Teatro

P il figlio del secolo

di Tano Pirrone

Inseguo lo spettacolo M il figlio del secolo [1] da quando stava in cartello a Milano; poi, giunto a Roma, all’Argentina, posti bloccati, vivaddio, e a prezzi ben ridotti; poi interruzione spettacoli per malattia attori e data saltata – eravamo in sei, tutto il gruppo PAPATANGS: non dirò nulla su questo, non svelerò i nomi dei miei sodali, neanche sotto tortura, non insistete, per favore! Poi una data per recuperare, ma a prezzi praticamente di listino; stamattina, il busillis, che fare? Accettare il prezzo completo oppure lasciar perdere?

Vien fuori, intanto, la denuncia presentata contro Popolizio, l’M della recita (e tanta altra magnificenza in passato). Un tizio ha ricevuto un pugno in faccia dall’attore, all’interno di un mercato coperto. Il naso del tizio è stato dichiarato riparabile in 15 giorni ed il padrone del naso ha presentato denuncia (intanto, oddio, mi è venuta voglia di rileggere per l’ennesima volta il racconto omonimo di Nikolaj Vasil’evič Gogol’ [2], che ho in una magnifica edizione Mondadori [3], che raggruppa tutti i capolavori dello scrittore russo… ops… ucraino… ops… nostro, di tutto il mondo, per sempre ed anche di più! Ed ho pure – ascoltate gente – in una splendida edizione, connubio felicissimo fra Scuola Holden e La Biblioteca di RepubblicaL’Espresso, edito nel 2010: La storia de Il Naso, raccontata da Andrea Camilleri e illustrata magnificamente da Maja Celija [4]).

Ma tornando velocemente – ma non felici – dalla storia alla cronaca, vediamo con esattezza che cos’è successo: l’attore sarà processato da un giudice di pace di Roma per una “presunta” aggressione ai danni di un uomo, avvenuta in un mercatino dell’usato della Capitale. La notizia sta rimbalzando di quotidiano in quotidiano e di agenzia in agenzia e, stando a quanto si scrive, Popolizio avrebbe sferrato un pugno in faccia a uno sconosciuto, causandogli ferite che sono state giudicate guaribili in quindici giorni. L’udienza è stata fissata il prossimo 17 giugno e Popolizio dovrà rispondere dell’accusa di lesioni personali. L’accaduto risale al 23 gennaio del 2021; il diverbio sarebbe nato a causa di un gesto compiuto dalla vittima, che si era abbassata la mascherina temporaneamente “per soffiarsi il naso”. Popolizio avrebbe attaccato l’uomo, “colpendolo con un pugno al volto, cagionandogli lesioni” al bulbo oculare.

Ho quasi deciso di non andare a causa dell’eccessivo prezzo (non in assoluto, ma in relazione alla triste congiuntura in cui siamo impelagati), e inoltre, se dovessi comportarmi come tante altre anime belle, avendo Popolizio colpito un uomo con un atto violento procurandogli lesioni personali (e chissà anche tempeste ormonali e sconquassi psicologici) dovrei comportarmi da “contemporaneo”, boicottando lo spettacolo. Senza neanche aspettare la sentenza del giudice di pace. Ma anche senza sentenza, penso, un biglietto parzialmente scontato alla troupe non arrecherà nessun danno, invece a me, appassionato di teatro, di storia e sempre grato a Popolizio per tutte le sue interpretazioni [5], a me sì che arrecherà danni!

E poi, diciamola tutta, chi sono io per giudicare? Un atto improprio, anche violento, può sempre verificarsi; non sempre tutti in ogni momento abbiamo il necessario autocontrollo [6], siamo uomini o caporali [7]? E se anche fosse? Insomma sono nel mezzo di un dubbio esistenziale da cui devo uscire, ma non so come…
Mi chiedo allora, come fece un tempo Nanni: «Mi si nota di più se sono à la page e non vado, o se seguo il mio sgualcito codice e vado?»

Note

[1] – Adattamento in trenta quadri del romanzo storico di Antonio Scurati (2018), lo spettacolo ha una struttura circolare, che si apre con l’ultima battuta del libro per poi tornare a quella stessa fatidica frase pronunciata in Parlamento da Mussolini al momento di “addossarsi la croce del potere”: Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere. Senza offrire un concentrato dei fatti storici, il testo teatrale intende portare in scena una rappresentazione dell’affermarsi del fascismo. «È una staffetta tra diciotto attori – spiega Massimo Popolizio – che, lontano da ogni retorica, porta all’attenzione del pubblico il ritmo incalzante di una scalata al potere, avvenuta in un momento di profonda debolezza di istituzioni e partiti». È una storia che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra, con l’impresa di Fiume, il basculare del paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dello squadrismo, la rocambolesca Marcia su Roma (di cui nell’ottobre del 2022 ricorre il centenario) e l’inesorabile efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta. Protagonisti ne sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, che si esprimono in terza e prima persona, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della Grande Guerra e tutta una nuvola di individui venuti dal basso. Protagonista è l’intera comunità nazionale, “il paese opaco”, quasi che il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”.

[2] –   Gogol’ġòġël‘⟩, Nikolaj Vasil´evič. – Scrittore russo (Soročincy, Poltava, 1809 – Mosca 1852). È stato tra i maggiori narratori del 19° sec.: i suoi racconti di Večera na chutore bliz Dikan´ki (“Le veglie alla fattoria presso Dikan´ka”, 1831-32) riflettono l’amore per il folklore ucraino, mentre in altri scritti G. prende la burocrazia a emblema del carattere oppressivo del mondo moderno. Vastissima risonanza ebbe Mërtvye duši (“Le anime morte”, 1842), in cui G. descrive le peregrinazioni dell’avventuriero Čičikov per la provincia russa. Benché realistica nel suo fondamento, l’opera di G. si distingue da quella di altri realisti russi per la ricchezza dell’inventiva e la bizzarria dell’immaginazione; la sua prosa è intensa, ricca di cadenze ritmiche e di effetti acustici, il linguaggio è sempre smagliante e denso di qualità pittoriche. (treccani.it)

[3] –   Gogol’ – I capolavori – Oscar Mondadori – Collana grandi classici – 2008 – a cura di Serena Prina

[4] Maja Celija è un’illustratrice slovena, cresciuta in Croazia, vissuta a Milano, ora risiede a Pesaro.

[5] – Compreso l’audiolibro regalatomi da una carissima amica, che è stato compagno di viaggio per tutta l’estate del 2020: Il Rosso e il Nero di Stendhal, Edizioni Emons, Collana Classici.

[6] – Per quelli che hanno studiato: self control.

[7] – Il riferimento al film Siamo uomini o caporali del 1955 diretto da Camillo Mastrocinque e interpretato da Totò e Paolo Stoppa in due rispettivi ruoli contrapposti: l’uomo e il caporale, è evidente e voluto: da una parte Paolo Stoppa che ricopre tutti i ruoli del “caporale”, mentre Totò è sempre lui, inerme cittadino sottoposto a tutte le angherie piccole e grandi del potere costituito. L’espressione era stata usata da Totò in un film precedente Totò le Mokò, per la regia di Carlo Ludovico Bragaglia, 1949.

 

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