di Silveria Aroma
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Mi capitò di vederla entrare un giorno, l’aria tenera e un po’ sperduta. Capiva poco la nostra lingua, non la parlava affatto ma i suoi occhi esprimevano calma e tenerezza.Mi era venuto spontaneo sin da subito darle una mano con le parole e non solo, con leggerezza e senza voler insegnare alcunché.
Giorno dopo giorno l’ho vista divenire meno insicura e via via cominciare a padroneggiare, a piccoli passi, l’italiano; sempre accompagnata dal quel sorriso onesto che si può intuire anche oltre una mascherina.
Non ci siamo mai conosciute davvero né frequentate in alcun modo, e potremmo anche non incontrarci nuovamente per le ragioni più disparate, ma di lei conserverò indelebile un’immagine. Era una giornata di primavera, forse aprile dello scorso anno, quando la vidi comparire con quella sua aura splendente e le mani impegnate a portare un cappello di paglia pieno di fiori colorati, probabilmente il raccolto di una passeggiata lungo un sentiero che non so…
Ieri, scusandosi in maniera un po’ impacciata, mi ha fermato proprio mentre avevo qualche nuvola nera che mi girava per la testa. Sorridendo mi ha mostrato un braccialetto. Io che ero soprappensiero, devo aver avuto un’espressione davvero strana.
Mi ha spiegato che lo aveva fatto lei e che era un regalo per me, per la mia gentilezza. Sono rimasta senza parole, stupita e commossa. Ora lo porto al polso come un talismano. Due vite distinte e distanti, due sconosciute, e un tratto vicendevole di gratitudine.
In un momento così cupo è forte il bisogno di aggrapparsi alla bellezza, quella della natura, quella dell’arte e quella un po’ più nascosta delle persone; la bellezza che ancora si riesce a cogliere nonostante il frastuono dei pensieri agitati dalla guerra e di milioni di parole troppo spesso aggressive o superflue.
Foto Silveria Aroma, immagine di copertina Utetheisa pulchella verso La Guardia
