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La guerra in corso. Il ruolo del Mediterraneo secondo Marco Minniti

Segnalato dalla Redazione

Altre volte sul sito, per la posizione centrale del Mediterraneo sulle questioni legate all’attualità della guerra in Ucraina, abbiamo riportato gli scritti di Marco Minniti, vecchio estimatore e frequentatore di Ponza (leggi qui) e vero esperto di questioni legate a questa cruciale area geografica. Recentemente il 4 aprile scorso: leggi in un commento ad un articolo inviato da Rete Italiana per il Dialogo Euro-Mediterraneo (RIDE): Il Mediterraneo e la guerra:
Marco Minniti. La missione Mediterraneo allargato. Da Repubblica del 4 apr. 2022
Sugli stessi temi, attualizzato agli eventi recenti, quest’altro suo artiocolo da la Repubblica di ieri 18 maggio 2022

Il Mediterraneo per la pace
di Marco Minniti

Dalla Libia alla crisi del grano all’Ucraina: perché il futuro del pianeta passa anche di qui

Improvvisamente è tornata di scena la Libia. Forse non era mai uscita. Gli scontri di avant’ieri a Tripoli, la fuga precipitosa del premier designato Bashagha, mai riuscito a rimanere nella capitale per esercitare il suo mandato. Nel frattempo, a Tripoli continua a governare il primo ministro del governo di unità nazionale Dbeibah, il cui mandato formale scade a giugno, che, tuttavia, non può andare né a Tobruk né a Bengasi. Sono in corso febbrili trattative per evitare il rischio di una rottura in due del Paese. Ma, come si diceva una volta, maiora premunt, una guerra nel cuore dell’Europa. Ma in un mondo sempre più “piccolo” c’è sempre qualcosa che lega l’Europa all’Africa: il Mediterraneo. In queste ore l’Ue è impegnata in un difficilissimo confronto sulle sanzioni energetiche a partire dal petrolio. Il vincolo dell’unanimità diventa, ogni giorno che passa, un peso insopportabile da sostenere. E, tuttavia, non sfugge a nessuno che se questa discussione fosse stata fatta con un aumento della produzione petrolifera globale, questo confronto sarebbe stato sempre difficile, ma meno drammatico. Ma l’Opec+ ha, nelle settimane scorse, respinto la richiesta avanzata. In Libia c’è il blocco dei “pozzi petroliferi”.

Nei giorni scorsi la Fao ha lanciato l’allarme sui rischi di un’imminente crisi alimentare originata dal blocco delle forniture di grano dall’Ucraina. Con una particolare preoccupazione per l’Africa settentrionale. Ecco: la Libia che ha bloccato i “pozzi” verso l’Europa dipende direttamente dal grano ucraino.
Tutto ciò ci descrive il Mediterraneo come uno specchio rotto che riflette, tra le sue sponde, immagini spezzate e contrapposte. Drammaticamente. La crisi energetica può paralizzare l’Europa, la “crisi del pane” può incendiare l’Africa. Innescando tensioni sociali, acute crisi umanitarie. Il rischio di un nuovo 2011 senza neanche la speranza, lasciata ahimè, colpevolmente cadere, di una “nuova primavera”. È una lotta contro il tempo. La decisione, sia pure parzialmente corretta, dell’India, secondo produttore di grano al mondo, di bloccarne le esportazioni rende lo scenario ancora più complicato. Vanno sbloccati, immediatamente, i porti ucraini. Realizzati dei veri e propri “corridoi per il grano”. Ma non basta, l’Unione Europea d’intesa con l’Onu deve predisporre iniziative di sostegno ai Paesi più esposti. Dal Nord Africa al Libano. Un vero e proprio “piano” per la solidarietà, la stabilizzazione e la prosperità. Si tratta, cioè, di operare per ricomporre lo specchio rotto sapendo che la strada della pace che parte da Kiev passa, inevitabilmente, per il Mediterraneo allargato.

C’è bisogno di “circondare diplomaticamente” la Russia, di fare sentire il peso del mondo nella richiesta di un cessate il fuoco e di un giusto negoziato. È importante che sia aperto uno spiraglio di dialogo diretto tra Stati Uniti e Russia.

È importante che l’Europa abbia cominciato a parlare direttamente con la Cina. È urgente che lo facciano anche gli Stati Uniti, con la consapevolezza che il peso di una guerra lunga è difficile da sopportare. Per tutti. Gli Usa, l’Europa, la Cina, l’India, grande potenza demografica, sono attori decisivi. Ma senza un protagonismo del Mediterraneo allargato sarà difficile, molto difficile, aprire la strada del negoziato e, soprattutto, ridisegnare un assetto di stabilità e di sicurezza per il pianeta. La sfida è trasformare l’indifferenza di una parte del mondo in protagonismo attivo.
Per fare questo non basta soltanto la forza del mercato. C’è bisogno di una visione comune. Tra Paesi e popoli diversi. Profondamente diversi. Uniti, tuttavia, da destini difficilmente separabili. C’è bisogno di pensare all’area che va dall’Europa del sud all’Africa, dalla Turchia a Israele alla penisola Arabica, tendenzialmente, come una nuova “soggettività geopolitica”. La visita di cordoglio del presidente Mattarella ad Abu Dhabi per la morte del presidente Khalifa bin Zayed può costituire un primo passo. Un gesto semplice ma straordinariamente forte dal punto di vista politico che incarna l’essenza del ruolo storico del nostro Paese.

Il “Trattato del Quirinale” ha confermato una relazione speciale con la Francia ed, insieme, offre l’opportunità di un progetto comune. Due grandi Paesi europei promotori insieme di una “Convenzione del Mediterraneo”, che chiami a raccolta i governi e sappia parlare ai popoli.
Con la convinzione che sullo sfondo della guerra in Ucraina c’è la crisi di un vecchio assetto. Di un mondo drammaticamente disordinato.
Una pace duratura allude ad un nuovo ordine mondiale in cui convivono cooperazione e competizione. Una cooperazione strategica sui grandi temi che sfidano il pianeta: dalla sicurezza sanitaria alla questione demografica; dai cambiamenti climatici alla lotta al terrorismo. Una cooperazione forte che rende possibile una competizione aperta, anche radicale ma non distruttiva. Impossibile? Un vecchio slogan del ’68 recitava più o meno così: “Siate realisti, pensiamo l’impossibile”.

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