una scrittrice lo avrei capito. Giriamo sempre intorno agli stessi temi. Ma si cambia. Il tempo passa. Lei non aveva ancora finito con le case di tolleranza.

Esco eccitata e preoccupata. Le “case chiuse” — abolite nel 1958 — non appartengono all’esperienza della mia generazione. Non so da che parte cominciare. Visiono cartoline, quadri, pellicole. Leggo reportage, atti parlamentari, diari, libri (…). Il frutto di quelle ricerche è una cassa di trenta chili, ammuffita in un garage.

Ma col passare dei mesi mi resi conto che — proprio come quella tra i migranti — pure la ricerca storica non può essere mai di seconda mano. E noi avevamo chiara solo una cosa: raccontare il mestiere dal punto di vista delle donne. Non potevo accontentarmi. (…) Le mie ricerche — di carta e di persona — divertivano Lina. Si delineò una certezza. Il personaggio doveva essere reale. Perché riconoscevamo il fascino e il potere di una storia vera. Ci orientammo sulla protagonista di un caso di cronaca negli anni ’40. Lei c’era, li ricordava. Ma per me sarebbe stato un film in costume. Un romanzo storico, insomma.

Lina-Wertmuller /©2018 Paolo-Spadacini_1

La vita mi riportava alla letteratura. Al tempo de I promessi sposi gli autori seri scrivevano tragedie in versi o poesie. Manzoni ha restituito al romanzo dignità letteraria e grandezza. (…) Scriveva come uno storico: stesso studio critico delle fonti, ricerca della verità nascosta o censurata dalla storia ufficiale (che è quasi sempre travestimento e menzogna). (…)
Però la sua intuizione più duratura — più propriamente italiana, che lo discosta dalla tradizione romantica derivata dal romanzo storico à la Walter Scott — è stata quella di eleggere a protagonisti non i potenti (la suora aristocratica, il principe, il cardinale), ma due insignificanti operai lombardi. Due persone umili — che non avrebbero lasciato traccia nel mondo. La letteratura italiana ne ha tenuto conto. Per ragioni intrinseche alla cultura nazionale (il cattolicesimo democratico, il populismo risorgimentale, poi il comunismo) questa scelta è stata irreversibile. (…)

Ma nel 1989 le mie aggrovigliate riflessioni su come scrivere una storia del passato, che accompagnavano la stesura della vicenda della nostra puttana, non trovavano risposta. Procedevo per esclusione e ripudio di soluzioni già confezionate: credo tuttora nella pedagogia (anche auto-pedagogia) negativa. Le ragazze dei bordelli d’Italia, che finivano poi tra i velluti e gli ori, venivano dalla povertà della cultura contadina che aveva ispirato i migliori film storici italiani (L’albero degli zoccoli di Olmi, Maria Zef di Cottafavi). Come le avrebbe raccontate una regista? Non lo saprò mai.

Ci siamo perse di vista, Lina Wertmüller e io.
Nel 2003 — avevo scritto Vita — sono tornata nella stessa casa, sul terrazzo. La consideravo la Grande Madre che ha cambiato la mia storia, e gliel’ho detto, perché preferisco la verità. Ma nel 1990 il congedo è stato senza parole. Lei ha scritto un altro film e io, dopo il diploma e la laurea, mi sono arrangiata con tanti lavori e poi ho capito che volevo davvero scrivere: ma le storie mie.

Nel mio primo romanzo, Il bacio della Medusa, ho affinato il metodo del mio apprendistato.
Archivi, documenti, “antropologia” sul campo: un’indagine conoscitiva totale, per poter ricostruire vite perdute — restituendo a persone e personaggi anche minimi, al loro mondo, perfino ai loro oggetti — una voce. Nient’altro mi pareva essere il compito della letteratura.

 

Note (a cura della Redazione)

(1) . Film d’amore e d’anarchia – Ovvero “Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza…” è un film del 1973 scritto e diretto da Lina Wertmüller. Con Giancarlo Giannini e Mariangela Melato.
Presentato in concorso al 26º Festival di Cannes, è valso al protagonista Giancarlo Giannini il premio per la migliore interpretazione maschile.

Nota
Testo tratto dall’intervento (in video) dell’autrice a Multipli Forti: Voci dalla narrativa italiana contemporanea, Festival in programma a New York dal 6 all’8 giugno. Promosso dall’Istituto Italiano di Cultura di New York diretto da Fabio Finotti. Ha la direzione artistica di Maria Ida Gaeta

Melania Mazzucco. Da la Repubblica Cultura del 5 giugno 2022.pdf

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