Attualità

La flebile difesa della Democrazia nell’editoriale di Ezio Mauro

Segnalato da Sandro Russo

Torna Ezio Mauro, dopo l’articolo del 16 maggio scorso sul “Il cuore freddo della Democrazia” (leggi qui), sulla flebile difesa da parte dell’Occidente dei suoi valori fondanti. Con un altro articolo su la Repubblica di lunedì 30 maggio 2022 

Eleganza e sogno a San Pietroburgo. Da viaggi.corriere.it

L’editoriale
Il mito rovesciato di Mosca
di Ezio Mauro 

Il mito rovesciato della Russia, come i palazzi di San Pietroburgo che si specchiano al contrario nelle acque della Neva, torna ad agire sull’Europa ipnotizzandola, scompaginandola e — ciò che più conta — dividendola. È un ribaltamento della storia, perché dopo aver insediato al Cremlino la rivoluzione bolscevica, spargendo i semi leggendari del comunismo realizzato in tutto il mondo, oggi Mosca è diventata la capitale dell’autoritarismo conservatore, del nazionalismo reazionario e soprattutto del dispotismo autocratico: l’unico elemento fisso sulla scena russa del potere, nei tre secoli di regno dello Zar, nei sette decenni sovietici governati dal Politbjuro del Pcus e nei 22 anni di dominio dell’ultimo principe, Vladimir Putin.

L’irradiazione propagandistica continuativa che parte dalla piazza Rossa, e che secondo il premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov è potente come la radiazija della centrale di Chernobyl, usa la piattaforma universale della guerra come una moderna ideologia, la prima che torna ad affacciarsi nel secolo da cui ogni eredità ideologica pareva bandita. Sembrava impossibile che dopo il collasso del gigante sovietico il Cremlino riuscisse in così breve tempo a ricostruire una tecnica del potere capace di riconquistare il rango perduto. E soprattutto a riarmare una struttura teorica, una vera e propria dottrina, in grado di concepire e legittimare il restauro di un’autorità iper-nazionale, anche sotto forma di arbitrio e sopruso.
Infine, che tornasse in campo, pretendendo di scrivere la sua quota di storia, e non semplicemente di leggerla.

Invece, sta accadendo. Rinasce la frontiera orientale, la linea di separazione, il punto di distinzione, il meridiano zero, e ritorna a segnare la nostra vita, contendendoci lo spazio e il tempo in una disputa infinita che si rinnova.

Poiché per tutta l’epoca della Guerra fredda sembrava costruito con la pietra stessa del Muro di Berlino, il concetto geopolitico di Est pareva incapace di sopravvivere alla caduta di quella barriera armata e alla distruzione di quel punto simbolico da cui cominciava la divisione del mondo. Devitalizzato politicamente, svuotato di una soggettività sovrana, neutralizzato nella sua dimensione imperiale, ciò che restava della raffigurazione storica dell’Est veniva ridotto alla funzione tecnica di semplice punto cardinale, orizzonte dove sorge la luce del sole, per illuminare avanzando l’Occidente egemone: il cui sistema di credenze — la democrazia — aveva infine vinto, o almeno così credevamo.

Quell’interpretazione politica della storia e della geografia d’Europa orientale riemerge invece violentemente, insopprimibile, rivendicando nella sua ribellione un ruolo per l’Est e riportandolo al centro della scena. E l’incarnazione dell’altra parte del mondo ancora una volta è la Russia, il “nemico ereditario” dell’Europa di cui è parte, il principio antagonista che porta in sé la sfida perpetua di una maestà concorrente, il pretendente imperiale che riemerge. Dunque non era solo la sovrastruttura bolscevica e leninista il fondamento dell’alterità di Mosca rispetto all’Ovest, ma anche l’autocoscienza della Russia affondata nei secoli, il suo carattere nazionale e popolare perpetuamente dilatato oltre i suoi confini, avvilito e renitente quando il nuovo disegno del mondo lo spingeva a rientrarvi. Putin si appoggia in modo palese a questa rappresentazione missionaria che la Russia ha di sé, quasi una condanna eroica a un destino che era in sonno, sommerso nella neutralità grigia del post-sovietismo declinante, e che il Cremlino ha risvegliato. Ed esattamente qui avviene lo scambio di riconoscimento reciproco tra il potere e i sudditi, che è la base ambigua del consenso popolare “all’operazione speciale” in Ucraina.

