Editoriale

Epicrisi 371. George Orwell 1984/2024

di Sandro Russo

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Ho sussultato – scorrendo gli arrivi della Posta del Sito, tra i pezzi proposti per la pubblicazione -, al vedere il titolo e un nome in un articolo di Vincenzo Ambrosino: George Orwell, il profeta ci aveva avvisati.
Perché Orwell, insieme a Huxley e pochi altri, forse Philip K. Dick e Frederik Pohl sono stati sul versante della letteratura  di fantascienza – chiamiamola genericamente così, ma è improprio, meglio sarebbe dire fantastica, nel sottogenere distopie-ucronie sociali – i “fari” della mia formazione.
Utopìe, distopìe, ucronìe… In letteratura delineano mondi possibili: ideali, cui tendere (le utopie); negativi, spaventosi e indesiderabili (le distopie o contro-utopie); quel che sarebbe potuto accadere se un certo evento della storia fosse andato in modo diverso (le ucronìe) [1].

Era una luminosa e fredda giornata d’aprile, e gli orologi battevano tredici colpi.
Winston Smith, tentando di evitare le terribili raffiche di vento col mento affondato nel petto, scivolò in fretta dietro le porte di vetro degli Appartamenti Vittoria: non così in fretta tuttavia, da impedire che una folata di polvere sabbiosa entrasse con lui.
L’ingresso emanava un lezzo di cavolo bollito e di vecchi e logori stoini.
A una delle estremità era attaccato un manifesto a colori, troppo grande per poter essere messo all’interno. Vi era raffigurato solo un volto enorme, grande più di un metro, il volto di un uomo di circa quarantacinque anni, con folti baffi neri e lineamenti severi ma belli.
Winston si diresse verso le scale. Tentare con l’ascensore, infatti, era inutile.
Perfino nei giorni migliori funzionava raramente e al momento, in ossequio alla campagna economica in preparazione della Settimana dell’Odio, durante le ore diurne l’erogazione della corrente elettrica veniva interrotta.

[George Orwell, 1984Incipit (Milano, Mondadori 2000; traduzione di Stefano Manferlotti)]

Non è quindi per me un interesse recente, e se Vincenzo dice di averlo riletto da poco, io ci sono cresciuto insieme.
Sul sito avevo citato proprio Orwell e Huxley in un articolo pubblicato in occasione della morte di Zygmunt Bauman (1925-2017). La realtà aumentata: comprendeva un mio racconto ‘leggero’ scritto alla maniera di Orwell e parlava di realtà aumentata e di post verità – un’intuizione del filosofo polacco -, accompagnato da un saggio di Marino Niola.
E quand’ero giovane davvero, scrissi anche un acerbo raccontino distopico il cui protagonista si chiamava appunto Winston, come nel libro di Orwell, e la sua rivolta contro il regime oppressivo che aveva bandito la bellezza consisteva nel contrabbandare bulbi di ciclamini, dalla campagna (dove viveva) alla città disumanizzata, per i pochi che, rischiando la vita, potevano apprezzare.

Perché  – e devio leggermente dal filo principale – possiamo pure temere o considerare la cultura come un babau, ma tutto quello che si è realizzato è stato prima sognato e immaginato e poi fatto; molto spesso è stato scritto nei libri. La bomba atomica è stata raccontata nei particolari ben prima che gli scienziati cominciassero a lavorarci (tanto che anni dopo gli occhiuti agenti dei Servizi Segreti andarono a ricercarne l’autore… metti che fosse una spia dei russi! (i tempi erano quelli!) e l’attentato alle Twin Towers dell’11 settembre 2001 si è visto in un film, anni prima che fosse effettivamente compiuto!

Per sconvolgere ancora di più i buoni ponzesi sarà interessante sapere che nel mondo ipotizzato ne La Svastica sul sole del succitato Philip K. Dick [2] il Mediterraneo è stato prosciugato (secondo un progetto realmente partorito durante il nazismo (!), da un certo Herman Sörgel).  E allora che fine avrebbe fatto la nostra isoletta cui siamo attaccati come cozze? Che fine fanno le cozze, senz’acqua salata intorno?

