Foto

Storie di guerra. La mamma che non ce l’ha fatta

proposto da Enzo Di Fazio

Ho sempre dato valore e importanza alla fotografia documentale, quella che con uno scatto ha la capacità di raccontare la storia. E di tramandarla in modo da non essere più dimenticata. Le immagini che impressionano di più sono quelle che raccontano di esodi, di fughe, di sofferenze, di distruzioni, le immagini vere come quelle che vengono in questi giorni dall’insensata guerra che si sta combattendo in Ucraina.
Ce n’è una che è passata nei giorni scorsi sulla stampa e di cui si è tanto parlato perché legata al bombardamento dell’ospedale pediatrico di Mariupol
E’ la foto di quella giovane donna che sta per diventare mamma e che portata in barella da quattro soldati cerca con le mani sul ventre di proteggere il suo bimbo.

E’ una foto che ha fatto il giro del mondo per la sua carica emotiva e per la capacità di dare senso alla vita che si ribella alla guerra riponendo la speranza nella nascita imminente.
Ritorna oggi quella foto, su Repubblica, come immagine simbolo a raccontare una storia che non avremmo mai voluto sentire.
Purtroppo quella mamma non ce l’ha fatta e con lei il bimbo che portava in grembo.

Da Repubblica di oggi 15 marzo l’articolo Bombe sull’ospedale, la mamma in barella non ce l’ha fatta di Enrico Franceschini

Ci sono immagini che valgono più di mille parole. Alcune raccontano una guerra intera. L’elmetto di un soldato americano che sbuca dall’acqua durante lo sbarco in Normandia, nello storico scatto di Robert Capa. I bambini che piangono in una strada del Vietnam dopo un bombardamento al napalm, ripresi da Nick Ut. La ragazza afghana che guarda cupa l’obiettivo di Steve McCurry.


Un’istantanea dallo sbarco in Normandia (foto di Robert Capa)


Bambini vietnamiti dopo un bombardamento al napalm (foto di Nick Ut)


Ragazza afghana (foto di Steve McCurry)

La fotografia della donna incinta, stesa su una barella insanguinata, le mani sul ventre per protegger il figlio che ha in grembo, trasportata fuori dalle macerie dell’ospedale di Mariupol colpito dai razzi russi, è un’altra icona dello stesso genere, firmata da un reporter ucraino, Evgenij Malotecka.

Mariupol, foto di Evgenij Malotecka

Non sappiamo ancora come si chiamasse lei, ma adesso sappiamo che non ce l’ha fatta: è la quarta madre spirata nell’attacco. Poco dopo averla estratta da quel che restava dell’edificio, i medici le hanno comunicato che il bambino era morto nonostante il disperato tentativo di salvarlo con un cesareo. “Quando ha capito”, riferisci ai cronisti il dottor Timur Martin, “ha implorato di essere uccisa, subito. Poi il suo cuore si è fermato”

Una trave le aveva schiacciato lo sterno e spezzato un’anca, nella stanza d’ospedale centrata dal missile di precisione lanciato dalle forze di Mosca contro una città assediata da 400mila persone, allo stremo delle forze, in cui la gente beve l’acqua delle pozzanghere per sopravvivere e da dove il Cremlino ha ieri lasciato uscire appena 160 automobili.
Davvero mancano le parole per descrivere questa “Madonna con bambino” ucraina: forse si può evocare solo il “Pietà l’è morta”, canto partigiano riadattato da Nuto Revelli, in tempi recenti ripetuto davanti alle tragedie dei migranti affogati. Ma qui c’è più di una tragedia: c’è il disegno omicida di un leader indagato per crimi di guerra. Putin fa dire ai suoi ministri e portavoce che quell’ospedale di Mariupol nascondeva formazioni neonaziste: altro che mamma e bebè.
Passi che lo dica Putin, il peggio è che lo ripetano sui social e in tv anche alcuni italiani. Vergogna

 

in formato .pdf  articolo di Enrcio Franceschini da La Repubbloica del 15 marzo 2022-convertito

1 Comment

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  1. La Redazione riporta un commento di Stefano Massini

    20 Marzo 2022 at 09:15

    Dalla sua rubrica su Robinson: “Manuale di sopravvivenza
    La guerra connessa che Putin non ha calcolato
    di Stefano Massini

    La donna incinta colpita dalla guerra a Mariupol non è sopravvissuta. Lo apprendiamo da siti e giornali di tutto il mondo. Ma ipotizziamo tre diversi scenari.
    Il primo è di una guerra antica, laddove si intenda per antichità tutta la decimillenaria presenza umana sulla terra fino all’inizio del XX secolo: in quel contesto bellico, la ragazza sarebbe stata una delle infinite vittime civili di un conflitto, e come tale sarebbe rimasta ignota alle masse.
    Il secondo scenario è quello di una delle due guerre mondiali novecentesche, in cui bombardamenti e stragi iniziavano a essere fotografate e timidamente filmate. In quel caso, nella migliore delle ipotesi, la ragazza avrebbe potuto imbattersi in un Hitchcock alle prime armi (in tutti i sensi) che magari l’avrebbe inserita in un fotogramma. Niente di più.
    Terzo scenario e ultimo è invece quello del 2022, ovvero un conflitto in ogni attimo ripreso e rilanciato da migliaia di telecamere e milioni di smartphone, con la conseguenza che tutto ciò che accade si traduce all’istante nella sua stessa narrazione, e dunque una altrimenti ignota ragazza in gravidanza si trova, con la propria tragica morte, a incarnare il non-senso dell’invasione russa. La sensazione è che, incomprensibilmente, zar Putin tutto questo non lo avesse messo in conto: l’Ucraina non è la Cecenia di 20 anni fa, definita dalla Politkvoskaja come un ripostiglio del mondo in cui spargere sangue e morte senza dare nell’occhio, bensì una ribalta mediatica da cui tutto rimbalza su monitor, display e tv del pianeta.
    In una guerra neo-zarista, la vera variabile è questa. E incide, come e più, delle sanzioni.

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