Ricorrenze

Il ratto delle Sabine

di Pasquale Scarpati

Un contributo e un omaggio mooolto personale (certo non di maniera) di Pasquale alle donne in occasione della Festa della Donna [cfr. la nota dell’Autore in post-fazione, nota (1)]

Una volta, mentre navigavo sulle sue acque limacciose, il flavus Tiber (er biondo) mi raccontò questa storia.

Ab Urbe Condita: 21 di aprile dell’anno 753 a. C.
Romolo era un giovane volitivo ma un po’ rozzo (figlio del suo tempo) e un po’ irruento. Ricevuto in dono dal nonno Numitore un pezzo di terra per fondare una città, decise di aprire il solco con l’aratro sul colle Palatino. O per meglio dire su una cima di detto colle che era formato da tre parti: Palatium, G(C)ermalus e, ma più giù, il Velia.

Per soddisfare questo suo ardente desiderio lo stesso nonno gli donò – così come sanno fare tutti i nonni con i nipoti – sia l’aratro che il toro nero e la giovenca bianca. Scelto il luogo, il giovane, in collaborazione con altre persone fidate, si diede da fare: incendiò la meravigliosa e rigogliosa macchia mediterranea, abbatté alberi secolari, estirpò ogni erbaccia, distrusse nidi di uccelli, ammazzò tutta la selvaggina; insomma fin da allora fu di esempio ai suoi discendenti.
Così, dopo avere compiuto ogni sorta di scempio, finalmente tracciò il famoso solco.

Romolo e Remolo (citazione)

Il fratello, Remo, forse invidioso e geloso, vedendo che, come si suole dire, l’erba del vicino è sempre più verde o, per meglio dire, era tutto più pulito, lo scavalcò. Lui, senza troppi riguardi nei confronti del fratello, d’impeto lo uccise.
Non solo non si pentì dell’insano e cruento gesto perpetrato contro il suo stesso sangue ma inveì anche contro di lui.
Da questo episodio si può arguire che fosse un vir bonus, pacificus et hospitalis. Pertanto invitò tutti quelli che occupavano le grotte nelle vicinanze a risiedere entro lo spazio delimitato dal solco.

Chi occupava quelle grotte?
Erano forse poveri monaci eremiti che fuggivano la vita corrotta del tempo? Era forse gente pacifica, onesta e buona che si nascondeva colà per sfuggire alle ingiustizie del mondo?
Macché! Erano uomini barbuti e puzzolenti che non si cambiavano di abito se non quando spogliavano qualche ricco mercante Etrusco che, incauto, osava passare per quei luoghi selvaggi per raggiungere le città della Magna Grecia a Sud oppure per fermarsi da parenti o amici che cominciavano ad insediarsi sul vicino colle chiamato Celio da una ricca famiglia etrusca.
In pratica erano: delinquenti, banditi e briganti avvezzi ad ogni tipo di saccheggio. Cucinavano in modo rozzo e sempre le stesse pietanze. Soffrivano, poverini, per l’assenza delle donne che tra l’altro erano maestre in cucina, sapevano rammendare i vestiti, accudivano alle faccende domestiche e allevavano i figli avuti da loro o da altri. Insomma già da allora quelli sapevano bene e/o intuivano che la donna era il fulcro di tutto. Ne avevano disperato bisogno. Avevano freddo e fame. Tornando a casa (allora antrum vel tugurium) non trovavano neppure il fuoco acceso e neppure era acceso l’altro fuoco – ’a furnacella – quello che riscalda le notti lunghe e tenebrose.

Tugurium

I poverini si radunavano intorno a Romolo e gli chiedevano conforto come ad un dio. Sere lunghe e notti vuote. Romolo, per risollevarli, pensò di organizzare una festa e di invitare le popolazioni vicine. Ma come allestire una festa?
Canti e balli? Cembali e cornamuse o il flauto di Pan? Quegli uomini rozzi sapevano suonare? Quali suoni sarebbero usciti dalle loro labbra? Suoni rozzi e striduli.
E cosa avrebbero cotto per onorare la festa? Pop corn e patatine? Giammai!
Per correttezza storica avrebbero catturato ed ucciso dei cinghiali e poi li avrebbero arrostiti alla meno peggio allo spiedo! Una donna che, da quelle parti, mercanteggiava… a modo suo, disse loro come fare e/o si adoperò lei stessa. Quelli furono talmente entusiasti che sognavano le donne notte e giorno.

– Ah! se le avessimo con noi..! – pensavano – Potremmo andare a caccia e a sbevazzare liberamente lasciando a loro tutte le altre onerose incombenze. Eventualmente la notte potrebbero consolarci un pochino e poi da loro potremmo avere anche dei figli a cui trasmettere la nostra ricca esperienza… di briganti. Tanto sono loro che soffrono e rischiano per metterli al mondo. A noi che ce ne importa. Morta una ne troviamo un’altra. Noi, con la scusa di difenderle, teniamo le armi e facciamo come ci pare. Sarebbe, sicuramente, una vita più comoda per noi… poveri briganti. Così pensavano i poverini. E da briganti agirono.