Mappa che descrive l’assetto politico del mondo nella serie TV The Man in the High Castle

Ma se ci si riempie la bocca di Orwell – dopo aver sciacquato bene! –  poi bisogna essere conseguenti e non attribuire a Draghi – mescheniéll’ – il ruolo del Grande Fratello o Big Brother che non è solo il titolo di un format televisivo dei nostri giorni, ma in 1984 il padrone del mondo, che nessuno ha mai visto, anche se si presenta in effigie su tutti i muri, ti spia anche nei tuoi gesti più intimi (quando fai l’amore, o al bagno, per esempio) e condiziona ogni gesto della tua vita, anche quello che pensi.
E Orwell scrisse il libro pensando ai due peggiori (e quasi contemporanei) sistemi totalitari che aveva conosciuto: quello hitleriano e quello staliniano, tanto che la descrizione del volto del Grande Fratello ha i tratti un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.

Per dire dei modi diversi di leggere lo stesso libro… Mentre a Vincenzo ha fatto pensare a Draghi (!), a me ha colpito l’annichilimento della storia d’amore clandestina tra Winston e Julia, e i metodi di tortura per cui gli amanti, una volta scoperti, malgrado la più coraggiosa resistenza, alla fine si tradiscono l’un l’altra [certo è consigliabile leggere o ri-leggere il romanzo (312 pagg. nell’ultima edizione Mondadori del 2019), ma molte informazioni e la trama si trovano su Wikipedia].

O’Brien [il funzionario del Governo in 1984 – Ndr] spiega a proposito della stanza 101: La cosa che c’è nella stanza 101 è la cosa peggiore del mondo. (…) La cosa peggiore del mondo varia da individuo a individuo. Può essere venir seppelliti vivi, essere arsi, o affogati, o impalati, o un’infinità di altre morti. Ci sono casi in cui è una cosa assai più modesta, nemmeno fatale, di per sé e la sofferenza non è mai sufficiente. Ci sono casi in cui una creatura umana resiste al dolore anche in punto di morte. Ma per ognuno c’è sempre qualcosa d’insopportabile… un qualche cosa del quale non si può sostenere la vista. Il coraggio e la paura non c’entrano per nulla. Se si sta precipitando dall’alto non è vigliaccheria afferrare una fune. Se si viene a galla da profondità marine, non è vigliaccheria riempirsi i polmoni d’aria. È soltanto un istinto cui non si può distinguere”.
E per Winston l’insopportabile, quello che lo fa crollare e chiedere che la pena venga applicata a Julia, invece che a lui, è la presenza nella sua stanza 101, di un topo in gabbia – lui che ha il terrore dei topi! – e la minaccia di applicare la gabbia alla sua faccia, con l’apertura verso di lui.

Ora – per tornare alle polemiche dei giorni scorsi e non solo con Vincenzo – pare che il presidente russo non si possa neanche nominare, perché poverino, lui è stato provocato e non aveva altra scelta, ma un despota sanguinario e, per interposta persona, un torturatore e un assassino non dobbiamo andarlo a cercare troppo lontano, nelle vicende di queste ultime settimane. Non è Draghi e non è neanche Biden, malgrado la sciagurata politica estera dell’America, il suo atteggiamento guerrafondaio attuale (cu’ cul’ ’ i llate! – direbbe Giggino, l’amico di Sang’ ’i retunne) e l’inerzia dell’Europa.

