Ambiente e Natura

La riscoperta dei vini di Ponza, di Massimiliano Rella

segnalato da Enzo Di Giovanni

 

Le vigne della cantina “artigianale” di Trattoria Monte Guardia davanti alla Parata degli Scotti a Ponza

da vigneviniequalità.edagricola.it  testi e foto di Massimiliano Rella

Una manciata di ettari di vigneti protetti dai progetti di recupero dell’Arsial e ora epicentro di un rinascimento enoico con produttori storici e nuovi che si confrontano sull’interpretazione più autentica del Biancolella e degli altri vitigni originari o adottivi delle isole pontine

La viticoltura eroica delle isole è una piccola nicchia del vigneto nazionale che merita tutela, vuoi per la qualità dei vini, vuoi per la varietà e il valore paesaggistico di questi territori estremi: con pendenze, terrazze, impossibilità di meccanizzare, plus di lavoro, etc.

A Ponza, però, nuovi e piccoli produttori crescono su un’isola dove pochi anni fa l’Arsial (Agenzia Regionale per lo sviluppo dell’Agricoltura del Lazio) aveva sostenuto un progetto di recupero dei vitigni minori, in primis la varietà biancolella, origine campane ma ormai adattatasi e considerata “autoctona”, quindi iscritta nel Registro nazionale delle varietà di vite. Insieme agli altri vitigni adottivi Ponzesi (piedirossoforastera e guarnaccia) la biancolella è inserita anche nel Registro volontario regionale delle risorse genetiche a rischio d’erosione.


L’isola di Ponza all’orizzonte

Il recupero dei vigneti abbandonati
In collaborazione con il Comune di Ponza (Latina) l’Arsial ha poi promosso il recupero delle superfici vitate abbandonate; che oggi nello schedario viticolo non superano comunque la manciata di ettari ma che oltre un secolo fa erano addirittura 300. Appannaggio, tra l’altro, delle donne, visto che gli uomini erano più impegnati nella pesca.

I produttori che ci credono
Pur essendo la viticoltura eroica un grosso punto interrogativo, nel frattempo sull’isola al largo delle coste laziali qualche risultato è arrivato, ad esempio la presenza d’importanti cantine della terraferma. Dal Lazio l’azienda Casale del Giglio del produttore Antonio Santarelli, che fa un vino bianco di qualità con le uve di una vigna in località Faro della Guardia, grazie a un progetto di ricerca avviato nel 2010 (www.casaledelgiglio.it).
Dalla Campania l’azienda agricola Marisa Taffuri che con le uve coltivate a Ponza produce due etichette, un bianco blend di biancolellasauvignon e malvasia e uno spumante “mediterraneo” (www.marisataffuri.com).


Grappoli di biancolella nella vigna a pergola delle Antiche Cantine Migliaccio

Le radici sull’isola
L’ultimo arrivato, anche se in realtà si tratta di un ritorno, è il giovane enologo 34enne Giuseppe Andreozzi, originario di Ponza, laureato all’Università viterbese della Tuscia e un curriculum di stage ed esperienze con i Cotarella alla Falesco e adesso a Casata Mergè, zona Castelli Romani. La prima vendemmia del neo-produttore con il marchio Tre Venti, dal nome di una località dell’isola, risale al 2020: appena 800 bottiglie, una stima d’arrivare a 2mila con la vendemmia 2021 e un potenziale di crescita a 4mila quando l’intero vigneto entrerà in produzione; circa 1 ettaro, il totale di quattro appezzamenti recuperati su terreni terrazzati un tempo appartenuti ai nonni, poi caduti in abbandono. E oggi coltivati principalmente a biancolella, più fianofalaghina e varietà a bacca rossa piedirossomerlotcabernet e sangiovese.