Su un colle lì vicino, chiamato Quirinale, abitavano i Sabini della tribù dei Quiriti. Era un popolo più sofisticato, amante del lusso e delle mollezze. Ma, come tutti quelli che vivono nel benessere, erano anche piuttosto ingenui, rapportando tutto e tutti al loro modo di vivere. Avevano sentito parlare di uomini aitanti e nerboruti ed erano curiosi di conoscerli.
Fu così che vedendo su un colle non molto lontano dei bivacchi e annusando, portato dal vento, un certo profumino, spinti dalla curiosità scesero in massa dal loro colle. Uomini e donne, giovani, vecchi e bambini si avviarono verso il Palatino senza alcuna difesa e accorgimento… come se andassero a trovare vecchi amici.

Quelli li accolsero festosi e li invitarono a sedersi, ma per terra o sulle pietre, ed a mangiare pezzi di cinghiale tagliati grossolanamente, cotti senza spezie ed anche mezzi crudi. Non mancava il vino, piuttosto aspro e ’mpognapiéde, anzi di quello ne scorreva a fiumi e con lo stomaco quasi vuoto dopo un po’ cominciò a produrre i suoi effetti.
Gli ospiti briganti sghignazzavano vedendo che i Quiriti-Sabini piano piano erano presi dai fumi dell’alcool. Li invitarono a passare la notte lì. – Per andare a casa vostra – dissero – dovete passare il bosco pieno di lupi (forse pensavano già a Cappuccetto Rosso). Restate con noi!

Una scena da Romulus (produz. Sky)

Qualcuno dei Sabini che si era già alzato per andare via, fu trattenuto, strattonato ed invitato a sedersi. Poiché quello oppose resistenza, fu ucciso senza tanti complimenti. Fu l’inizio della strage. I poveri Sabini furono quasi tutti eliminati fatta eccezione per le donne possibilmente giovani. Ma nella confusione e alla fioca luce della fiamma che oramai si era consumata non si riusciva più a distinguere le giovani donne da quelle un poco più avanti in età. Insomma si fece di tutt’erba un fascio.
Ognuno se ne prese una o più di una e se la portò a viva forza nella grotta o nella capanna (come sopra). Qualche giovanotto Sabino che si era allontanato per un bisogno corporale riuscì a sfuggire a una simile strage. Vagò tutta la notte nel bosco e finalmente, sul fare dell’alba, raggiunse la meta: il Quirinale. Qui lo attendeva, ansioso, il re Tito Tazio il quale allestì celeriter, propediem…, un esercito e con quello si diresse verso il colle dei briganti.
Costoro sicuramente stanchi per la duplice fatica e per aver trascorso una notte insonne, non ressero all’urto degli inviperiti Sabini. Alcuni, tutti nudi, fuggirono precipitosamente disperdendosi qua e là nel vicino bosco. Pochi opposero resistenza. I più, invece, si rifugiarono nelle loro grotte o capanne ed ivi si nascosero. Alcuni di loro, terrorizzati e tremanti, avendo perso ogni baldanza… brigantesca – perché una cosa far parte di un branco ed un’altra cosa stare da soli – chiesero aiuto proprio alle donne che poco prima avevano rapito e violentato.
Queste, fieramente, noncuranti delle probabili vendette o dicerie dei loro parenti, si portarono sugli usci delle capanne o delle grotte mostrandosi ai loro congiunti che erano venuti a salvarle o a fustigarle a causa della loro ingenuità.  Molte di loro corsero ad abbracciare i parenti venuti in loro soccorso, ma altre, alla domanda se volevano tornare a casa sul Quirinale o rimanere lì, risposero che oramai appartenevano ai nuovi uomini. Freud  (tal Freudus al tempo) ha congetturato che non si sa se lo dissero per la vergogna di essere state violentate o perché avevano ritenuto i nuovi uomini più soddisfacenti dei precedenti. In tutti i… sensi.