Ed è proprio l’Europa l’altro tema “alto” proposto sul sito questa settimana: in due articoli, uno proposto da Enzo Di Fazio: Da Strasburgo la nuova Europa di Mario Draghi; l’altro è Il Requiem di Rumiz per l’Europa. E si capisce perché Patrizia Montani l’abbia proposto “con la morte nel cuore”. Si potrà obiettare che Rumiz è più un poeta che un analista politico, ma ciò è ai miei occhi un motivo di preoccupazione anche maggiore. Ci faceva sognare la sua visione di una casa europea comune, senza barriere che lui ha percorso in lungo in largo (e noi anche sul sito l’abbiamo sempre seguito); ci allarma e ci fa deprimere ora che comincia a dubitare di quel sogno. Anche perché allinea fatti inconfutabili, non palpiti sentimentali.
Da leggere (sul sito) anche un suo articolo a venti giorni dall’inizio del conflitto: La guerra di Rumiz, dai margini della Mitteleuropa; e uno di due settimane successivo: La guerra delle donne ucraine, di Paolo Rumiz; mentre abbiamo omesso per i motivi che abbiamo citato sopra, una biografia su Putin (del 23 aprile scorso su Robinson di Repubblica: Putin e la maledizione di Costantino), peraltro facilmente reperibile in rete.

Dopodomani, per l’attesa ricorrenza solennità nazionale russa del 9 maggio sapremo dal “grand’uomo” di che morte dovremo morire.
Certo non è mai successo nella storia – è la novità degli ultimi sessant’anni circa! – che uno o pochissimi uomini abbiano il potere di cancellare tutta l’umanità – vite umane, arte, storia, letteratura, città, animali, tutti i pesci del mare, gli uccelli del cielo… un pensiero sconvolgente, tanto che evito di pensarci… Ma sta lì, come una spina sottopelle.
Ed è anche questo il motivo di questa epicrisi monotematica: che nient’altro mi sembra importante.
In che mondo ci ritroviamo a vivere! E quanto ne siamo personalmente responsabili!?
…Mi devo ricordare di chiederlo a Vincenzo Ambrosino!
La storia non ci perdonerà, chiosa Franco De Luca. Speriamo che ci sarà, un seguito della storia.

In qualche correlazione con questi temi c’è anche un articolo che ho segnalato io stesso sul sito (da Repubblica): L’America che amiamo. Intervista a John Freeman. Non è un articolo politico, bensì ‘umanistico’ in senso lato e di critica letteraria (il John Freeman del titolo, a me del tutto sconosciuto, è un editor), e il titolo è volutamente provocatorio, dal momento che l’America è un altro tabù dei nostri discorsi: non se ne parla se non per maledirla!

Se cambiamo argomento, troviamo nella settimana diversi articoli interessanti, che cito soltanto:

La saggezza di Anna, nelle guerre tra il lupo e l’agnello, di Giuseppe Mazzella di Rurillo;

L’angolo di Lianella/26. Le guerre… che disastro, di Amelia Ciarnella;

Alla ricerca dei discendenti italiani del Barbarossa, di Fabio Lambertucci;

Pirandello, Serafino Gubbio e la nostalgia, di Sandro Russo.

Poi c’è Ponza, e non viene mai dimenticata, nella programmazione degli articoli, per quanto i ponzesi (con rare eccezioni) siano alquanto restii e “riservati” a parlare (scrivere) di sé e della propria isola. D’altra parte, se l’epicrisi di Giuseppe Mazzella di due settimane fa è stata dedicata solo a Ponza, mi si consentirà di allargare lo sguardo “al resto del mondo”!

Pitbull sugli Scotti, ripreso dalla stampa;

Primo Maggio in musica, di Franco De Luca;

Un’isola, una feluca e un capitano. Una storia vera lunga oltre 200 anni, nelle parole di Genoveffa D’Atri, proposto da Franco Zecca;

Immacolata, di Paolo Iannuccelli;

Riqualificazione di Corso Pisacane, approvato il bando di gara, dall’Ufficio Comunicazioni del Comune di Ponza;

Sul dissalatore, risposta a Sandro Russo, di Piero Vigorelli;

La peculiarità delle isole minori, di Silverio Lamonica;

Una capra in Pretura, di Paolo Iannuccelli;

Recupero ex-carcere di Santo Stefano. Ultimi passaggi (non è Ponza, ma Ventotene, ovviamente).

Cito anche la canzone per la domenica, che viene il più delle volte dimenticata, nelle nostre epicrisi – sarà considerata irrilevante, o frivola… Chissà!?
Domenica scorsa era il 1° Maggio e con la dritta all’ultimo momento di Patrizia Montani abbiano voluto ricordare l’Inno dei Lavoratori e l’Inno dei Lavoratori del Mare: Una canzone per la domenica (194). Per il  1° Maggio.