Più complesso capire l’effetto della radiazija ideologica in Occidente. In parte va cercato nella persistenza della memoria dell’Ottobre, nella simbologia della madre di tutte le rivoluzioni più ostinata della realtà, nonostante le rivelazioni e le sconfessioni della storia. Questo vale a sinistra, naturalmente: in quella sua parte dove, quando il fuoco dell’epopea leninista si spegne, resiste la cenere sempre accesa dell’antiamericanismo, dell’anticolonialismo e dell’antimperialismo, sotto forma di una diffidenza irrisolta nei confronti dei valori dell’Occidente e delle sue istituzioni. Le questioni per la sinistra dubbiosa sono due: perché non sente il dovere di difendere i valori democratici calpestati dall’invasione, come se non la riguardassero, mentre invece dovrebbero essere i suoi punti di riferimento? E perché la ripulsa anticoloniale e antimperiale non scatta spontaneamente nei confronti di Mosca, davanti all’abuso della forza che spezza la regola, infrange il diritto e sostituisce la convivenza pacifica con la guerra?

Mentre la sinistra nasconde le sue contraddizioni, la destra cripto-russa sembra invece ricercare di proposito la potenza di questo abuso, proprio perché crea lo stato d’eccezione, cancella ogni vincolo normativo e fonda una nuova sovranità autocratica e autoritaria, che chiede obbedienza mentre rompe la tavola dei valori condivisi.

C’è dunque nella destra europea, davanti a questa guerra, l’attenzione e l’attrazione per un possibile superamento della forma democratica nella sua configurazione liberale, l’interesse per la politica che diventa direttamente potere, il governo che si trasforma in comando, il comando che trasmuta in dominio. La fascinazione della Russia per la destra è nella forzatura putiniana del limite democratico, nella sua scelta di non riconoscere l’interdetto della legge e del diritto, nella ricerca di un nuovo ordine che si emancipa dalla cultura costituzionale del Dopoguerra occidentale.

Come effetto secondario del conflitto, e attorno al campo di battaglia, la storia si rimette in movimento, nega le sue derivazioni dal passato, cerca un nuovo punto di partenza basato sulla fine del secolo democratico, come cent’anni fa. La sorpresa è che alla prova dei fatti la democrazia trova difensori deboli, tiepidi, divisi, mentre deve fronteggiare avversari solidi e agguerriti e un’area grigia in cui radicalismi di destra e di sinistra si mescolano senza volerlo con motivazioni diverse e delusioni comuni.

Un’area che assume immediatamente un connotato populista, secondo lo spirito dei tempi, impolitico e avventurista, polemico con i valori, le istituzioni e la cultura della democrazia liberale. Putin può quindi pescare con profitto nel disincanto europeo, a cui propone un modello alternativo alla Ue, ai principi occidentali, alla democrazia così come noi la conosciamo.

Persa con l’invasione la rendita sovrana di interlocutore naturale e protagonista riconosciuto al tavolo delle potenze mondiali, acquista però un reddito politico da sfidante, avversario e Capo di un contromondo in formazione.

È l’interesse politico a far parte di questo mondo contrario che spinge Salvini nel suo pellegrinaggio a Mosca. Più per ottenere l’imprimatur come concessionario italiano del marchio putiniano anti-occidentale che per testimoniare al Cremlino i valori, i giudizi e le richieste del governo italiano e dell’Europa. Questo sbandamento non è accettabile per un partito che fa parte del governo.
Salvini deve ancora spiegare il segreto del Metropol, quando a Mosca uomini della Lega a lui molto vicini discutevano di tangenti petrolifere con interlocutori russi, mettendo a disposizione in cambio pezzi di politica estera italiana. E deve comunque specificare, quando annuncia che parlerà di pace, se intende la pace europea, con il ritiro dei russi dalle zone occupate, o la pace putiniana, imposta col tallone di ferro. Deve cioè chiarire quali sono i principi che testimonierà sulla piazza Rossa, dove in passato ha dichiarato di sentirsi a casa più che a Roma: i principi del governo e della Ue, o quelli di Marine Le Pen e di Viktor Orbán? Perché oggi non basta dire pace. Soprattutto a Mosca.

[Di Ezio Mauro. Da la Repubblica del 30 maggio 2022]

NB – Le immagini a corredo dell’articolo sono state scelte a cura della Redazione

 

 

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