Migliacccio, ponzese doc 100%
Ma parlare di vite e vino a Ponza non può prescindere dalle Antiche Cantine Migliaccio, l’azienda apripista e più importante, l’unica che imbottiglia sull’isola e le cui origini segnano la parabola della vitivinicoltura Ponzese (www.antichecantinemigliaccio.it). Quando infatti nel 1734 Carlo di Borbone colonizzò l’arcipelago Pontino assegnò ai coloni partenopei appezzamenti di terra in formula di “enfiteusi perpetua”.
A Pietro Migliaccio, che proveniva dalla “vicina” isola di Ischia assegnò l’area di Fieno, situata nei pressi di Punta Fieno, che già allora risultava “vitata” a differenza di altre zone incolte o a macchia mediterranea. Le vigne furono assegnate in cosiddette “catene” (cioè terrazze), secondo l’unità di misura borbonica del tempo, e Migliaccio vi introdusse i tipici vitigni campani: biancolellaforasteraguarnacciaaglianico e piedirosso; oggi coltivati su viti a piede franco, rinate e salvate dagli sterpi che avevano invaso i filari da un discendente per linea materna, il dentista napoletano Emanuele Vittorio.
Papà antifascista, confinato politico a Ponza, da bambino il signor Vittorio dopo i bombardamenti di Napoli seguì la famiglia sull’isola, dove frequentò le scuole elementari. Rimasto legato al luogo d’infanzia negli anni ’90 con la moglie Luciana Sabino, insegnante d’inglese, decise di riportare in vita le vigne cadute nel frattempo in abbandono e di cominciare a produrre vino, una passione che qualche anno dopo, nel 2000, diventerà una vera impresa. “Partimmo con un quarto di ettaro – ricorda il produttore Emanuele Vittorio – oggi siamo arrivati a 3,5 ettari e siamo gli unici a imbottigliare sull’isola”.

Vigne estreme
L’azienda produce con la consulenza dell’enologo Vincenzo Mercurio 10mila bottiglie in 4 etichette, 2 bianchi, un rosato e un rosso. Tra questi il Biancolella di Ponza Igp Lazio, da viti vecchie, un bianco agrumato dai profumi di frutta matura, in bocca minerale e sapido; circa 3mila bottiglie. La tecnica di allevamento tipica è la spalliera bassa, ma usano anche il guyot a Punta Fieno e la pergola attorno alla cantina, sopra il paese di Ponza. Tra le vigne più “estreme” quelle di Punta Fieno ricadono tra gli ultimi angoli al riparo dal turismo grazie all’assenza di un approdo via mare e al difficile accesso via terra. Sono infatti raggiungibili in 40 minuti camminando su una mulattiera tra la macchia mediterranea, un percorso per trekking incantevole e silenzioso. In tutta l’isola, però, l’influenza del mare è determinante.

“Può essere in parte positiva, in parte negativa – spiega il signor Vittorio. Se c’è libeccio nel periodo di fioritura è un disastro, mentre le mareggiate sono pericolose per l’apporto di sale nelle vigne, che anche se alte da 0 a 180 metri slm sono esposte ai venti del mare e al loro effetto spray. Di contro abbiamo nei vini una bella sapidità e mineralità, dovute anche alla composizione mista dei terreni, argillosi, sabbiosi e calcarei”.

Pur originario di Ischia, il vitigno biancolella oggi è considerato autoctono grazie a un lento processo d’adattamento decennale, tanto da figurare tra le specie protette dalla agro-biodiversità regionale. I grappoli di biancolella Ponzese, inoltre, sono più tondeggianti rispetto all’omologo Ischitano e i vini esprimono note evidenti di agrumi.


La cantina “artigianale” della Trattoria Monte Guardia, del produttore-ristoratore Emiliano Mazzella

Vinificare e cucinare
Un altro produttore, ma più piccolo e con un mercato limitato al proprio ristorante – la Trattoria Monte Guardia – è Emiliano Mazzella, che fa tre discreti “vini della casa”, due bianchi da biancolella e moscato in purezza e un rosso primitivo; totale 1.800 litri. Il vino è una tradizione di famiglia, lo produceva già il bisnonno nelle vigne terrazzate sotto Parata degli Scotti, dove i Mazzella hanno realizzato un tunnel straordinario nella montagna che collega la trattoria col vigneto affacciato sul mare.
Gli ospiti percorrono un centinaio di metri tra nasse e reti appese in esposizione alle pareti rocciose, entrano nella cantina “artigianale” e spuntano di nuovo all’aria aperta tra i filari e l’orto vista mare, dove Mazzella organizza pure piccole degustazioni. Il “produttore-ristoratore” attinge a due vigne di proprietà, sul Monte Guardia e alla Parata degli Scotti, per un totale di 1 ettaro. Il sistema d’allevamento tradizionale è il filare basso.

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