In maniera inconsueta vorrei chiudere questa epicrisi tempestosa con un articolo della settimana precedente – il 25 aprile Anniversario della Liberazione e il 1° Maggio Festa Internazionale dei Lavoratori sono molto vicini, l’una chiama l’altra…
25 aprile Anniversario della Liberazione
L’articolo contiene uno scritto di Paolo Di Paolo che puntualizza il significato della Festa della Liberazione: dalla guerra, dal nazi-fascismo, e sottolinea come la libertà include quella di esprimere dissenso, come fa qualcuno in commento all’articolo di Rosanna Conte sul 25 aprile, senza rendersi conto che sta spregiando il diritto – per cui molto sangue è stato versato -, di poterne parlar male.

Ma il senso più profondo di richiamare l’articolo della settimana scorsa è il buon auspicio che questo contiene.
– Male e bbene fina vene –  diceva mia nonna.
– Adda passa’ ’a nuttata – diceva Eduardo.
Le liberazioni avvengono… la prova è che se ne festeggiano gli Anniversari!
Anche a quest’incubo seguirà una liberazione (’a speranza!).
Buona domenica.

 

Note

[1] – Sono generi letterari e cinematografici di grande richiamo: giusto qualche esempio: La svastica sul sole di Philip K Dick, la  più classica delle ucronie: “come sarebbe stato il mondo se Hitler avesse vinto la guerra”.

La svastica sul sole, ripubblicato anche come L’uomo nell’alto castello (The Man in the High Castle), è un romanzo ucronico di Philip K. Dick pubblicato nel 1962 e vincitore del Premio Hugo come miglior romanzo nel 1963.

O tra le distopie, la serie televisiva di grande successo:

The Handmaid’s Tale è una serie televisiva statunitense del 2017, ideata da Bruce Miller sul romanzo distopico del 1985 Il racconto dell’ancella, dell’autrice canadese Margaret Atwood (stagioni dal 2017 al  2021 – 47 episodi)

[2]  – Incredibili le coincidenze! Avevo pensato a dedicare questa epicrisi a Orwell già nei primi giorni della settimana (Enzo Di Fazio mi è testimone) e cosa trovo oggi, sabato, nelle pagine culturali di Repubblica? Un articolo di Antonio Monda per il 60° anniversario di uno dei libri che ho citato. Titolo: Se Hitler avesse vinto la guerra

Qui il relativo file in formato .pdf: A. Monda. In Repubblica del 7 apr. 2022. Se Hitler avesse vinto la guerra

[3] – Sempre della serie “…ma non ci posso credere!” mi è passato stamattina sotto gli occhi (o meglio per le orecchie), un podcast di Enrico Franceschini, grande giornalista, che rileva una analogia della terminologia del Grande Fratello russo con la neolingua di 1984, in particolare nella dizione “Operazione militare speciale”, per indicare la guerra in corso:

https://www.repubblica.it/onepodcast/repubblica/2022/04/13/audio/1_il_grande_fratello-9167910/?ref=RHTP-BD-I334533600-P19-S1-T1

https://www.repubblica.it/podcast/storie/il-terrore-di-putin/stagione1/

1 Comment

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  1. vincenzo

    8 Maggio 2022 at 10:42

    Secondo Albert Camus “L’uomo non è disposto a sacrificare la propria libertà neanche per un ideale politico. Non accetta quel conformismo di convenienza ed invita ogni essere umano pensante a non lasciarsi piegare dalle nuove dottrine. In rivolta sempre, ma mantenendo intatto il proprio spirito critico.”