Quindi pur essendo stati i Quiriti vittoriosi in battaglia, le donne pretesero che si giungesse ad un accordo. Fatto sta che i Sabini, ed in primis Tito Tazio, rimasero stupefatti di un simile atteggiamento anche perché non conoscevano ancora Freud. Ma accettarono la proposta di quelle donne valorose. Giunsero, pertanto ad un accordo con quelli che poco prima avevano bastonato.
Però rifiutarono categoricamente quelli che, vigliaccamente e nudi, si erano andati a nascondere nei boschi in mezzo ai nodosi rami (bastoni). Infatti da quel momento per essi coniarono il termine imbecillus che vuol dire: nascondersi, come un nudo verme, dentro il bastone. Anche se qualcuno di loro, nella confusione e alla chetichella, si riunì al gruppo facendo finta di niente.
Venne Romolo con la spada in mano che voleva difendere la sua donna, considerata già come una sua proprietà, ma in quel momento sopraggiunse anche il brigante Camillo che ebbe da ridire perché a lui era capitata una donna un po’ attempatella (foemina senes). Quella, chiamata ad esprimere un suo parere, si espresse così: – Io, Fortunata di nome e di fatto, voglio essere la sposa di Camillo. Il perché non lo dico… ma lui mi deve accettare. Camillo, a sua volta, messo davanti alle sue responsabilità non poté non accettare anche se il viso era un po’ contrariato.  A questo punto tutti risero di gusto e si fumò il calumet della pace. Ma i vincitori vollero la loro soddisfazione. Essi nelle iscrizioni ufficiali avrebbero preceduto gli sconfitti.
Così si scrisse a lettere cubitali: S.P.Q.R. Che viene così tradotta. In primis la “S”: il Senato (cioè gli anziani. Cioè, guarda un po’, l’esperienza, già presa in considerazione in quei tempi sia pur rozzi); a seguire la “P”:  il Popolo ( cioè la massa di uomini in armi che provvedeva al… saccheggio: prerogativa dei briganti); poi la “Q” (i Quirites, cioè essi stessi: i vincitori) ed infine “R”, i Rumon (i fiumaroli, i barcaroli latini: gli sconfitti). Perché, in seguito, quella Q è stata, di solito, interpretata come congiunzione: que (enclitica), perché la città prese il nome dagli sconfitti (i Rumon), e perché si parlò la temuta lingua latina (da cui è nata tra le altre lingue anche la nostra)… beh, tutto questo fa parte delle “stranezze” della storia che esula da questa.
Chi lo vuole sapere vada ad interrogare gli Etruschi che si andavano ad insediare, come già detto, sul Celio. Perché quelli ne sapevano una più del demonio.

Poi, però, come avviene in tutte le famiglie, sorsero dissapori ed incomprensioni soprattutto con Romolo, il più testardo e veemente, che in una tempesta sparì dalla circolazione. Qualcuno disse che era stato tirato in cielo per i capelli (che erano fluenti ma pieni di pidocchi), un altro disse che la tempesta aveva spazzato via tutto ma il solito che parla dei cambiamenti climatici disse che era stato risucchiato da un violento tornado – coda zefirae – di quelli che già da allora gironzolavano da quelle parti.
Quindi, fin da allora, si cominciò a parlare, parlare e parlare… e si profetizzò – un certo aruspex di quelle parti – che su quei colli (che si estesero a sette) sarebbero sorti palazzi, anfiteatri, teatri, basiliche e chiese, archi di trionfo, colonne e fontane (e fontanelle). Si parlò di uomini a cavallo, di giuristi, ingegneri e agrimensori, scrittori e filosofi. Si disse che sarebbero state costruite: strade lastricate, o ricoperte di asphaltus et cementus ed anche acquedotti (soprattutto acquedotti); il vecchio aruspice parlò poi di scatole di ferro che camminavano da sole, di uccelli di ferro che volavano nel cielo, di tubi da cui uscivano colonne di fumo nero; parlò anche di smog e di polveri sottili… ma guardandosi intorno, si accorse che molti erano andati via; molti si erano addormentati; le donne avevano ripreso il loro faticoso ménage quotidiano al servizio di vecchi e nuovi mariti.

Romolo, a sua volta, era così “ben voluto” anche dai suoi stessi compagni, che, dopo essere sparito, per la vergogna cambiò nome. Lo chiamarono infatti “Quirino” e, a somiglianza degli dei dell’Olimpo, assunse a sua dimora una strano scatolone galleggiante in mezzo al mare.
Per questo – ha detto il solito buontempone – da bianco è diventato tutto nero!?
Ma di chi o cosa parla costui !?

Tornando a noi… Chi l’avrebbe mai detto che la civiltà occidentale sarebbe nata per merito, virtù e soprattutto per il sacrificio delle donne? Ci avete mai pensato?
E in questo triste momento avete mai pensato che essa è sorta anche dalla sinergia di tre popoli (Etrusco, Latino e Sabino)?

La nave, intanto, scivolava lentamente mentre il vecchio Fiume raccontava, sottovoce, queste incredibili storie a un tal Pasquale giunto per caso da quelle parti.


Note

(1) – Volevo solennizzare a modo mio la Festa della Donna… Sono partito da Varrone e Tito Livio per poi immaginare… tra passato e presente. Ovviamente è una contaminazione. Un po’ alla maniera dei film “storici” di Totò (ricordo Totò e Cleopatra..! …mi divertivo tanto!).  Tutto parto di fantasia, fatta eccezione di alcune cose: i luoghi, le epigrafi, i personaggi principali anche se leggendari (Numitore, Romolo e Tito Tazio) (post-fazione dell’Autore).

(2) – Le immagini che corredano l’articolo, (tranne quella del Quirino, ovviamente) sono tratte da Il primo re, un film del 2019 diretto da Matteo Rovere.
Ambientata nel 753 a.C., anno di fondazione di Roma secondo la tradizione, la pellicola è una rilettura del mito della fondazione di Roma, girato nei luoghi della leggenda e in lingua protolatina antecedente a quella arcaica, che si è avvalsa della collaborazione di archeologi e etruscologi. Lo stesso regista ha anche curato una serie televisiva (per Sky) Romulus, sullo stesso tema (nota del curatore)

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