    Caro Sandro,
    Il capolavoro di Orwell la cui critica è diretta all’Unione Sovietica e che diventa profetica oggi se diretta – non a Draghi, che è solo un esecutore materiale di ordini precisi – ma al nuovo tentativo di ordine mondiale imposto dal capitalismo finanziario post 1989.
    In quel libro si parla di un’immensa massa immiserita neo plebea chiamata i “prolet”. Viene annientata ogni classe sociale oppositiva, e tutti gli annientati subiscono in silenzio, diventano gli schiavi ideali, manovrati e senza coscienza. Sparisce la classe operaia, sparisce la classe media e anche la borghesia imprenditoriale.
    Si va a costituire una società piramidale, al cui vertice abbiamo l’apparato burocratico di dominio, con il “grande Fratello” e in basso abbiamo questa massa informe di individui ubriachi e inutili, che non lavorano, né producono, né pensano, ma vegetano come pecore all’ovile.

    Il nuovo ordine mondiale post 1989 sta assumendo una fisionomia di questo tipo.

    Si sta procedendo a distruggere il ceto medio, borghese e imprenditoriale. Non vi è più la classe operaia che orgogliosamente rivendicava i suoi diritti. Abbiamo una massa “neo-plebea” che è esclusa alla partecipazione e alla costruzione attiva della comunità nazionale e sovranazionale. In queste condizioni la massa si rassegna e comincia a pensare come far piacere al potere stesso. Sta avvenendo sotto ai nostri occhi: milioni di persone che parlano la stessa neo-lingua del potere.

    Le Riforme di Monti, di Letta, di Renzi, di Draghi devono essere lette in chiave orwelliana, come sottrazioni di beni comuni ai danni dei dominati quelli che potranno diventare i “prolet” di domani. Riforma del lavoro “Jobs act” dove si attacca le residue resistenze dei lavoratori e poi con azione a tenaglia attaccano il vecchio ceto medio con usura bancaria, e distruzione creativa.

    La nuova aristocrazia non vive di lavoro ma di speculazioni finanziarie, per cui non crea lavoro e distrugge le classi medie, lavoratrici ma anche borghesi.

    Queste classi sociali, erano legate alla economia reale fatta di produzione e lavoro, legate ai territori. Anche nel conflitto di classe condividevano valori costituzionali e storici culturali.
    Negli anni 60 c’era uno scontro tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista per modelli di sviluppo e di società in cui al centro c’era la famiglia, i lavoratori, gli interessi di classe borghesi. Bisognava scontrarsi, mediare, manifestare, fare le leggi. Si competeva tra partiti per chi aveva soluzioni migliori, per chi conquistava più consenso popolare. Vedevi manifesti “La DC difende la famiglia” ma anche all’opposto :“Vota comunista difendi la famiglia”
    La famiglia, oggi, è un vecchio arnese borghese e proletario che non interessa all’aristocrazia finanziaria.

    Questi stanno creando l’uomo sradicato, singolo, solo: “non esistono le comunità esistono solo gli individui” diceva Margaret Thatcher. Il rapporto tra una madre e un figlio non può essere svilito da una relazione “ti do mi dai” essenzialmente utilitaristico, ma questo sta avvenendo. L’aristocrazia globale ci vuole così: individui senza classe, senza nazione, senza patria, senza famiglia, nomadi sradicati ad accettare passivi il verbo mercantilistico. La propaganda televisiva e giornalista amplifica la “parola” che si muove senza frontiere, senza dogane, senza sicurezza per affermare “la libera circolazione delle merci e delle persone”. Tutto diventa uguale, si appiattisce, si impoverisce. Non ci sono culture, differenze, diversità tutto si omologa.

    E assistiamo ipocritamente indignati o falsamente scandalizzati a vedere i nuovi “prolet” che si muovono spinti da correnti che non comprendiamo.
    Ecco l’immigrazione di massa, la delocalizzazione, l’annullamento dei diritti acquisiti, l’abbassamento unilaterale dei salari dei lavoratori, la precarizzazione della manodopera, la siringatura di massa, la tessera verde.

    Chi resiste come Winston sarà sospeso dal lavoro, non potrà muoversi, dovrà pagare, non verrà curato e quando rientrerà a lavoro verrà relegato nei bassofondi, umiliato fino alla sua capitolazione. Non si può resistere al grande fratello.
    Sta avvenendo sotto i nostri occhi tutto questo e tant’altro.

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